(di Danilo Quinto) Questo Paese, devastato da una crisi morale e quindi anche economica senza precedenti, non attendeva altro che la decisione del Presidente della Repubblica dei giorni scorsi. La conferma del suo settennato fino all’ultimo giorno utile, la nomina dei «saggi» che dovrebbero occuparsi di riforme istituzionali ed economiche, il rinnovo della fiducia in un Governo che ha contribuito in maniera determinante a delineare per l’Italia la via della Grecia o di Cipro.
Andiamo con ordine e facciamo un passo indietro, al novembre del 2011. Sconfessando un voto popolare che legittimava un Governo che non aveva conosciuto la sfiducia da parte del Parlamento, il Presidente della Repubblica affida l’incarico di formare il Governo al Professor Mario Monti, previa nomina a senatore a vita.
La soluzione più logica, razionale, costituzionalmente ineccepibile, quella del ritorno alle urne, non viene neppure presa in considerazione, con la scusa che avrebbe fatto precipitare la situazione. Il risultato di quella scelta, invece, si è visto. Il Governo, supportato innanzitutto dal PD e dal PDL, attua una serie di misure che provocano una disastrosa situazione economica, assolvendo un solo compito: quello di allinearsi alle decisioni prese da consorterie economiche e finanziarie estranee alla sovranità italiana e facenti capo ad un’Europa politica che non è mai esistita e alla difesa di una moneta unica che dalla sua entrata in vigore ha combinato solo guai e che, ciò nonostante, viene considerata irreversibile, come se nella vita una qualunque cosa avesse i caratteri dell’irreversibilità. Il risultato dell’azione del Governo è l’impoverimento della società italiana, la chiusura di centinaia di imprese al giorno, la disoccupazione che dilaga, l’impegno a pagare per i prossimi vent’anni gli interessi sul debito pubblico.
L’azione di questo stesso Governo viene ora esaltata da Giorgio Napolitano, che preannuncia altre misure di carattere economico, per giunta in una situazione in cui, dopo le elezioni, quel Governo dovrebbe amministrare solo gli “affari correnti”. Non solo. Viene anche rinnovata la fiducia in un Governo che ̶ a proposito di “affari correnti” ̶ si era già «dimesso dalle sue responsabilità» riconsegnando, dietro le minacce ed il ricatto, due suoi servitori dello Stato ad una potenza straniera, coprendosi di ridicolo e di vergogna. Un Governo, per giunta, presieduto da un professore prestato alla politica, che nel frattempo ha fondato un suo partito e che aveva dichiarato in Parlamento, proprio durante il dibattito sulla vicenda dei due marò, che il suo Governo «non vede l’ora di essere sollevato da questo incarico»!
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All’azione del Governo, si aggiunge quella dei «saggi». Per fare che cosa? Elaborare proposte, che poi dovranno convergere in un programma condiviso. Da chi? Da élites più allargate, naturalmente, dell’una e dell’altra parte dello schieramento. Come se non si conoscessero già le misure urgenti da prendere. Sullo sfondo, rimane Grillo. Tuona affinché si garantisca al Parlamento di lavorare, ma non si misura con gli strumenti della democrazia, estranei a decisioni che vengono prese da “guru” mediatici, che vogliono anche impedire l’espressione delle opinioni personali, per ricondurre tutti ad un pensiero unico, degno del “grande fratello”.
Una situazione che definire confusa è poco, che avrebbe potuto conoscere un elemento di chiarezza con le dimissioni del Presidente della Repubblica, l’elezione del nuovo Presidente, lo scioglimento del Parlamento eletto il 25 febbraio e l’indizione di nuove elezioni. Al posto della confusione, dei doppio-giochismi e dei balletti che non servono, è sempre meglio ricorrere alle regole della democrazia. Che in Italia, fino a prova del contrario, è praticata attraverso il popolo sovrano. (Danilo Quinto)