(Cristina Siccardi) Ciclicamente la figura dell’anticristo si manifesta in diverse forme e la paura attanaglia le genti: sconvolgimenti naturali, epidemie, guerre, persecuzioni, catastrofi, eresie, corruzione dei costumi, allontanamento dalla dottrina, apostasia, crisi della Chiesa… sono alla base del terrore di matrice apocalittica, un sentire che è tornato a serpeggiare ai nostri giorni, dove la perdita di ragione e di fede, dentro e fuori la Chiesa, ha carpito l’Occidente in maniera ossessiva e molti si fanno prendere dal panico, sragionando anch’essi. È evidente che la presenza del principe di questo mondo faccia sentire il suo ruggito a livello planetario più o meno fortemente a seconda dei tempi, ma ciò non significa che debba essere per forza la fine dei tempi. Nei momenti di più intensa drammaticità storico-spirituale per la Chiesa, il Signore manifesta la Sua costante presenza attraverso i suoi santi.
Quest’anno cade un anniversario molto importante a questo riguardo, infatti, seicento anni fa moriva il domenicano Vincenzo Ferreri, in valenciano Vicent Ferrer (1350-1419), la cui possente voce risuonava nell’Europa del tardo medioevo di fronte alla confusione più totale delle popolazioni decimate dalla peste, dalla guerra dei Cent’anni e spiritualmente sconvolte dal grande scisma d’Occidente. Lui stesso venne ingannato, purtuttavia fu artefice di una gigantesca e benefica restaurazione della fede in migliaia di anime. L’inquietudine dei tempi ultimi, di cui l’evangelista san Giovanni traccia la narrazione profetica nel libro dell’Apocalisse, percorre le vene dei cristiani da sempre, ma il «codice rosso» scatta allorquando l’ordine religioso e civile viene avvinto da una spirale di morte. Il Signore permette l’errore e talvolta l’abominio, ma Sua è la vittoria.
La predicazione e i miracoli di san Vicent Ferrer ricordano che Dio è misericordioso e non dimentica mai e poi mai il Regno dei Suoi fedeli, perché quel Regno è Suo, perciò non si deve attendere un’altra età per salvarsi, ma, come affermava il santo predicatore, «il giorno della salvezza è oggi». Egli diceva e dice che l’ora delle sofferenze corrisponde all’ora della battaglia contro l’errore e contro l’orrore. Nato da una famiglia altolocata di Valencia, in Spagna, nel febbraio del 1367 entrò nell’Ordine mendicante dei Predicatori, dove si distinse come brillante studente. Per il conseguimento del titolo universitario in filosofia scrisse due trattati: De suppositionibus dialecticis e il De unitate universalis, che costituiscono la sintesi del suo pensiero, in antitesi con l’occamismo e in sintonia con Aristotele e Tommaso d’Aquino, conciliando perfettamente fede e ragione.
Come attestano gli archivi del Capitolo di Terragona dell’8 settembre 1737, Ferrer si dedicò agli studi di teologia a Barcellona, approfondì lo studio della Bibbia e imparò l’ebraico. Raggiunse poi, per terminare gli studi, il grande centro domenicano di Tolosa e fino al 1378 perfezionò la sua formazione tomistica. Di ritorno a Valencia, fu eletto priore del suo convento e in questo stesso anno scoppiò il grande Scisma d’Occidente. In un clima di violenta crisi, Urbano VI (1318-1389) succedette a Roma a Gregorio XI (1330-1378), ma alcuni cardinali francesi dichiararono nulla l’elezione e il 20 settembre 1378 elessero un altro papa, Clemente VII (1342-1394), il quale, non potendo cacciare il primo eletto, si insediò ad Avignone, inviando poi come legato il cardinale d’Aragona Pedro Martínez de Luna y Pérez (1328-1423), prossimo antipapa con il nome di Benedetto XIII, al fine di difendere la propria causa e legare i regni di Spagna alla sua obbedienza. Nel 1380 proprio il cardinale de Luna ordinò sacerdote Vicent Ferrer, il quale abbandonò la sua carica di priore per accompagnare il cardinale, che divenne suo amico. Per tre anni andarono a discutere con le Cortes l’annessione della Castiglia e dell’Aragona all’obbedienza avignonese. È di questo periodo il trattato di Ferrer De moderno Schismate, diretto contro la neutralità sullo scisma del re d’Aragona Pietro IV (1319-1387).
A Valencia la sua attività è intensa: interviene negli affari pubblici, scioglie le lotte intestine fra lefamiglie potenti, spesso arbitra nei processi; si occupa anche dell’assistenza agli orfani, dell’educazione delle giovani di strada. Diventa direttore spirituale della regina Iolanda d’Aragona e di altri uomini di potere. Alla morte di Clemente VII, nel 1394, viene eletto Papa dai cardinali di obbedienza avignonese proprio quel Pedro Martínez de Luna y Pérez che il giovane domenicano aveva conosciuto alla corte d’Aragona, il quale sarà deposto dal Concilio di Costanza nel 1417, ma de Luna continuerà ad essere antipapa fino alla morte. Benedetto XIII sceglie Ferrer come suo confessore personale, direttore spirituale, consigliere, cappellano e lo nomina penitenziere apostolico. Gli offre anche la nomina a cardinale, ma il santo la rifiuta.
Ad Avignone la situazione si degrada sempre più fino a precipitare. L’antipapa ha quasi tutti contro e la Francia stessa si sottrae alla sua obbedienza il 1° settembre 1398. I negoziati in vista dell’unità della Chiesa non riescono ad andare in porto e le truppe del maresciallo Jean II Le Meingre detto Boucicaut (1364-1421) cingono d’assedio Avignone. L’azione di Ferrer per riunire la Chiesa intorno a Benedetto XIII si liquefa. Il mistico dell’unità, a questo punto, attraversa una grave crisi di coscienza e cade gravemente malato, perciò si ritira nel monastero dei benedettini di Avignone. Sfugge alla morte e guarisce miracolosamente il 3 ottobre 1398 dopo una visione: Cristo, accompagnato da san Domenico di Guzman (1170-1221) e da san Francesco d’Assisi (1181/1182-1226), gli rivela la sua missione. Benedetto XIII conta su di lui, nella sua fedeltà e gli offre la sede vescovile vacante di Valencia, ma egli accetta soltanto il titolo di legato a latere Christi. Provvisto di questo titolo il 22 novembre 1399 inizia la sua eclatante missione europea facendosi assertore del primato pontificio: sia Caterina da Siena (1347-1380) che Vicent da Valencia asseriscono che il Papa è Cristo in terra.
Il fatto che Benedetto XIII non fosse più credibile per la sua eccessiva ostinazione e che avesse ingannato il suo amico non basta a spiegare umanamente la partenza di Ferrer per le strade d’Europa. Egli operò su mandato divino per riformare non le strutture ecclesiastiche, bensì i costumi dei cristiani, a cominciare dai prelati e dai religiosi: seguendo san Domenico vuole difendere la verità e sull’esempio di san Francesco vive la povertà e richiama tutti con vigore alla penitenza. La sua riforma è una restaurazione etica in grado di ricreare la perduta unità e così facendo contribuisce, con altre anime oranti a lui contemporanee, a fermare l’anticristo. La sua teologia cristocentrica gli permette di superare le contraddizioni dello scisma e della Chiesa visibile. Redige lo Speculum dei frati predicatori, che preannuncia l’Imitatio Christi (1380-1471) del monaco Tommaso da Kempis e il De Vita spiritualis, composto probabilmente fra il 1405-1407 in Italia, dove offre la riflessione e l’esempio di un uomo di Dio chino sulle anime consacrate, preoccupato del loro procedere verso la Santissima Trinità. Una raccolta dei suoi sermoni, inoltre, è stato strumento di formazione ed evangelizzazione per generazioni di religiosi. Ristabilire l’ortodossia diventa per padre Ferrer un impegno prioritario per ricreare l’unità in Cristo. La sua parola di verità è fuoco ed è in grado di convertire ebrei, musulmani, valdesi, catari, i «puri» della Lombardia, mettendo fine anche al culto del sole in Svizzera. Tutti, senza nessuna discriminazione, com’è proprio della cattolicità della Chiesa di Roma, richiama all’unità nel Corpo e nel Sangue del Redentore attraverso la confessione.
Questo «angelo dell’Apocalisse», come egli stesso si definì, fu uno dei protagonisti della risurrezione d’Europa, che attraversò per gran parte a piedi nudi o su di un asino. Pur parlando soltanto il valenciano, il monaco predicatore e diplomatico – contemporaneo sia della domenicana santa Caterina che del francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) – seguito dai potenti e dalle folle, veniva compreso da tutti i presenti, pur essendo di lingue differenti dalla sua, dando così alla propria missione un carattere miracoloso e apostolico. Nel 1416 circa, su richiesta del duca Giovanni V (1339-1399), si recò in Bretagna, regione che non lasciò più, se non per incontrare il re d’Inghilterra Enrico V (1387-1422) a Caen.
Dopo la sua morte, a diffonderne la fama della sua santità furono soprattutto i prodigi operati per sua intercessione: secondo i suoi biografi «era un miracolo quando non faceva miracoli», ne compiva decine ogni giorno: oltre a dominare le forze della natura, guariva i malati, liberava gli indemoniati, resuscitava i morti, convertiva peccatori, eretici, non-cristiani.
Morì il 5 aprile 1419 all’età di 69 anni a Vannes, nella cui cattedrale di San Pietro sono ancora oggi conservate le sue spoglie. Fu canonizzato dal suo compatriota Callisto III (1378-1458) il 3 giugno 1455 nella chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva a Roma. La sua devozione nel mondo non si è spenta: è particolarmente presente là dove si trovano i Domenicani e nei territori spagnoli, compresa l’America Latina, ma anche in Italia, soprattutto al Sud, dove è considerato praticamente un italiano, popolarmente conosciuto, infatti, come Vincenzo Ferreri, il santo che allontana i terremoti e gli anticristo.