CHIESA CATTOLICA: il modo di far politica di mons. Bruno Forte

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Benché Paolo VI avesse a suo tempo dichiarato che la politica è un’alta espressione della “carità cristiana”, per una strana eterogenesi dei fini, nel periodo post-conciliare, segnato de facto da tante forme di rottura con la tradizione cattolica precedente, si ebbe un rifiuto della politica come tale, quasi fosse cosa in sé nociva o “pagana”.

Certo i principali partiti delle democrazie europee ed occidentali non brillano, praticamente senza eccezioni, per coerenza con le prospettive evangeliche: si pensi ai temi scottanti dell’aborto, del divorzio, della contraccezione e dell’omosessualità, tutte cose un tempo rigettate dal comune senso del pudore, ed ora sdoganate in modo trasversale e bipartisan. D’altra parte su questi e su altri temi non negoziabili gli stessi insoddisfacenti partiti di cui sopra non sono tutti equidistanti dalla morale cristiana e dallo stesso diritto naturale. In Italia, per esempio, si sa bene chi fu che negli anni ’70, ‘80 e ‘90 lottò per aborto, divorzio, droga libera, abolizione delle case chiuse e dei manicomi, educazione sessuale nelle scuole e tutto il resto.

E costoro coincidono abbastanza bene con quei gruppi e quelle lobby che, oggi, chiedono eutanasia, suicidio assistito, fecondazione artificiale (omologa ed eterologa), matrimonio gay, costruzione di moschee (anche con soldi pubblici!), introduzione del delitto di omofobia, forsennata “laicità” e talvolta perfino l’abolizione dello Stato della Città del Vaticano.
Come se tutto questo non fosse evidente e lapalissiano, mons. Bruno Forte, Ordinario di Chieti-Vasto, intervistato dal “Corriere della Sera” il 1 giugno u.s. (p. 15), parla delle elezioni che hanno visto la clamorosa vittoria di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli come «un segnale importante, perché la gente non ne può più». «È chiaro – continua l’Arcivescovo-teologo – che in questa vicenda ci siano segnali di insoddisfazione profonda rispetto alla scena etica e sociale del Paese». Ma sa il presule che sia Pisapia che De Magistris si sono espressi sui valori “non-negoziabili” in modo opposto a quanto indicato da Benedetto XVI? Certo, un Vescovo può anche disinteressarsi dei programmi dei singoli politici, ma allora perché farsi intervistare su questi argomenti da un quotidiano risolutamente laico che cerca di portare acqua al suo mulino? Secondo Forte, la gente «è stanca della scena politica che si presenta ogni giorno. Molte cose non vanno, la situazione economica, la fatica ad arrivare a fine mese, la crisi generale, ma anche le ferite allo stato sociale, la famiglia, il lavoro, la scuola, l’educazione, la sanità». E di tutti i problemi qui indicati sarebbe responsabile il Governo Berlusconi? E poi, ancor più illogico, il segno di una ripresa, su temi invero decisivi come la famiglia e l’educazione, si riscontrerebbe nel voto a chi, come il neo-sindaco ambrosiano, ha promesso di aprire illegali registri per le “coppie di fatto” e di far rieducare gli “omofobi” servendosi dell’Arcigay? Ma Pisapia e De Magistris sono per il crocifisso nelle scuole o no? Per il rispetto del Concordato o per un suo superamento? Basta andare sui rispettivi siti internet per saperlo…

Mai che il ben noto teologo, in tutta l’intervista, richiami, che so, il diritto naturale, la dottrina sociale della Chiesa, la necessità della famiglia o la moralità generale. Sempre e solo termini vaghi e di compromesso: «La priorità assoluta è che si faccia l’interesse dei più deboli [che per il beato Giovanni Paolo II sono i bambini non nati, ma per Forte?]. Non è possibile anteporre il bene privato a quello pubblico, occorre trasparenza di comportamenti e rispetto degli impegni». Bell’esempio di ecclesiale se in versione politically correct! Ancora: «Abbiamo bisogno di convinzioni profonde, di scelte da portare avanti pagando di persona (…). Occorre qualcosa di diverso, c’è un’esigenza etica sociale e personale forte (…). Ridare ai giovani il gusto della cosa pubblica»… Mah!

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