(Mauro Faverzani) Dunque pare proprio che la Presidentessa della Camera, Laura Boldrini, abbia scelto la linea della demagogia più smaccata: far riaprire il Parlamento per una seduta-blitz, durante la quale incardinare il decreto legge sul cosiddetto “femminicidio” è propaganda di regime, nient’altro. Oltre ad essere un affronto al buon senso: non solo per gli ingenti costi – quantificati tra i 150 ed i 200 mila euro dall’on. Rizzetto -, non solo per il prevedibile assenteismo di massa – 94 deputati su 630, ridottisi poi ulteriormente a 77 in meno di due ore -, ma soprattutto per i contenuti. Secondo i dati diffusi dal Viminale, le donne sono vittime “solo” del 30% dei 505 omicidi commessi in Italia tra il primo agosto del 2012 ed il 31 luglio del 2013. Il 30%. E si parla di femminicidio, introducendo peraltro odiose categorie, discriminatorie sulla base del sesso. Giacché non esistono vittime di serie A e vittime di serie B, omicidi migliori ed omicidi peggiori: creare artificiosamente emergenze insussistenti non rappresenta solo l’ossequio all’ideologia dominante ed alla spettacolarizzazione del nulla quanto piuttosto inventarsi minoranze offese, per colpire le maggioranze silenti. Urlare al femminicidio rianima un femminismo altrimenti morto e defunto e dà man forte di questi tempi alla vera e propria caccia alle streghe, scatenata col disegno di legge sull’altrettanto artificiosa “omofobia”, ove il vero obiettivo pure non è tanto quello di proteggere persone indifese, che – come tutti i cittadini – già godono della normale e codificata tutela penale, bensì quello di distruggere la famiglia naturale, l’unica possibile, costituita da padre, madre e figli. Anche a costo di dichiarare per legge l’omosessualità come valore “degno” di particolare tutela giuridica, anche a costo di calpestare la Costituzione e violare gravemente altri diritti come quello della libera manifestazione del pensiero, anche a costo di introdurre fattispecie di reato inconsistenti ed evanescenti, che espongono ulteriormente il cittadino inerme all’arbitrio del giudice e delle sue opinioni. Una prospettiva aberrante.
Eppure è unicamente su queste faccende che finora Parlamento e governo han dato prova di particolare attivismo. Non sul resto. Non sugli aiuti alla famiglia, non sulla fiscalità, non sul finanziamento pubblico ai partiti, che anzi – a differenza del “femminicidio” – è tranquillamente slittato a settembre. Non sull’immigrazione, nonostante l’emergenza abbia raggiunto livelli ormai ben oltre la soglia di allarme con punte di mille sbarchi al giorno, Cie devastati dagli immigrati o chiusi per capienza insufficiente (tre in un mese), fughe incontrollate dai Centri di Identificazione (300 solo martedì scorso). Non sull’Imu, con l’azzeramento della rata di giugno, tanto poi a settembre arriva la Service Tax e nel 2014 chissà.
Più che il governo delle larghe intese questo sembra il governo delle larghe spanne tra rinvii, esitazioni ed immobilismi. Riservando il decisionismo solo ad un “politicamente corretto”, ben lontano della reali priorità e dal Paese reale. L’esecutivo Letta davvero vorrà esser ricordato solo per omofobia e femminiciidio? Son queste le “ricette”, di cui l’Italia ha bisogno? Che senso ha tenere ancora in piedi un carrozzone, se incapace di dare risposte concrete ai problemi veri della Nazione, che non sono solo, né prima di tutto economici? La vera crisi è quella morale, etica e spirituale, lo han rilevato tutti, Benedetto XVI se ne è fatto insistentemente portavoce, ma senza sortire alcun esito. Senza dimenticare poi come – da un punto di vista cattolico – nulla sia stato fatto, nessun provvedimento sia stato assunto in linea con la Dottrina Sociale della Chiesa: anche in tal senso Letta lo si potrà citare solo per aver “sdoganato” da percentuali irrisorie e piazzato come ministro un personaggio come Emma Bonino, nota per la foga abortista ed eutanasica e per un trascorso di attivismo spinto in un partito, quello radicale, sempre bocciato dagli elettori e dalla Storia.
E’ falso e fuorviante allora far credere agli Italiani che il governo debba andare a casa per semplice ripicca dopo i guai giudiziari di Berlusconi. I veri motivi per cui valutare se proseguire o meno stanno altrove ovvero nell’evidente e conclamata inconsistenza, nella vacua fragilità rispetto alle vere esigenze del Paese, rispetto al bene comune.
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Quando Bersani fallì il proprio tentativo di costituire un esecutivo, plaudimmo dicendo ch’era meglio restare senza governo che averne uno di cui pentirsi. Con Letta vale la stessa cosa. (Mauro Faverzani)