“Matrimonio gay”: il popolo francese non si rassegna

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matrimonio gay, il popolo francesco non si rassegna(di Giuseppe Rusconi su Rossoporpora.org)  Pur sconsigliata dal ministro degli Interni Valls (che ha ad arte enfatizzato il pericolo di scontri), pur condannata verbalmente dai vertici socialisti e dileggiata dalla cosiddetta crème intellettuale, questa Francia è voluta scendere ugualmente in piazza, anche se la legge è ormai entrata in vigore e vedrà mercoledì 29 maggio il primo ‘matrimonio’ omosessuale a Montpellier. Dal 17 novembre dell’anno scorso in poi (8 dicembre, 13 gennaio, 24 marzo, 21 aprile, 23 aprile e 26 maggio) sono diversi milioni i francesi che hanno invaso le strade e le piazze di Parigi e di altre città per scandire che la famiglia, quella che uno Stato ha tutto l’interesse a sostenere, è solo quella formata dall’unione di un uomo e di una donna, tesi alla procreazione.

E’ la famiglia che garantisce il futuro a un Paese, passando il testimone di generazione in generazione. Ed è la famiglia a costituire, specie oggi, il maggior ammortizzatore sociale nell’era della crisi economica, della perdita dei valori, dello sradicamento dell’identità personale con il conseguente dilagare del fenomeno della solitudine, foriero di comportamenti e gesti estremi.

Pensare che, quando nel luglio del 2012, il governo francese ha incominciato a esaminare il progetto di legge antropologicamente rivoluzionario (come ha riconosciuto la stessa, arrogante guardasigilli Taubira), sembrava che – salvo poche voci isolate – la Francia fosse acquiescente. “Matrimoni gay? Non mi riguardano… che facciano pure quello che vogliono!”: tale suonava la risposta di molti, cattolici compresi, alla richiesta di mobilitarsi per lottare contro la svolta in materia di famiglia.

C’è voluto il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, per incominciare a scuotere le coscienze addormentate, convincendole che la rivoluzione antropologica avrebbe coinvolto tutti e tutti ne avrebbero patito le conseguenze, comprese le generazioni a venire. La Francia della vera laicità si è così risvegliata, unendo cattolici, altri cristiani, ebrei, musulmani e uomini e donne genericamente di buona volontà (di buon senso in primo luogo) che hanno deciso così di testimoniare pubblicamente il loro dissenso da una legge masochista.

Non sono bastati gli avvertimenti, le minacce, il dileggio, la repressione poliziesca (centinaia gli arresti, spesso del tutto gratuiti, solo per intimidire) anche per il semplice fatto di portare una felpa della Manif pour tous (come ha testimoniato su “L’Avvenire” anche Luca Volonté, presidente del gruppo Ppe presso l’assemblea del Consiglio d’Europa) a scoraggiare i manifestanti di domenica, quasi un milione secondo i dati rilevati dal generale Bruno Dary, già governatore militare di Parigi e organizzatore delle parate del 14 luglio. Tra l’altro ancora una volta grottesche le cifre fornite ufficialmente dalla prefettura di Parigi, che ben prima che la grande manifestazione si concludesse ha stimato in 150mila il numero dei partecipanti.

L’onda delle rivendicazioni dei cosiddetti ‘nuovi diritti’ è ormai approdata da tempo anche in Italia, dove agisce una formidabile macchina da guerra costituita dal sistema radiotelevisivo (senza differenze tra Rai e tv berlusconiane) e dalla prateria di internet, dai ‘giornaloni’ fintamente indipendenti (cui si oppongono in primo luogo l’ “Avvenire” e anche spesso “il Giornale”), dalla casta intellettuale sempre pronta a firmare per avere il ritorno d’immagine, da chi finanzia tutto ciò (comprovata l’alleanza tra buona parte della finanza e le istanze libertarie, per ragioni economiche intuibili, dato che la famiglia spende meno).

In Parlamento sono fin qui quattro i disegni di legge sui ‘matrimoni gay’ deposti in questa legislatura, promossi da esponenti del Pd, del Sel, del Movimento 5 Stelle. Anche nel centro-destra l’ala opportunista-libertaria dei Bondi e dei Galan si è fatta sentire. Sapranno i cattolici fare come in Francia, mobilitarsi per cercare di convincere e quindi coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini contro una svolta esiziale di civiltà? La battaglia che ci attende non è di certo un’esclusiva cattolica: basta avere un minimo di buon senso pensando al futuro ed essere d’accordo. Ma i cattolici in essa avranno un ruolo importante. Sapranno essere all’altezza o continueranno in buona parte a dormire o, peggio ancora, a rinunciare alla lotta perché già rassegnati in partenza? Forse a costoro sarebbe bene ricordare come andò a finire tra Davide e Golia.

Un tema quest’ultimo evidenziato nelle parole del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, promotore dell’iniziativa vaticana in materia. Il porporato ha peraltro ricordato che negli ultimi anni qualcosa già si era mosso per cercare di porre rimedio a una frattura dolorosa: dall’incontro del novembre 2009 di 300 artisti con papa Benedetto XVI alle sessanta opere prodotte da altrettanti autori  nel luglio 2011 per il sessantesimo dell’ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger. Inoltre, ha rilevato il cardinale, l’idea di una partecipazione vaticana alla Biennale di Venezia era già stata ventilata nel 1958; è anche giusto tener presente che la Santa Sede ha sempre partecipato alle esposizioni universali, a partire da quella londinese del 1851.

Come si manifesterà la partecipazione vaticana alla Biennale? Attraverso la presenza di opere di autori contemporanei, i tre di ‘Studio azzurro’ (Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi), il ceco Josef Koudelka, l’australiano Lawrence Carroll. Con quale tema si sono misurati gli autori prescelti? Sotto il mantello dei primi undici capitoli della Genesi i relatori (il cardinal Ravasi e Micol Forti dei Musei vaticani) hanno sottolineato che i tre italiani hanno cercato di evocare la Creazione, il fotografo ceco la “de-Creazione” (ovvero la distruzione del mondo e delle sue leggi), l’australiano – che si situa “tra arte povera e arte concettuale” –  la “ri-Creazione” (ovvero una creazione rinnovata ricca di speranza).

Soprattutto Micol Forti ha descritto con parole di elogio le opere che rappresenteranno la Santa Sede a Venezia: le tre video-installazioni interattive dello ‘Studio azzurro’, le 18 foto in bianco e nero di Koudelka, le creazioni con oggetti sospesi di Carroll. Tali opere, “per ora”, ha detto il cardinal Ravasi, non sono destinate alla liturgia: però “in futuro ciò potrà accadere”, anche perché “vogliamo creare nelle chiese nuove un’atmosfera di dialogo tra arte e fede”. Oggi spesso in tali chiese ci sono arredi che stonano con la modernità dell’architettura. Del resto, ha sottolineato il presidente del Pontificio consiglio della Cultura, la Chiesa ha reagito spesso “ritirandosi” davanti alle “provocazioni” dell’arte contemporanea, “affidando l’arte al massimo a espressioni artigianali”. Invece ormai può essere già “quasi concepibile” l’uso liturgico di opere di arte contemporanea, che potrebbero essere utilizzate “per la catechesi” di “un pubblico giovane, abituato a linguaggi nuovi”.

Questo detto, sarebbe stato molto opportuno e pure logico poter vedere le opere, data la presenza in sala stampa di due schermi su cui sono stati proiettati tra l’altro i volti degli artisti e alcune loro opere pregresse, oltre alla trilogia di opere ‘michelangiolesche’ dell’artista Tano Festa esposte all’ingresso del padiglione (e regalate al Vaticano dal collezionista Ovidio Jacorossi). Anche perché sembra naturale che le opere siano l’elemento più importante in una mostra.

Nel nostro caso, poi, la visione delle opere era tanto più attesa date le indiscrezioni secondo le quali si trattava di paccottiglia (e il cardinal Ravasi più volte ha fatto un riferimento polemico a tali indiscrezioni). Invece no. Qualche immagine si ritrova nel cd inserito nella cartella-stampa, ma durante la presentazione delle opere si è solo parlato: magari con parole belle, ma a rivestire un involucro dal contenuto misterioso. A giustificare la non proiezione di foto delle opere in mostra si è detto ad esempio che: “E’ normale che alle presentazioni non si mostrino le opere” (Baratta, presidente della Biennale), “Per vedere le opere è giusto venire a Venezia” (il cardinale),  “Si può trovare qualche immagine sul cd” (altri). Ma  allora: se le immagini erano sul cd, perché non sono state proiettate in sala? C’era forse qualche timore di incrinare l’apparente consenso in sala stampa?

Alla presentazione (una conferenza-stampa molto sui generis) sono convenuti decine di rappresentanti degli sponsor, altre decine di addetti ai lavori facenti parte degli ambienti artistici, il resto erano giornalisti. La conseguenza più visibile di tutto ciò è che durante la presentazione si sono registrati e ripetuti applausi al termine dell’una o l’altra relazione o risposta a domande (il che la dice lunga sulla composizione della platea).

Essendo profani in materia di arte contemporanea, non ci permettiamo di valutare il livello delle opere visibili sul cd. Certo, ragionando secondo buon senso, l’unica foto presente di un’opera di Carroll induce a pensieri quanto meno confusi e tendenzialmente poco gradevoli.

Polemiche erano state affacciate anche sui costi. A tale proposito mons. Pasquale Iacobone ha illustrato una tabella secondo la quale la spesa (tutta coperta dagli sponsor, caratterizzata “da criteri di economicità e sobrietà”) sarebbe di circa 750mila euro, di cui 300mila come “contributo agli Artisti per realizzazione Opere”. Ci viene spontaneo osservare che se tutte le opere di Carroll fossero come quella visibile sul cd, tale contributo sembrerebbe un tantino generoso.

Erano circolate voci di una spesa totale attorno ai 2 milioni e 800mila euro, che comprendevano però il contributo richiesto per le opere di Lucio Fontana (2 milioni). Si vede che le trattative non sono andate in porto, per cui la cifra ventilata restante è più o meno quella reale.

In conclusione: lodevole l’iniziativa, apprezzabile il tentativo di conciliare con grande evidenza pubblica Chiesa e arte contemporanea. Però quanto meno controverse le strade imboccate e le reticenze nella comunicazione.

Un urlo  – accompagnato dal coro dei deputati socialcomunisti “Fuori, fuori” – che ben sintetizza lo spirito democratico con cui il presidente socialista Hollande e il suo governo (in cui si è distinta per naturale arroganza la Guardasigilli Taubira) ha condotto e portato a compimento un progetto tanto devastante per la società transalpina. L’urlo era diretto contro tre criminali, che avevano esposto sulle tribune di Palazzo Borbone un’arma micidiale: un piccolo striscione su cui stava scritta una sola parola: REFERENDUM (un diritto democratico previsto e sempre negato da Hollande in materia di famiglia). Troppo per gli occhi delicati del presidente dell’Assemblea, feriti da tanta proterva violenza..

La legge è stata poi approvata come previsto con 331 voti contro 225 e 10 astensioni. Urla di gioia, baci e abbracci nelle file della sinistra; il centro-destra ha invece abbandonato subito l’aula e i suoi senatori hanno annunciato un ricorso immediato al “Consiglio costituzionale”. Passerà dunque prevedibilmente ancora almeno un mese prima che la legge venga promulgata, a meno che le grandi manifestazioni popolari già previste per il 5 e il 26 maggio non spingano Hollande a più miti consigli. Niente è impossibile alla Provvidenza, ma in questo caso convincere il presidente francese sarà molto arduo, considerate le passioni che la legge ha scatenato nel Paese, oggi maggioritariamente comunque contrario alla rivoluzione antropologica votata dal Parlamento.

Del resto ancora dal dibattito di ieri pomeriggio estrapoliamo l’urlo in un clima tumultuoso del primo ministro Ayrault: “E’ questa la battaglia di tutta una generazione! Io ci metto tutte le mie forze, tutte le forze del Governo, tutte le forze della Francia. La battaglia è adesso!”. Ed anche l’affermazione incredibile del deputato di sinistra Mamère: “La sinistra non deve cedere all’orrore della piazza!” Evidentemente Mamère si riferiva a quella piazza, quella che il 17 novembre, l’8 dicembre, il 13 gennaio, il 24 marzo, ancora domenica 21 aprile ha dato voce al dissenso profondo, fermo e gioioso,  di milioni di francesi (la maggioranza, perfino secondo i sondaggi).

Quell’opposizione che il governo-regime di François Hollande dimostrava di sopportare sempre meno, ricorrendo con sempre maggiore frequenza alla repressione poliziesca: vedi il fermo di Franck Talleu colpevole di portare una felpa con disegnati padre, madre e due figli, l’arresto di 67 giovani che protestavano pacificamente davanti al Parlamento, il lancio di gas lacrimogeni contro famiglie inermi il 24 marzo, il divieto ad alcuni deputati di rientrare a Palazzo Borbone (sede dell’Assemblea nazionale), la valanga di insulti politici rivolti ai contrari, che si è tentato inutilmente di emarginare al grido di “fascisti, nazisti, razzisti, omofobi”. Proprio una sana democrazia, quella alla Hollande.

Che, non ne dubitiamo, suscita alti pensieri di imitazione anche qui in Italia, dove i primi segnali della repressione della libertà di pensiero in materia di famiglia sono già apparsi all’orizzonte. Con l’intenzione, anche tramite strumenti massmediatici fintamente neutri come le televisioni di Stato, di dilagare come in Francia. Speriamo che gli italiani non si lascino convincere a imboccare una strada che provocherebbe guasti sociali tali da compromettere gravemente il futuro del Paese.

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