Oltraggi blasfemi: gli interventi della Curia di Milano e di mons. Negri

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La vicenda dello spettacolo blasfemo di Romeo Castellucci “Sul concetto di Volto di Dio”, previsto a Milano dal 24 al 28 gennaio, registra alcuni fatti nuovi che meritano di essere riportati e commentati. In primo luogo la Lettera aperta alle autorità religiose e civili della città di Milano, pubblicata da Andrée Ruth Shammah, direttrice del teatro Francesco Parenti di Milano, che confessa di essere stata inondata di proteste e di essere pronta a sospendere lo spettacolo se le mancherà l’appoggio delle autorità religiose e civili.

L’appello della responsabile del Teatro non è stato però raccolto dalla Curia di Milano, che ha confermato le buone ragioni della protesta cattolica con un comunicato del 15 gennaio che riportiamo testualmente: «Raccogliendo le parole della regista e direttrice del teatro Parenti di Milano Andrée Ruth Shammah, apparse ieri su un quotidiano, a nostra volta domandiamo che sia riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti cittadini milanesi, e non sono certo pochi, vedono nel Volto di Cristo l’Incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza. Proprio perché Milano è una “città che ha sempre rappresentato il pensiero illuminato, la religiosità alta, il dialogo e l`apertura”, invitiamo a considerare che la libertà di espressione, come ogni libertà, possiede sempre, oltre a quella personale, una imprescindibile valenza sociale.

Questa deve essere tenuta particolarmente in conto da parte di chi dirige istituzioni di rilevanza pubblica, per evitare che un’esaltazione unilaterale della dimensione individuale della libertà di espressione conduca ad “tutti contro tutti” ideologico che divenga poi difficilmente governabile. Di questa dimensione sociale della libertà di espressione avrebbe pertanto potuto farsi carico più attentamente al momento della programmazione la direzione del Teatro. La preghiera per manifestare il proprio dissenso non può accompagnarsi a eccessi di qualunque tipo, anche solo verbali».

La dichiarazione della Curia ha il merito di avere rotto il silenzio, senza offrire la sponda richiesta ai ai responsabili del teatro, ma accredita purtroppo un deplorevole equivoco: l’idea cioè che lo spettacolo di Castellucci sia censurabile solo perché offende le opinioni (o, come dice il comunicato, le sensibilità) dei cattolici milanesi.

Se così fosse si tratterebbe di una offesa a quel “secondo me” che, secondo l’UAAR, costituisce il pilastro del credo ateista. Se vogliamo essere testimoni autentici del Vangelo, dobbiamo dire invece che lo spettacolo di Castellucci costituisce una oggettiva offesa a Dio, indipendentemente dal fatto che i cattolici se ne sentano personalmente offesi. Dovremmo infatti dire che offesa non ci sarebbe se fosse mancata la protesta dei cattolici? Ma i cattolici protestano proprio per l’offesa a Dio che lo spettacolo comporta e più precisamente per il suo carattere blasfemo. Non c’è bisogno di assistere allo spettacolo per rendersi conto se blasfemia c’è o non c’è.

Seppure le scelte più oltraggiose e provocatorie fossero state tagliate, la blasfemia si esprime in questo caso nello svolgere una storia delirante di incontinenza di fronte all’adorabile immagine del Volto di Nostro Signore e di concludere l’opera con l’imbrattamento di escrementi o liquame di altro genere dello stesso Volto divino.
Di ben altro tono, la coraggiosa dichiarazione di S. E. mons. Luigi Negri, vescovo di san Marino- Montefeltro,  pubblicata da “La bussola quotidiana” del 16 gennaio, che riportiamo: “Intervengo sulla base delle notizie lette e ascoltate in questo periodo.

Notizie che sono a volte confuse e contraddittorie sui dettagli, ma chiare quanto alla sostanza, provengono da fonti diverse e certamente perciò non sono ideologicamente condizionate. Mi pare che innanzitutto ci sia da dire che questo è un episodio miserevole dal punto di vista della espressione, non dico artistica, ma dell’espressione umana. Ed è certamente la conferma di quello che ho già detto immediatamente dopo gli scontri di Roma del 15 ottobre scorso, in ordine alla distruzione della statua della Madonna: il filo conduttore, che unisce espressioni che apparentemente sembrano divergere moltissimo, è l’anticristianesimo.

Ormai l’ideologia dominante è quella anticristiana, quella che tende all’abolizione sistematica della presenza e dell’annunzio cristiano, sentito come una anomalia che mette in crisi questa omologazione universale operata dalla mentalità laicista, consumista, istintivista. Quindi da questo punto di vista il giudizio non può che essere inappellabilmente negativo: è un’espressione meschina di una volontà di eliminare la tradizione cristiana, in questo caso colpendo il contenuto fondamentale della fede.

Colpendo l’immagine e la figura di Gesù Cristo nei confronti del quale nella scritta finale – credo che apparirà ancora malgrado tutte le modificazioni a cui in qualche modo sono stati costretti – apparirà il rifiuto di essere figli di Dio. E quindi si manifesta la volontà di sostituire alla figliolanza divina la proclamazione della propria autonomia e autosufficienza, che è stato il delirio della modernità. C’è poi il problema della reazione.

Su questo io mi devo avventurare con molta circospezione perché non intendo prestare il fianco a nessuna critica nei confronti di altre Chiese o di altri confratelli. Sono stato molto lieto nell’apprendere che – in situazione analoga – la Chiesa francese e in particolare il capo della Conferenza episcopale francese, il cardinale di Parigi, ha proposto un gesto rigorosamente penitenziale in ordine a questa blasfemia implicando la struttura fondamentale della Chiesa.

Io mi chiedo questo, e su questa domanda mi fermo: una Chiesa particolare – o una connessione di Chiese particolari che aderiscono alle Conferenze episcopali nazionali – che non reagisca in termini assolutamente essenziali e pubblici a questo attacco violento alla tradizione cattolica, io mi chiedo: se non interviene su questo punto, su che cosa interviene? Che cosa mette più in crisi la possibilità di una comunicazione obiettiva della fede di questa serie di iniziative tese a screditare, a criminalizzare, a corrompere la nostra tradizione? Certo che se le Chiese cosiddette ufficiali – ma il termine mi è assolutamente ostico perché la Chiesa è una sola, non è né quella ufficiale né quella carismatica, la Chiesa è il mistero del popolo di Dio nato dal mistero di Cristo morto e risorto e dall’effusione dello Spirito, quindi c’è una Chiesa sola –;

se la Chiesa non reagisce adeguatamente in modo certamente non rancoroso, non livido, assumendo in senso uguale e contrario l’atteggiamento demenziale di questi parauomini di cultura; se non reagisce la Chiesa, allora necessariamente possono intervenire in maniera protagonistica gente o gruppi che nella Chiesa non hanno a cuore soltanto la difesa della Chiesa ma hanno a cuore l’espressione legittima delle loro convinzioni. Allora poi non si dica che la protesta è dei tradizionalisti; la protesta è dei tradizionalisti perché la Chiesa come tale non prende una posizione, che a me sembrerebbe assolutamente necessaria.

Nella mia diocesi non è previsto lo spettacolo, fortunatamente. Questo è il vantaggio delle piccole comunità diocesane, ai margini del grande impero massmediatico. Ma nel caso che nella diocesi di Milano questo spettacolo si verificasse effettivamente, io devo considerare che sono ancora immanente alla Chiesa di Milano e vi sarò finché campo. Sono capo, sono padre della Chiesa di San Marino-Montefeltro, ma sono figlio della Chiesa di Sant’Ambrogio e di San Carlo, nella quale ho ricevuto il battesimo e tutti i sacramenti fino all’ordinazione episcopale. Non potrò quindi non considerare una presa di posizione discreta, misurata, che dica il dissenso di un vescovo di origine ambrosiana nei confronti di quello che accade nell’ambito della società milanese”.

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