Il nuovo fonte della Sistina |
(di Francesco Colafemmina su Fides et Forma del 8/01/2012)
In questo caso è stata commissionata un’opera che non fosse legata alla tradizione dei fonti battesimali (catini ottagonali con scene sacre tratte dall’Antico e dal Nuovo testamento, poggiati su una colonna e sormontati da una copertura che termina con una croce). Ora, mi domando: si può – di grazia – far sfoggio di rocchetti ricchi di pizzi e merletti, di dalmatiche e tunicelle, di pianete borromee e non, insomma di tutto questo armamentario barocco e poi commissionare un’opera priva di legami con la tradizione artistica precedente?
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Alberto Cicerone – Pannello decorativo della Discoteca “Ruvido” di Avezzano |
E invece si è fatto ricorso ad un’opera naturalistica ma slegata dalla tradizione artistica dei fonti battesimali, priva di alcun accenno narrativo (non vi è una croce o un Cristo o un qualsiasi elemento che esuli dalla mera rappresentazione della natura). Così facendo Monsignor Marini ha giocato un tiro mancino a tutti i difensori della riforma benedettiana, avvalorando le tesi della CEI che sostengono (nella nota pastorale del 1996) la “discontinuità stilistica” nei casi di adeguamento liturgico.
In parole povere: se devo ricostruire un altare rivolto al popolo questo va creato in discontinuità con il precedente (magari barocco). Allo stesso modo il nuovo fonte battesimale non ha alcuna relazione con le restanti opere della Sistina. E’ inadatto al suo contesto. E, si badi, non credo che porre nella Sistina un’opera muta e discontinua sia un segno di “umiltà”, una rinuncia a confrontarsi con i grandi maestri del ‘500. Credo al contrario che sia un segno di presunzione lasciare intendere che i maestri del ‘500 sono straordinari, ma noi nel 2000 realizziamo opere diverse nello stile e nei contenuti.
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Da queste associazioni simboliche nasce un’opera costituita da una pietra, un albero d’ulivo e una sfera d’oro che rappresenta il sole. Ma che ci fa il sole sull’albero della vita? Per capirlo ci tocca recuperare la mitologia assira, i bassorilievi che ci mostrano l’albero della vita sormontato dal disco solare. E ci tocca prendere in mano la kabbalah e la dottrina delle sefirot legate all’albero della vita.
Scopriremo così che la sefirot che costituisce il sole è quella da cui si dipana la vita, è il Keter, la Corona. L’albero della vita è, insomma, un tema affascinante, è presente in varie culture e anche nell’Apocalisse di San Giovanni. Ma siamo certi che fosse il tema ideale per un fonte battesimale?
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Cristo “Albero della Vita” nella Basilica di San Clemente: Simbolo e Sacra Narrazione non possono essere disgiunti! |
Diventa così una ulteriore chiave interpretativa della narrazione sacra. Ma se eliminiamo qualsiasi narrazione sacra e lasciamo solo un simbolo, peraltro non proprio del Cattolicesimo, ma presente in numerose altre culture, come potremo sperare di aver fatto un passo in avanti verso quella riforma benedettiana che anche nell’arte sacra deve esprimersi in continuità con il passato e la tradizione della Chiesa? Come potremo sperare di adempiere quanto ci dice il Catechismo: “l’autentica arte sacra conduce l’uomo all’adorazione, alla preghiera e all’amore di Dio Creatore e Salvatore, Santo e Santificatore.”?
L’adorazione, la preghiera e l’amore di Dio discendono non certo da un processo di evocazioni simboliche, da una serie di ragionamenti intellettuali, ma dall’evidenza della narrazione sacra. Dall’empatia con la storia della salvezza. Per capirlo bastava alzare gli occhi e darsi uno sguardo intorno alla Sistina…
Conclusioni
Pur apprezzando lo sforzo, il risultato dell’operazione è mediocre e per certi versi anche preoccupante. Quest’opera segna una battuta d’arresto negli sforzi per migliorare l’arte sacra cattolica in continuità con la tradizione. E’ una vittoria di Ravasi, della CEI e persino di quel simbolismo ambiguo osannato da Crispino Valenziano. E’ insomma un passo indietro e un autogoal. Francamente mi sfuggono ancora una volta le ragioni che hanno condotto Monsignor Marini a commissionare un’opera per un contesto così importante con la semplice assegnazione diretta, senza bandire un concorso, senza esporsi con coraggio, senza proclamare la bellezza di un’arte sacra in linea con la tradizione della Chiesa.
Lo avrei capito se si fosse voluta realizzare un’opera “tradizionale” in sordina, senza suscitare polveroni. In realtà così non è stato. Dunque, continuo a chiedermi perché vadano bene pizzi e merletti nelle celebrazioni pontificie e non un fonte battesimale degno di questo nome nella Cappella Sistina. Mistero!
L’opera è peraltro, ripeto, più un raffinato oggetto di oreficeria che un’opera d’arte sacra. Un tempo sarebbe potuta andar bene – in miniatura – per le bomboniere matrimoniali qui in Puglia, ma oggi siamo certi che possa esser degna di stabilirsi in Cappella Sistina?
Ultima questione: quanto è costata l’opera e chi l’ha pagata? In tempi di austerity non vedo perché anche l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice non debba adeguarsi alla sobrietà, evitando di commissionare opere in oro a 24 carati… Specie se un fonte battesimale degno di questo nome c’era già a disposizione del Papa.
Insomma, un’occasione mancata e un segno inequivocabile dell’assenza di coraggio e volontà da parte dei più stretti collaboratori del Papa di andare avanti sulla strada della riforma benedettiana. Meglio il facile conformismo simbolico e ravasiano che genera consensi e prelude a nuove commesse.