L’opinione pubblica ne ha appena appena un’attutita percezione, in realtà le nostre conversazioni online, telefoniche e social,sono più “affollate” di quel che si pensi. Emittente e ricevente non sono soli, anche quando lo credano. Vi sono molti, troppi occhi, molte, troppe orecchie che guardano ed ascoltano quel che diciamo, quel che scriviamo, quel che scambiamo. Ed altri vorrebbero aggiungersi.
È stata accolta così con una certa inquietudine la decisione assunta lo scorso 12 novembre dai ministri degli Interni dell’Ue, riunitisi a Brdo, in Slovenia, quella di voler attuare un filtraggio obbligatorio delle nostre comunicazioni private, accogliendo così la proposta avanzata dalla Commissione europea, che ha chiesto di presentare in merito un apposito progetto di legge già agli inizi del 2022. Non è fantapolitica, è tutto scritto, nero su bianco, nella dichiarazione finale della conferenza, convocata dalla presidenza slovena del Consiglio.
Cosa cambierebbe, se questo disegno di legge dovesse essere approvato? I gestori dei servizi di messaggistica come WhatsApp ed altri sarebbero obbligati a cercare automaticamente, con un apposito algoritmo, in tutte le nostre comunicazioni, criptate e non, messaggi privati e foto dai contenuti ritenuti sospetti, specie in termini di lotta alla pedopornografia, ed a segnalarli automaticamente alle forze dell’ordine. Ma chi può garantire che occhi ed orecchie indiscreti si limitino a monitorare quel tipo di contenuti e non altri?
L’eurodeputato Patrick Breyer, esponente del Partito Pirata tedesco, ha parlato in merito di «follia della sorveglianza: i nostri smartphone devono essere trasformati in spie e usati contro di noi. Questa ricerca nella nebbia non porrà mai fine agli abusi, anzi non farà altro che spingere i criminali più lontano nel Darknet, ciò che renderà le azioni giudiziarie ancora più difficili. Chiedo ora a tutti gli europei di opporsi a questo piano senza precedenti». L’averlo fatto finora, anche con pubbliche proteste scoppiate in tutto il mondo, ha dato «i propri frutti, come testimonia il fatto che la Commissione abbia già dovuto rimandare più volte i suoi piani totalitari. Ma continuerà in tutte le maniere, se la lasciamo fare», ha concluso Breyer.
L’atteggiamento assunto in sede di Unione europea non è improvvisato, né nasce dal caso: già il 27 ottobre 2020 uscì il rapporto Tecnologia e democrazia: comprendere l’influenza delle tecnologie online sul comportamento politico e sul processo decisionale, pubblicato dal Ccr, il Centro Comune di Ricerca della Commissione europea. Il testo mostra con chiarezza come e quanto i social abbiano «rivoluzionato il modo in cui viviamo la politica, coinvolgendo più cittadini nel processo politico e consentendo alle voci delle minoranze di essere ascoltate». Tutto bene, dunque? Non proprio. Il rapporto evidenzia come essi consentano anche «di diffondere facilmente messaggi polarizzanti e informazioni inaffidabili», penalizzando la «capacità di prendere decisioni politiche informate» con conseguenze «pericolose sulle nostre società democratiche». Avrebbero anzi «un potenziale considerevole di poter minare il confronto democratico». È evidente come questo sia un boccone troppo ghiotto, per non buttarcisi a capofitto. Tant’è vero che già in quello studio si annunciava l’intenzione della Commissione europea di mettere a punto «un nuovo piano d’azione per la democrazia europea»: piano, per il quale i tempi sembrano evidentemente maturi.
Anche Bruno Breton, amministratore delegato di Bloom, uno dei massimi esperti di media digitali, è dell’avviso che «le reti sociali – come ha dichiarato recentemente al settimanale L’Express – stiano cambiando la democrazia in profondità».
Ricorrendo ad una tecnologia di «inferenza sociale e semantica», Bloom analizza costantemente dal punto di vista qualitativo, predittivo e strategico le conversazioni sul 90% delle piattaforme di tutto il mondo, da Facebook, TikTok e Twitter a quelle cinesi come Weibo,WeChat e Kuaishou, verificandone l’influenza sulla vita quotidiana ed osservando anche le abitudini dei consumatori. Il 97% dei contenuti veicolati online consiste in conversazioni tranquille, pacifiche, tra familiari, amici o colleghi di lavoro, nell’80% dei casi senza alcuna connessione con gli influencer. Ma i costumi, il linguaggio, gli stessi valori stanno pian piano cambiando, si stanno inesorabilmente modificando, come già a suo tempo avvenne con la televisione, quando al modello tradizionale di famiglia europea si sovrappose gradualmente, prendendone purtroppo il posto, il devastante modello “allargato” di famiglia americana. Oggi sta avvenendo una nuova rivoluzione sul piano morale. Visti i precedenti, sarebbe bene prestarvi doverosa attenzione, per evitare di chiudere la stalla, quando i buoi sono già scappati.