Due passi avanti ed uno indietro. Oggi registriamo un passo indietro nella marcia per la diffusione delle pratiche eutanasiche in territorio elvetico. In Svizzera l’aiuto al suicidio è stato depenalizzato sin dal 1940. Incorre in sanzioni solo chi procura direttamente la morte – non sarebbe più aiuto al suicidio ma omicidio – e chi nutre qualche interesse personale dalla morte dell’aspirante suicida.
La Swiss Academy of Medical Sciences (SAMS) ha pubblicato il 19 maggio scorso nuove linee guida in materia di suicidio assistito. Queste linee guida sono frutto dei risultati del Programma nazionale di ricerca «End of Life», dell’audizione di esperti e di uno studio commissionato dalla SAMS stessa sull’atteggiamento dei medici in merito al suicidio assistito. Le prime linee guida dal titolo «Gestione del morire e della morte» sono state pubblicate nel 2018. Nel maggio di quest’anno sono state appunto aggiornate.
La SAMS ci informa che nelle nuove linee guida «il suicidio assistito per persone sane non è giustificabile dal punto di vista medico ed etico». Dunque niente aiuto al suicidio per persone fisiologicamente sane, ma, ad esempio, depresse o affette da demenza senile. Inoltre «il suicidio assistito è giustificabile nel caso di un paziente capace [di intendere e volere] se soffre in modo insopportabile a causa di sintomi di una malattia e/o di menomazioni funzionali». Ma non basta tutto questo per dare semaforo verde al suicidio assistito, infatti occorre che «la gravità della sofferenza sia corroborata da una diagnosi e una prognosi appropriate e siano state previste altre opzioni infruttuose o rifiutate dal paziente in quanto irragionevoli». Inoltre «il medico deve – salvo casi eccezionali giustificati – condurre almeno due colloqui dettagliati con il paziente, separati da un intervallo di almeno due settimane». Dunque niente motivi psicologici per accedere al suicidio assistito, accesso consentito solo a pazienti capaci di intendere e volere, affetti da dolore insopportabile provato clinicamente – seppur tale prova sia ardua da ottenere – solo dopo aver provato altre soluzioni che si sono rivelate inefficaci o oggettivamente irragionevoli e dopo un doppio colloquio con il medico. Infine la SAMS tiene a precisare che «i pazienti non possono pretendere di avere diritto al suicidio assistito e che i medici sono liberi di decidere se considerare o meno questa opzione». Un nota bene: queste linee guida hanno solo valore disciplinare per i medici, ma non sono vincolanti giuridicamente.
Va da sé che anche a fronte di tutti questi paletti il suicidio assistito rimane una pratica intrinsecamente malvagia. Nonostante questo, è interessante notare questo parziale cambio di rotta della classe medica, forse determinato dal fatto di voler porre un freno ad una certa deriva eutanasica in Svizzera. Infatti i suicidi assistiti rappresentano l’1,5% dei 67mila decessi registrati in media ogni anno e la Svizzera è meta del cosiddetto turismo eutanasico proveniente dagli altri paesi.
Insomma, a volte la pallina sul piano inclinato decelera o, addirittura, risale. Ciò detto la prudenza ci ricorda che, come accennato all’inizio, un passo indietro a volte è solo il preludio di due passi avanti.