Un Sinodo senza trasparenza – “senza parresia e censurato” – è condannato al disastro mediatico perché fa saltare la linea dirimente tra vero e falso

synod2023
VATICAN CITY, VATICAN - MAY 22: (EDITOR NOTE: STRICTLY EDITORIAL USE ONLY - NO MERCHANDISING) Pope Francis attends the opening of the 77th General Assembly of the CEI (Italian Episcopal Conference) at the Synod Hall on May 22, 2023 in Vatican City, Vatican. (Photo by Vatican Media via Vatican Pool/Getty Images)
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 Papa Francesco ai padri sinodali del Sinodo del 2014 disse: Si deve “parlare con parresia e ascoltare con umiltà”. Il Pontefice ricorda il Sinodo del 2001: “Si voleva un Sinodo con la censura, una censura curiale che bloccava le cose”.

– I giornalisti muti. Essere cattolici e al tempo stesso giornalisti – cosa più che legittima – non significa che professionalmente si è subalterno alla gerarchia.

– I prossimi saranno giorni problematici per il pontificato poiché su ogni cosa che sarà detta ai giornalisti sullo sviluppo delle discussioni sinodali peserà sempre la stessa domanda: vero o falso? 

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(L.B. – R.C. – a cura Redazione “Il sismografo”) Da quando Papa Benedetto XVI, in una delle sue ultime allocuzioni (13 febbraio 2013), in merito al Vaticano II parlò di un “Concilio virtuale” (mediatico) e di un altro che chiamò “Concilio reale”, questa sua analisi si è diffusa ampiamente. In particolare, membri della gerarchia d’allora usano queste diciture per criticare i media che – a loro avviso – inventano divergenze, polemiche, cordate e bandi, contrasti e probabili scismi nella Chiesa. Sicuramente questa critica in molti casi, anche oggi, è abbastanza vera, ma è anche vero che sovente all’origine di questo fenomeno distorsivo c’è un qualcosa di molto più preciso e grave: la mancanza di verità e trasparenza da parte della Chiesa e della sua gerarchia. Da quanto ha già detto Francesco recentemente, e poi hanno ribadito altre autorità vaticane in questi giorni, la prossima XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi sarà un evento “virtuale-mediatico” per scelta del vertice della Chiesa e quindi questa volta non si potrà dire che il Sinodo è frutto delle cosiddette affabulazioni giornalistiche. Nelle prossime settimane mentre la Chiesa racconterà un “suo” Sinodo (riservato), la stampa, almeno quella meno arruolata, dovrà attingere notizie sul Sinodo “reale” da altre fonti, non direttamente dai suoi protagonisti. Le notizie fornite da queste fonti intramura non saranno affatto verificabili. Al massimo si potrà dire: “il Vaticano dice …”
E perché?
Perché il Papa ha deciso che in questa Prima sessione del Sinodo sulla sinodalità non vengano distribuiti riassunti nominativi delle persone che intervengono. In passato, per 60 anni, la stampa conosceva nome e cognome di chi parlava e i media avevano in diverse lingue una breve sintesi dell’intervento. Ora non più. Il Pontefice non vuole.

Sintesi globali, anonime e indifferenziate.
In tarda serata di ogni giorno lavorativo, l’apparato stampa allestito per l’occasione – sembrerebbe con la consulenza di grandi esperti in comunicazione (ma non si sa chi sono) – distribuirà una sintesi globale, anonima e indifferenziata.
Si tratta di un cambiamento rilevante che sta a significare una sola cosa: nessuna trasparenza e nessuna comunicazione vera con i media. Solo comunicazione istituzionale. Non dialogo, solo monologo, proprio nei giorni in cui si è parlato di “Chiesa in dialogo con il mondo, aperta e in cammino”.

Il Vaticano racconterà l’andamento sinodale come vuole e quando vuole, vale a dire una “pappa”, secondo le parole di Cindy Wooden, vaticanista statunitense, nella domanda che fece a Francesco rientrando dalla Mongolia (4 settembre 2023), domanda che infastidì visibilmente il Pontefice.
Ecco la risposta di Papa Francesco:

“No, è apertissimo, cara, è apertissimo! C’è una commissione presieduta da Ruffini che tutti i giorni darà le notizie: più aperto non so, più aperto non so… E ciò che è buono è che questa commissione sarà molto rispettosa degli interventi di ognuno, e cercherà di non fare chiacchiericcio, ma di dire le cose proprio sull’andamento sinodale che sono costruttive per la Chiesa. Se qualcuno vuole che le notizie siano: “questo se l’è presa con quell’altro per questo o quello…”, questo è chiacchiericcio politico. No, la commissione ha un compito non facile, cioè dire: “Oggi la riflessione va da questo lato, va così”, e trasmettere lo spirito ecclesiale, non lo spirito politico. È diverso un parlamento da un Sinodo. Non dimenticarti che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. E come trasmettere questo, perciò si deve trasmettere l’andamento ecclesiale. Ma grazie, grazie per il coraggio di dirlo.“ (Fonte)

Ora, nel caso del Sinodo che si apre il 4 ottobre, la stampa dovrà cercare vie diverse e alternative per uscire da questa morsa. Se le cose non cambiano in questi giorni, si avvicina un altro disastro mediatico per la Santa Sede e per l’Assemblea sinodale stessa. 

Sembra molto difficile modificare questa sciagurata decisione, ma ancora c’è tempo per cambiare e tornare almeno al metodo usato in ben oltre mezzo secolo.
Un recentissimo articolo di Marco Politi, vaticanista molto autorevole e non certamente critico del Pontefice, racconta questo imminente disastro con lucidità cristallina. (Sinodo dei vescovi, c’è un problema trasparenza. A che serve oscurare gli interventi? – Il Fatto Quotidiano – Blog)
Saranno giorni problematici per il pontificato poiché su ogni cosa che sarà detta ai giornalisti sullo sviluppo delle discussioni sinodali peserà sempre la domanda: vero o falso?

Una reazione doverosa mancata

Dopo l’anuncio dell’infelice metodo di rapportarsi con i media adottato per questo Sinodo, si aspettava una solida, intransigente ed educata reazione dei così chiamati ‘vaticanisti’, che tra l’altro hanno un’associazione professionale. E’ già accaduto in occasione della frettolosa e sconclusionata pubblicazione della Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” (19 mar 2022), sparata all’ultimo minuto, senza preavviso e senza coordinamento con i giornalisti accreditati presso la Santa Sede.

Il 21 marzo 2022, il Presidente dell’Associazione dei giornalisti accreditati in Vaticano (Aigav), in rappresentanza dell’organizzazione, in una lettera pubblica dichiarò che la condotta vaticana “rivela ignoranza delle esigenze del nostro lavoro  e danneggia profondamente la nostra capacità di informare” in modo adeguato. (Dichiarazione)

Forse dopo questi incidenti con la stampa, gli operatori dei media dovrebbero prendere atto che essere cattolici e al tempo stesso giornalisti – cosa più che legittima – non significa che professionalmente si è subalterni alla gerarchia. Sono sostanze molto diverse che sul piano dell’autonomia di coscienza sono un grande contributo alla propria fede e ai propri lettori.

Se qualcosa è stato fatto per protestare, come è di dovere nei confronti di chi ci legge, certamente è riservato, quindi senza nessuna conseguenza fino alla prossima volta.

E dove è finita la parresia di Papa Francesco?

Nel primo Sinodo voluto da Papa Francesco, che il Santo Padre aprì con un breve discorso il 6 ottobre 2014,  consapevole del problema storico della trasparenza delle assemblee sinodali disse: 

“Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica: ‘Questo non si può dire; penserà di me così o così’ …. Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un Cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni Cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. Con questi due atteggiamenti si esercita la sinodalità. Per questo vi domando, per favore, questi atteggiamenti di fratelli nel Signore: parlare con parresia e ascoltare con umiltà. E fatelo con tanta tranquillità e pace, perché il Sinodo si svolge sempre cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti e custodia della fede.” (Discorso di apertura del Sinodo 2014)

Perché ora non si dice più questo?

Perché la parresia del 2014, quasi dieci anni dopo, è scomparsa?  

Papa Francesco: I Sinodi che la Curia censurava

La sfida evangelica della “parresia” è un primo intervento diretto di Papa Francesco sulla natura e le caratteristiche dell’assemblea sinodale, in particolare di coloro che partecipano. Ma c’è un secondo intervento del Santo Padre sulla materia, altrettanto diretto, ma dove mette in gioco la sua credibilità personale.
Il 5 agosto scorso, a Lisbona, il Pontefice incontrò un folto gruppo di gesuiti per una conversazione aperta e senza copione. La trascrizione di questo colloquio è stato pubblicata da La Civiltà Cattolica il 29 agosto passato. A Francesco tra tante domande è stata posta questa: “Da un lato, che cosa le pesa sul cuore e, dall’altro, quali gioie sta provando in questo periodo?
Ecco la risposta del Pontefice:

La gioia che ho più presente è la preparazione al Sinodo, anche se a volte vedo, in alcune parti, che ci sono carenze nel modo di condurla. La gioia di vedere come dai piccoli gruppi parrocchiali, dai piccoli gruppi di chiese, emergano riflessioni molto belle e c’è grande fermento. È una gioia. A questo proposito voglio ribadire una cosa: il Sinodo non è una mia invenzione. È stato Paolo VI, alla fine del Concilio, a rendersi conto che la Chiesa cattolica aveva smarrito la sinodalità. Quella orientale la mantiene. Allora disse: «Bisogna fare qualcosa», e creò la Segreteria per il Sinodo dei vescovi. Da allora in poi c’è stato un lento progresso. A volte, in modo molto imperfetto. Tempo fa, nel 2001 [1], ho partecipato come Presidente delegato al Sinodo dedicato al vescovo come servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Nel momento in cui stavo preparando le cose per la votazione di ciò che era giunto dai gruppi, il cardinale incaricato del Sinodo mi disse: «No, questo non metterlo. Toglilo». Insomma, si voleva un Sinodo con la censura, una censura curiale che bloccava le cose. Sul percorso ci sono state queste imperfezioni. Erano molte, ma al tempo stesso era una via che si percorreva. Quando si sono compiuti i cinquant’anni dalla creazione della Segreteria del Sinodo dei vescovi, ho firmato un documento redatto da teologi esperti in teologia sinodale. Se volete vedere un bel risultato dopo cinquant’anni di strada, guardate quel documento. E negli ultimi 10 anni stiamo progredendo ancora, fino a raggiungere, credo, un’espressione matura di ciò che è la sinodalità. La sinodalità non è andare in cerca di voti, come farebbe un partito politico, non è una questione di preferenze, di appartenere a questo o a quel partito. In un Sinodo il protagonista è lo Spirito Santo. È lui il protagonista. Quindi bisogna far sì che sia lo Spirito a guidare le cose. Lasciare che si esprima come fece al mattino di Pentecoste. Credo che quello sia il cammino più forte.”
(La Civiltà Cattolica)

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[1] Allora il card. Bergoglio venne nominato “Relatore aggiunto” e non come dice lui “Presidente delegato”, carica inesistente poiché i Sinodi hanno un solo Presidente ed è il Pontefice regnante. Il Relatore titolare era il card. Edward Michael Egan (USA), arcivescovo di New York, colpita dalla tragedia delle Torri Gemelle.

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