Quando un atto è nullo e privo di ogni valore

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FONTE IMMAGINE: Voice of the Family (https://voiceofthefamily.com/)
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L’errore essenziale dell’anglicanesimo è la sottomissione del potere spirituale a quello temporale. Tale sottomissione non può mai concedersi, in quanto l’autorità discrezionale del potere temporale viene esercitata su indifferenti “questioni tecniche”, sulle quali il potere spirituale “non può ritenersi adeguato né dotato di giurisdizione”. In tutte le questioni che riguardano la legge morale – questioni che toccano il deposito della verità che Dio ha affidato ai successori degli Apostoli – la gerarchia della Chiesa esercita la giurisdizione suprema e Dio esige che le verità della legge morale vengano riconosciute e rispettate dai detentori del potere temporale in ogni tempo e luogo. Per questo la nostra fede insegna che il successore di San Pietro è il capo visibile non solo del clero, ma di tutta la Chiesa, e dunque tanto il clero quanto i laici, motivo per cui chi rifiuta un tale insegnamento, cade nell’eresia. I cattolici, al contrario, devono, come richiede il nostro credo, accogliere e professare tutto ciò che è stato trasmesso, definito e dichiarato solennemente dal Primo Concilio Ecumenico Vaticano sul primato del Romano Pontefice e condannare, rigettare e anatematizzare quanto vi è di contrario.  

Periodicamente, capita di incontrare persone convinte che Enrico VIII fosse un cattolico perché aderiva a molti elementi della dottrina cattolica. Non era affatto così. Sottraendosi alla suprema giurisdizione del potere spirituale, si separò dal corpo mistico di Cristo. Come insegna san Tommaso: «L’eretico che rinnega un articolo di fede non ha l’abito della fede né formata, né informe. Questo perché la specie di un abito dipende dalla ragione formale dell’oggetto, eliminata la quale la specie dell’abito non può sussistere. Ora, l’oggetto formale della fede è la Prima Verità in quanto si rivela nella Sacra Scrittura e nell’insegnamento della Chiesa. Perciò chi non aderisce, come a regola infallibile e divina, all’insegnamento della Chiesa, che scaturisce dalla Prima Verità rivelata nella Sacra Scrittura, non ha l’abito della fede, ma ne accetta le verità per motivi diversi dalla fede» (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIª-IIae q. 5 a. 3 co., nota del traduttore).

Oggi abbiamo acquisito fin troppa familiarità con il politico “cattolico” che è “personalmente contrario” all’aborto, ma che nelle sue funzioni pubbliche rimuove ogni ostacolo a questo mostruoso crimine. Queste persone, per giustificare i loro atti malvagi, adducono come argomento solo l’utilità o la “scelta”. Il sovrano del Regno Unito può affermare che la “convenzione” – cioè, in termini cattolici, il diritto pubblico consuetudinario (fonte di diritto costituita dalla ripetizione costante di un determinato comportamento da parte della generalità dei soggetti, accompagnato dalla convinzione della sua obbligatorietà giuridica, ndt) – gli impone di negare il suo assenso a proposte di legge approvate da entrambe le Camere del Parlamento solo su consiglio dei suoi ministri. Tuttavia, tale consuetudine non può scagionarlo dalla responsabilità dell’emanazione di “leggi” di per sé immorali più di quanto un soldato non possa discolparsi da un crimine di guerra con la motivazione che “stava solo obbedendo agli ordini”.

C’è una profonda ironia nel fatto che la corona, che ha dotato il parlamento del potere di chiedere ai suoi sudditi di giurare obbedienza al potere temporale sulla propria coscienza, ora veda quel potere defluire nelle mani di quello stesso parlamento, che ora chiede a sua volta alla corona di giurare sulla propria coscienza per obbedienza. Ma, nonostante l’ironia, la coscienza esige che al parlamento assassino venga data la stessa risposta che è stata data al monarca assassino: «Sono il buon servitore di Cesare, ma, ancor prima, di Dio».

Senza dubbio è per questo che Papa Zaccaria suggerì a Pipino il Breve che non è appropriato che qualcuno porti il nome di re qualora non eserciti alcun potere effettivo. In questo modo, una persona verrebbe resa moralmente responsabile di azioni su cui ha poco potere reale. Similmente, sant’Agostino ha insegnato che il diritto pubblico non può essere addotto a favore di atti pubblici immorali. La legge divina e naturale non può essere subordinata alle leggi degli uomini.

«Gli esseri umani e i popoli [non] appartengono alla classe delle cose eterne, che non possono né mutare né perire [… ma sono] mutevoli e soggetti al tempo […]. Supponiamo che un popolo sia ben formato alla moderazione e alla saggezza e sia custode diligente del bene comune, sicché ciascuno stima di meno il proprio interesse che quello pubblico. In tal caso non è ragionevolmente costituita la legge che consente al popolo di eleggere i propri magistrati, dai quali sia curato il suo interesse, cioè quello pubblico? […] Ma supponiamo ancora che il medesimo popolo, gradualmente depravatosi, anteponga l’interesse privato al pubblico, permetta il broglio elettorale e, corrotto dagli ambiziosi, affidi il governo di se stesso a disonesti e delinquenti. In tal caso, se v’è una persona onesta che abbia molto prestigio, non dovrebbe, egualmente secondo ragione, togliere al popolo il potere di conferire le cariche e ridurlo al potere illimitato di pochi onesti o anche di uno solo?» (S. Agostino, De Libero Arbitrio, libro I, 6, 14 ndt).

Naturalmente, nessuno sta suggerendo colpi di stato militari in difesa della vita, ma sant’Agostino chiaramente non aveva idea che la legge umana positiva avrebbe potuto un giorno prevalere in qualche modo sulle esigenze della legge morale.

In effetti, è particolarmente sconveniente per gli ammiratori della monarchia ereditaria come sistema (di governo ndt) sostenere che un monarca imprigionato da convenzioni che presumibilmente gli impongono di dare l’assenso a “leggi” persino immorali dovrebbe sottomettersi a questa malvagità piuttosto che sfidare la volontà dei rappresentanti amorali di un popolo presumibilmente sovrano.

Anche se immaginassimo ciò che chiaramente non è vero – cioè che l’assenso dato dal monarca sia universalmente riconosciuto come puramente cerimoniale, in modo tale che egli non sia moralmente compromesso in alcun modo dall’affermazione che il disegno di legge in esame rifletta la sua volontà – questo non porterebbe comunque a nulla, perché tale falsa affermazione sarebbe essa stessa gravemente immorale. Gli apologeti della massoneria a volte giustificano i giuramenti malvagi fatti dai suoi aderenti con il fatto che essi non ne avrebbero la reale intenzione, ma i cattolici obiettano giustamente che questa scusa non risolve nulla. Se il massone comprende il significato delle proprie parole, pronuncia una bestemmia; viceversa, uno spergiuro. Resta il fatto che l’assenso del monarca viene solennemente pronunciato in Parlamento da commissari che, presumibilmente, lavorano per lui e tale pronunciamento è una condizione necessaria perché il progetto di legge divenga legge. Anche in questa fase dell’iter, egli è ancora in grado di ordinare ai suoi ministri di non permettere questa cerimonia o, addirittura, di ripudiarla con una pubblica dichiarazione.

Una legge ingiusta non è una legge, ma un atto di violenza. Quando un uomo si rifiuta di conformare le proprie azioni a una presunta legge umana che richiede la violazione della legge divina o naturale, non agisce come un rivoluzionario, ma come un controrivoluzionario. In questo caso, conformarsi alla presunta legge umana significherebbe fare il male (contravvenire alla legge di Dio) affinché ne derivi un bene (la pace sociale). Ma questa pace è una mera assenza di conflitti e controversie tra gli uomini. Non è la tranquillità dell’ordine che può venire solo con la conformità della società umana alla legge di Dio. «E curavano le ferite della figlia del mio popolo colle ciance dicendo: “pace, pace!” e pace non c’era» (Geremia 6,14).

Immaginiamo che un cristiano del secondo secolo venga convocato davanti a un magistrato romano con l’ordine di bruciare incenso davanti a una statua di Giove. Naturalmente rifiuta, preparandosi alle agonie dell’arena, fino a quando un avvocato premuroso lo rassicura che Gaio e Ulpiano insistono sul fatto che la convenzione prevede che egli debba davvero dare quel nome impronunciabile al legno e alla pietra (che costituiscono la statua, ndt) – o, per lo meno, far credere di averlo fatto – risultando dunque del tutto scevro da responsabilità in materia. Che assurdità! Che blasfemia!

La legge positiva umana regolamenta questioni che, intrinsecamente, sono (moralmente ndt) indifferenti. Cioè, tutto ciò che vieta o comanda è reso proibito o obbligatorio in virtù della legge umana stessa. In questi casi, la legge umana non esprime un divieto e un comando antecedenti già presenti nella legge naturale o divina, ma è essa stessa la fonte dell’obbligo, derivando la sua forza dalla volontà di Dio che l’uomo viva in società, ma non da uno specifico comando divino. Quando l’obbedienza alla legge umana comporta una contravvenzione alla legge divina o naturale, la prima perde la sua forza di legge. Anzi, seguirla diventa peccato. Nostro Signore riserva parole molto severe per coloro che contravvengono alla legge divina o naturale per amor della legge umana. «Egli rispose loro: «Isaia ha veramente profetato di voi, o ipocriti, quando scrisse: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Vano è il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e prescrizioni di uomini” lasciando da parte il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini”» (Mc 7, 6-8).

La stessa Scrittura esclude l’idea che si possa simulare il consenso a un atto immorale con cui si è privatamente in disaccordo. Nel secondo libro dei Maccabei, capitolo 6, versetti 18-31 (appropriatamente la lettura per la festa dei santi Giovanni Fisher e Tommaso Moro), leggiamo: «Eleazaro, dunque, dei principali tra gli scribi, anziano d’età, di nobile aspetto, apertogli a forza la bocca, volevano costringerlo a mangiare carne di maiale. Ma egli preferendo una gloriosissima morte ad una spregevole vita, volontariamente s’incamminava al supplizio; perché, riflettendo come gli convenisse condursi e sopportar fortemente, deliberò di non voler commettere cose illecite per salvarsi la vita. Quelli però ch’eran presenti, mossi da falsa compassione per l’antica amicizia che gli avevano, chiamandolo da parte, gli suggerivano di farsi portar carni lecite, fingendo di mangiare, secondo l’editto del re, di quelle sacrificate, e così esser libero dalla morte; per l’antica amicizia con lui, gli usavano tal riguardo. Ma egli si mise a pensare all’eminente dignità della sua vecchiezza, all’ingenita nobiltà della sua canizie, alla sua illibata condotta sin da fanciullo; e secondo gli statuti della santa legge da Dio stabilita rispose subito che voleva piuttosto esser messo a morte e disse: “Non conviene alla mia età fingere, in modo che molti tra i giovani, credendo che Eleazaro di novant’anni sia passato ai costumi dei Gentili, restino anch’essi tratti in errore dalla mia simulazione, per amore d’un altro poco di questa corruttibile vita, e cosi io mi attiri il disonore e la maledizione sulla mia vecchiezza. Perché, anche se nella vita presente mi risparmierò i supplizi degli uomini, né vivo né morto sfuggirò alla mano dell’Onnipotente. Perciò, uscendo virilmente da questa vita, mi mostrerò degno della mia vecchiezza, e lascerò ai giovani un nobile esempio, se con prontezza e costanza incontrerò un’onorata morte per leggi così venerabili e sante”. Ciò detto, veniva senz’altro condotto al supplizio. Quelli però che ve lo conducevano, e poco fa gli erano stati benevoli, montarono in furia per le sue parole, che essi pensavano provenire da arroganza. Ma egli, vicino a morire sotto i colpi, gemendo, disse: “Signore che hai scienza santa, tu sai chiaramente che io, mentre avrei potuto liberarmi dalla morte, sostengo nel corpo acerbi dolori; ma nell’animo li sopporto volentieri per il tuo timore”. Così quegli passò di vita, lasciando non solo ai giovani ma all’intera nazione la memoria della sua morte, ed un esempio di virtù e di fortezza».

Il monarca britannico è ovviamente un anglicano, formatosi non solo nell’errore, ma proprio, specificamente, in questo errore: rendere a Cesare ciò che è di Dio. I cattolici non hanno questa scusa.

Coloro che sono stati liberati per grazia di Dio dalla schiavitù dell’anglicanesimo non devono voltarsi indietro, ma rinunciare senza riserve alle sue opere e ai suoi artifici. Come esclamò memorabilmente il più grande dei convertiti da quella setta: «Tornare alla Chiesa d’Inghilterra! No! “La rete è stata spezzata e siamo stati liberati”. Sarei un perfetto idiota (per usare un termine mite) se, nella mia vecchiaia, lasciassi “la terra dove scorrono latte e miele” per la città della confusione e la casa della schiavitù» (Wilfrid Ward, The life of John Henry Cardinal Newman, Longmans Green and Co. Ltd., London, 1927, p. 581, traduzione di Greta Bertani).

Da sotto gli altari gridano le voci dei martiri inglesi mentre dagli aborti e dagli inceneritori che deturpano questo regno si uniscono le voci degli innocenti: «Sino a quando, o Signore, o santo e verace, non giudicherai e vendicherai il sangue nostro su quei che abitano la terra?» (Gv 6, 10, ndt).

(Alan Fimister, Absolutely null and utterly void, in Voice of the Family, 30 novembre 2022)

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