Quest’anno si celebrano i 150 anni dalla nascita di santa Teresina di Lisieux (Alençon, 2 gennaio 1873), la giovane carmelitana che ha indicato e indicherà fino alla fine dei tempi la «piccola via» per raggiungere il Paradiso, una via umile, difficile, perché occorre dare pugni all’orgoglio personale, fino ad annullarlo. Ma una volta atterrato la superbia la strada diventa semplice.
Quest’anno cadono anche i 100 anni dalla sua beatificazione (29 aprile 1923), che precedette la canonizzazione di soli due anni (17 maggio 1925). Il Giubileo carmelitano dedicato a santa Teresina è stato aperto l’8 gennaio scorso nella Basilica di Lisieux con l’apertura della Porta Santa da parte di monsignor Habert, vescovo di Bayeux e Lisieux.
La devozione verso santa Teresina, già manifestatasi fra i soldati francesi durante la prima guerra mondiale, si accrebbe notevolmente dopo la sua canonizzazione, e ben presto, con l’arrivo delle grandi folle dei pellegrini, si rese necessario costruire una grande basilica nella città dove la santa era vissuta e aveva lasciato la terra il 30 settembre del 1897. Fu soprattutto papa Pio XI, molto devoto alla santa di Lisieux, fino a farne fonte di ispirazione centrale del suo pontificato, a sostenere attivamente il progetto. Nel 1926, l’architetto parigino Jules Barbier presentò la sua proposta: un grande edificio neogotico non lontano dal convento del Carmelo, ispirato al santuario di Lourdes. L’anno seguente l’architetto Louis-Marie Cordonnier di Lille fece un’altra proposta, totalmente diversa, ispirata alla basilica del Sacro Cuore di Parigi e fu proprio questo progetto ad essere approvato.
Santa Teresina venne proclamata patrona dei missionari il 14 dicembre 1927, quindici giorni dopo morì il vescovo Lemonnier, e il suo successore, Emmanuel Suhard, manifestò il timore che il progetto fosse troppo ambizioso in rapporto alle risorse disponibili. Tuttavia, le ingenti donazioni che giunsero al Carmelo, le offerte che arrivarono da tutto il mondo e l’appoggio del Pontefice permisero la prosecuzione dei lavori. Il cantiere venne aperto il 30 settembre 1929 con la posa della prima pietra da parte del cardinale Alexis-Armand Charost, arcivescovo di Rennes e legato pontificio. La cripta fu inaugurata l’11 luglio 1937 al termine del Congresso eucaristico nazionale tenuto dal cardinale Eugenio Pacelli, all’epoca legato pontificio e futuro papa Pio XII. La basilica venne consacrata l’11 luglio 1954 dall’arcivescovo di Rouen e primate della Normandia, Joseph-Marie-Eugène Martin, in presenza dell’arcivescovo di Parigi, Maurice Feltin.
Céline Martin (1869-1959), una delle quattro sorelle di santa Teresina, entrata nel Carmelo di Lisieux nel 1894 con il nome di suor Geneviève del Volto Santo, curò personalmente, nel 1951, gli scritti di suor Teresina presenti nel suo diario personale – che diventerà la celeberrima Storia di un’anima, la cui tiratura oggi è stimata in oltre 500 milioni di copie e tradotta in più di 50 lingue – in vista della beatificazione e canonizzazione. Al processo, quando il promotore della fede domandò a suor Céline perché desiderava la beatificazione di suor Teresa, gli rispose che era per far conoscere la «piccola via», come ella chiamava il suo modo di assurgere alla Santissima Trinità. Il promotore replicò in questi termini: «Se parlate di “via” la causa cadrà inevitabilmente, come è successo già in diverse circostanze analoghe». E lei, con sicurezza: «Tanto peggio, la paura di perdere la causa di suor Teresa, non mi impedirà certo di valorizzare il solo punto che mi interessa: fare in certo modo canonizzare la “piccola via”» (Consigli e ricordi, capitolo «Spirito d’infanzia», Città Nuova, Roma 1973, pp. 47-59).
La causa non naufragò affatto.
Già san Pio X, nel corso di un’udienza privata concessa ad un missionario, parlandogli di Teresa di Lisieux, la cui fama cominciava a dilagare nel mondo, gli confidò: «È la più grande santa dei tempi moderni». Pio XI definì la vicenda ecclesiale della giovane carmelitana un «uragano di gloria». Benedetto XV esaltò l’«infanzia spirituale» di santa Teresina. In tempi fulminei ella divenne la fanciulla più amata del mondo, venerata da innumerevoli devoti e ammirata da intellettuali, artisti e teologi: da Georges Bernanos a Paul Claudel, da Gilbert Cesbron a Julien Green, da François Charles Mauriac a Emmanuel Mounier, da Jean Guitton a Thomas Merton… Il 19 ottobre 1997, nel centenario del dies natalis, fu proclamata Dottore della Chiesa da Giovanni Paolo II.
Ebbe a dire Benedetto XVI nella sua catechesi di mercoledì 6 aprile 2011: «Appena dò un’occhiata al Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre… Non è al primo posto, ma all’ultimo che mi slancio… Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui”. “Fiducia e Amore” sono dunque il punto finale del racconto della sua vita, due parole che come fari hanno illuminato tutto il suo cammino di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua “piccola via di fiducia e di amore”, dell’infanzia spirituale. Fiducia come quella del bambino che si abbandona nelle mani di Dio».
Santa Teresina di Lisieux iniziò la sua «corsa di gigante» nella Notte Santa del 25 dicembre del 1887, quando aveva appena 14 anni: la chiamò la sua completa «conversione», fu il momento in cui, attraverso una grazia particolare, riscoprì in sé «la forza d’animo perduta all’età di quattro anni, il suo equilibrio e la piena padronanza di sé». Si sentì spiritualmente accesa da un grande fuoco di amore verso Dio, di amore e comprensione verso il prossimo, di zelo apostolico per le anime e per la loro salvezza. Ispirandosi a santa Giovanna d’Arco, si dichiarò decisa a «conquistare la fortezza del Carmelo con le armi» perché non sarà facile entrarvi a causa anche della sua giovanissima età.
C’è una preghiera di Jacques Bénigne Bossuet, vescovo e predicatore del Seicento, che ben si addice alla spiritualità della piccola via di Teresina, gettando luce sul valore intramontabile della missionarietà evangelica tradizionale: «Gran Dio… non lasciare giammai che alcuni spiriti, di cui alcuni si annoverano tra i dotti, altri tra gli spirituali, possano essere accusati al tuo terribile tribunale di aver contribuito in qualche modo a chiuderti l’accesso in non so quanti cuori, perché tu volevi entrarvi in un modo la cui sola semplicità li urtava, e attraverso una porta la quale, benché aperta dai santi fin dai primi secoli della Chiesa, non era, forse, ancora abbastanza loro nota; piuttosto fa’ in modo che, diventando tutti piccoli come fanciulli, come Gesù Cristo comanda, noi possiamo entrare una buona volta per questa piccola porta, per poterla poi mostrare agli altri con più sicurezza e con più efficacia. Così sia». È lo stesso Bossuet, che convertì molti protestanti, che disse in punto di morte: «Se potessi ricominciare a vivere, non vorrei essere che un piccolo fanciullo che dà sempre la mano al Bambin Gesù». Non è certo un caso che la quindicenne Marie-Françoise Thérèse Martin nel vestire l’abito carmelitano nell’aprile del 1888 prese il nome programmatico di Suor Teresa di Gesù Bambino: la sua semplicità teologica rispecchia la Somma Umiltà del Verbo incarnato nel seno di Maria Vergine, nato nella grotta di Betlemme, vilipeso fra mille tormenti, ucciso per crocifissione. I nostri traviati tempi non danno più alcun valore e spazio all’umiltà. L’orgoglio umano è soggiogato da se stesso e nell’autoesaltazione ci si inabissa negli errori personali e collettivi. Solo nell’umiltà ci si riconosce vere persone, vere creature, bisognose soltanto del Creatore, al quale si arriva unicamente ritornando bambini (Mt 18, 3), attraverso la «piccola via» e la porta stretta.