Notizia piccola, ma significativa. L’attore Tom Hanks nel 1993 interpretò nel film Philadelphia il ruolo di un avvocato omosessuale, malato di AIDS. Nella pellicola l’avvocato intentava una causa contro il suo studio legale perché era stato licenziato per motivi discriminatori.
Di recente Hanks ai microfoni del New York Times, ricordando quel film, ha dichiarato: «Una delle ragioni per cui la gente non era spaventata dal film era il fatto che fossi io a interpretare un gay. Adesso non sarebbe possibile per un eterosessuale fare quello che ho fatto nel film ed è giusto così. La gente chiede autenticità e penso che non riterrebbe autentico un uomo eterosessuale che possa interpretare un gay. Quelli di Philadelphia erano altri tempi. Non è un delitto, non è da biasimare chi sostiene che nei film contemporanei si debba essere più esigenti in termini di autenticità».
Il talentuoso attore americano ha torto. La domanda di fondo è la seguente: «Chi dovrebbe interpretare un ruolo di una persona omosessuale?». La risposta è facile da darsi: chi è più bravo in quel ruolo, omosessuale o eterosessuale che sia. L’orientamento sessuale non è una necessaria scriminante. Il criterio principale è dato dai talenti, dalle capacità, dalle competenze, dall’esperienze, non dall’orientamento sessuale. Dunque chiedersi se è meglio un attore gay o etero per un ruolo gay è fuorviante. E assegnare d’ufficio ruoli gay ai gay è discriminante per i bravi attori etero.
Si dirà che l’attore gay interpreta meglio un ruolo gay a motivo del suo vissuto personale. Questo può essere vero, ma non è sempre vero. Il talento interpretativo relativamente ad un personaggio gay può essere sostenuto e potenziato dal proprio orientamento omosessuale, ma non necessariamente. Può essere un valore aggiunto, ma non obbligatoriamente. Anzi a volte può essere controproducente perché l’attore potrebbe non riuscire ad oggettivare il ruolo, vivendolo troppo da dentro. Quasi una distorsione del personaggio perché non visto dal di fuori.
Se dovessimo poi applicare con rigore la logica di Hanks a tutti gli altri ruoli cadremmo nel ridicolo: la parte di un giardiniere dovrebbe essere interpretata solo da giardinieri, il povero solo dai poveri, il mafioso solo dai mafiosi, il monarca solo dalle teste coronate, il Papa solo dal Papa. Arriveremmo al punto che se nel film un personaggio svolgesse un qualsiasi mestiere e non l’attore, quel personaggio non dovrebbe essere interpretato da attori perché così apparirebbe più autentico. Paradossale.
Tom Hanks è troppo in gamba per non sapere queste cose. Allora quale il motivo di questa uscita? Agevole intuirlo: assecondare il gaiamente corretto. La bontà di questa conclusione si può ottenere facendo la prova del nove proponendo di essere coerenti con il principio indicato da Hanks – ruoli gay ai gay – fino in fondo e quindi anche a parti invertite. Che dire se proponessimo che i ruoli eterosessuali – ad esempio pensiamo ad una storia di amore tra lui e lei – siano interpretati solo da persone eterosessuali? Si griderebbe alla scandalo, alla discriminazione. Si direbbe tra l’altro: “Credete che i gay possano interpretare solo ruoli gay?”. Ma se questa affermazione fosse corretta dovremmo applicarla anche alle persone etero: “Credete che gli etero possano interpretare solo ruoli etero?”. Ma sarebbe vietato dirlo. Dunque, il risultato è sempre quello: due pesi e due misure.
L’uscita di Hanks si inserisce in una certa tendenza culturale ormai ben presente nei paesi occidentali da molti anni: in tutti gli ambiti lavorativi, sempre più, si stanno chiedendo quote arcobaleno di professionisti, maggiore presenza dei gay dovunque – quasi che in ogni ambito della vita ci debbano essere esponenti LGBT per garantirne inclusività e rispetto – gay che in realtà rappresentano solo una sparuta percentuale della popolazione mondiale. La scusa della rappresentanza nella società è un efficace stratagemma per cancellare criteri quali il merito, la competenza, l’esperienza. In buona sostanza Hanks ha detto quello che ha detto per apparire inclusivo e molto gay friendly.
L’attore californiano è sempre stato a favore delle rivendicazioni del mondo LGBT, sin proprio dal film Philadelphia il quale ha favorito in modo significato lo sdoganamento dell’omosessualità nel percepito collettivo. La tecnica di persuasione usata in quel film è uno dei cavalli di battaglia delle strategie arcobaleno: si narra la vicenda di una persona omosessuale doppiamente vittima, sia perché malata terminale di AIDS sia perché licenziata ingiustamente. Questa doppia condizione di sfavore suscita nello spettatore giusti sentimenti di solidarietà verso l’avvocato omosessuale e da lì il passo è breve per accogliere non solo la persona omosessuale, ma l’omosessualità stessa. Dalla giusta comprensione per il caso umano all’ingiusta accettazione dell’omosessualità.
La tecnica del vittimismo spesso si lega con un’altra strategia culturale: gli scudi umani. Davanti all’obiettivo sensibile che si vuole tutelare – in questo caso l’omosessualità – si mette una vittima: ad esempio il gay malato di AIDS o ingiustamente discriminato. Accade così che se ti azzardi a criticare non la persona, bensì la condotta o l’orientamento omosessuale, questa tua critica viene trasformata automaticamente in una critica alla persona in quanto tale e dunque vieni tacciato di insensibilità, di integralismo, di discriminazione. Si trasferisce così indebitamente la censura dalla condotta/orientamento alla persona in quanto tale, alla sua responsabilità: dal piano oggettivo al piano soggettivo. Dunque impossibile colpire l’omosessualità senza colpire la persona omosessuale.
Da notare, in ultimo, che il film, che valse l’Oscar a Tom Hanks, è un tripudio del politicamente corretto: le persone omosessuali sono tutte buone, gli etero cattivi, l’avvocato difensore di Hanks è una persona di colore. Una pellicola a prova di critica.