(di Ariel S. Levi di Gualdo su papalepapale.com) Basterebbe un po’ di memoria storica per tentare di mitigare certe aggressive lobby gay che da una parte tuonano contro la omofobia, dall’altra presentano l’irriverente cattolicofobia come un sacro diritto [vedere qui e qui].
Per esempio: quanti sacerdoti, in anni passati e recenti, hanno accolto nelle proprie case canoniche o nelle istituzioni ecclesiastiche da loro dirette giovani omosessuali sbattuti fuori dalle mura domestiche dalla sera alla mattina da padri che volevano un figlio macho duro e puro attraverso il quale ambivano riprodurre se stessi, o attraverso il quale avrebbero voluto essere i fascinosi latin lover che nella loro vita non erano mai stati? Quanti preti sono andati — incluso il sottoscritto — a brutto muso davanti a certi padri dicendo: «Adesso tu riprendi immediatamente tuo figlio in casa». E qualcuno di noi, agitando i pugni in aria davanti al genitore, ha aggiunto in tono poco conciliante: «Altrimenti dovrai vedertela con me. E sappi che a dartele saremo in due: prima le prenderai dall’uomo, poi le buschi dal prete, come diceva il mitico parroco di Brescello» [vedere qui].
Quanti giovani, attraverso le grate di un confessionale, o attraverso rasserenanti colloqui col direttore spirituale, sono stati dissuasi dal non compiere vere e proprie follie, per esempio suicidi?
Parlo a ragion veduta, perché dietro i buchi di quella grata e nei colloqui di direzione spirituale c’eravamo noi sacerdoti, non c’erano gli spensierati promotori del gay pride. Non c’erano i lobbisti politici di certe lobby gay che pensano di risolvere certi drammi umani interiori con un “liberante” grido: “gay è bello!”. A onor del vero non c’erano neppure certi monsignoroni che pontificano senza pena di cristiana prudenza su qualche giornale della destra italiana più becera, dando la deleteria impressione di essere solo “i vescovi di una parte”, anziché i padri e i pastori di tutto il popolo di Dio. Addirittura, se qualcuno poi glielo fa notare, si irritano e replicano di essere stati fraintesi, affinché in tal modo sia maggiormente fomentata la polemica scientemente innescata, tutta quanta di bassa lega politica e dagli stessi creata a mala arte, all’incosciente scopo di attirare su di sé l’attenzione mediatica, mossi dalla certezza che il mondo sia popolato di beoti incapaci di comprendere certi giochi e trucchi rasenti la puerilità d’asilo d’infanzia.
Per molti giovani e meno giovani che hanno impulsi di libido verso il proprio stesso sesso, gay non è poi così bello come spesso si dice tra lobby politiche e carnevalate inscenate da ragazzacci mascherati da «troie in calore», come spiega in un suo amareggiato commento video Enrico, giovane omosessuale sconsolato da simili sceneggiate controproducenti [vedere qui e qui]. E certi disagi interiori costituiscono per noi pastori d’anime problemi di natura umana e pastorale da affrontare sempre con prudenza e con la massima delicatezza. Cosa questa chiara da sempre a noi sacerdoti, perché i drammi dell’uomo non sono — né mai dovrebbero essere mutati — in pretesti di lotta politica, ciò vale sia per i lobbisti gay che per quei certi monsignoroni che pensano di vivere sempre nella surreale italietta degli anni Cinquanta, ignari di quanto la società sia radicalmente cambiata e di quanto la politica e i cittadini, inclusi i nostri fedeli cattolici, siano giustamente gelosi dei sani principi della laicità dello Stato, incluso il sottoscritto prete.
NISCIUNO E’ NATO ‘MPARATO
Agli inizi del mio sacro ministero sacerdotale ho commesso molti errori e, col senno di poi, se potessi tornare indietro non li commetterei più. Errori dovuti — non lo dico per auto assoluzione ma per dato di fatto — a inesperienza iniziale, non a superficialità, o peggio a mala fede.
Qualsiasi sacerdote deve essere profondamente consapevole della propria chiamata a una dignità che non appartiene ai chiamati alla partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo. Il sacerdozio è un mistero di grazia che ci segna con un carattere sacramentale indelebile ed eterno e del quale dovremo rispondere molto seriamente a Dio. Cosa questa sempre meno insegnata in quei numerosi pretifici detti seminari, nei quali ci si “laurea sacerdoti” passando appresso a un “posto d’impiego” come “operatori sociali religiosi” in qualità di “liberi professionisti preti”, semmai facendo all’interno del mondo ecclesiastico quella carriera che, nel competitivo mondo civile, certe mezze tacche non avrebbero mai potuto pensare di fare, né per scherzo né per burla.
Nessuno di noi, dal Romano Pontefice all’ultimo prete dell’orbe cattolica, può dirsi degno di celebrare il Santo Sacrificio Eucaristico, vero memoriale della passione e morte del Signore, proclamazione della sua gloriosa risurrezione. O per dirla con la saggezza popolare dei nostri italiani dell’antica Partenope: “Nisciuno è nato ‘mparato” (nessuno è nato imparato). Non a caso Bernardo di Chiaravalle [qui], quando ancora non era né santo né dottore della Chiesa, al proprio discepolo pisano Bernardo Paganelli divenuto Sommo Pontefice col nome di Eugenio III [qui] scrisse un Trattato buono per ogni Papa appositamente adattato a lui. E, considerati i tempi difficili che correvano, non esitò a esortarlo scrivendo al nuovo pontefice una frase valida oggi più ancora di ieri: «Puoi mostrarmene uno soltanto che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare». E nessun clericale dell’epoca reagì stizzito dicendo in malo modo a Bernardo: “Chi sei tu, per osare di rivolgerti con simili frasi al Santo Padre?”.
TUTTI ABBIAMO DA IMPARARE: DAL ROMANO PONTEFICE ALL’ULTIMO PRETE APPENA CONSACRATO SACERDOTE
Su finire degli anni Cinquanta la Chiesa ha cominciato a servirsi dei mass media, che di per sé sarebbero mezzi straordinari di evangelizzazione. La Chiesa non può lasciarsi però divorare e snaturare dalla loro logica a tratti selvaggia, disumanizzante e de-cristianizzante.
Parlare “a braccio” con i giornalisti in modo informale su temi delicati, seppure in assoluta e apostolica buonafede, potrebbe creare problemi se non si danno risposte chiare e lapidarie. A tal proposito ricordo che alcuni anni fa, quando dei cronisti avvicinarono Benedetto XVI in Valle d’Aosta e gli rivolsero una domanda sulla contraccezione, il Santo Padre tagliò corto: «Non si possono trattare temi così complessi in brevi risposte».
Se i pontefici, certe complesse e delicate tematiche le hanno trattate sino a poco fa in chiare e articolate encicliche, in lettere apostoliche, omelie, discorsi ufficiali e locuzioni varie, attraverso testi sempre studiati e preparati, spesso sottoposti al vaglio dei migliori esperti a servizio della Sede Apostolica, è stato proprio per non lasciare spazio a interpretazioni arbitrarie e per non creare problemi evitabili. O come ben presto imparai sin dai primi mesi di sacro ministero sacerdotale: la spontaneità richiede prudenza allo stesso modo in cui la prudenza richiede la massima spontaneità. Ogni giorno me lo ripeto, nella speranza di imparare sempre più e sempre meglio; anche per questo ascolto tutti, specie i più giovani, specie i miei saggi allievi, che imparando anche dai miei limiti e dai miei difetti diverranno presto degli uomini e alcuni di loro dei sacerdoti molto migliori e molto più capaci di me.
IL SANTO PADRE HA DAVVERO APERTO LE PORTE AL MONDO GAY: DOVE? QUANDO? «CHI SONO IO PER GIUDICARE» : FRASE CON UN OVVIO SOTTINTESO CHE COME TALE NON È STATA PERÒ RECEPITA. D’ALTRONDE COME POSSIAMO RECEPIRE LE PAROLE DI PIETRO SUL QUALE CRISTO HA EDIFICATO LA SUA CHIESA, SE CERTE AUTORITA’ ECCLESIASTICHE LASCIANO PONTIFICARE DEI COMICI PERSONAGGI D’AVANSPETTACOLO COME PADRE ALBERTO MAGGI?
Dopo che alcune frasi del Santo Padre sono state intese come interessava intenderle a molti che le hanno recepite, i telegiornali e i giornali di tutto il mondo hanno esordito con richiami a una «svolta epocale» e a una «storica apertura al mondo gay» [vedere qui e qui].
Toccanti e confuse le risposte date durante un’intervista dall’Onorevole Niki Vendola [vedere qui], gran cuore pugliese e persona davvero amabile che gode da sempre la mia sincera simpatia e che con altrettanta simpatia ho da tempo ribattezzato come l’angelico relatore del fantascientifico processo di beatificazione del Vescovo di Molfetta Tonino Bello [vedere qui]. Un processo al quale è presumibile che proceda un giorno, anziché la Congregazione per le causa dei santi, il regista di Star Trek [vedere qui], col capitano dell’astronave Enterprise Mr. James Tiberius Kirk nel ruolo di promotore della fede e il vulcaniano Mr. Spock nel ruolo di postulatore della causa [vedere qui].
Quelle stesse parole così chiare e ovvie del Santo Padre sono state male interpretate anche da un prete brasiliano della Diocesi de Bauru Divino Espìrito Santo, Padre Roberto Francisco Daniel, prima sospeso a divinis poi scomunicato dal Vescovo Caetano Ferrari o.f.m. per avere preso posizioni radicali in difesa del mondo gay e avere implicitamente negato ciò che aveva promesso all’atto della sua ordinazione sacerdotale: fedeltà al magistero della Chiesa e obbedienza ai suoi legittimi superiori [vedere qui e qui]. Oggi, questo prete, dopo avere dichiarato ripetutamente «La Chiesa è omofoba» [vedere qui, qui, qui, qui], ha citato in giudizio presso il tribunale civile brasiliano la sua diocesi, portando a sua propria difesa la risposta data dal Santo Padre a un giornalista: «Se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?» [vedere qui].
Passino i giornalisti laici ai quali concediamo tutte le scusanti del caso, ma se persino un prete, di fatto mal formato e pericolosamente prono all’ideologia, non è stato capace a cogliere l’ovvio senso di quella frase del Santo Padre, oltre a essere messi davvero male, dobbiamo interrogarci molto seriamente: possiamo seguitare a lungo ancora a immettere soggetti simili nel sacro ordine sacerdotale?
Avendo trattato l’argomento della lobby gay all’interno della Chiesa in tempi non sospetti (N.d.R. E Satana si fece Trino, Bonanno Editore, 2011), ribadisco ciò che dissi nel gennaio 2013 rispondendo a due riviste cattoliche, una italiana [vedere qui] e una tedesca [vedere qui], sposando in anticipo quanto di cristianamente ovvio ha detto il Santo Padre di ritorno dal Brasile parlando per un’ora e mezza con i giornalisti: all’interno della Chiesa nessuno ha mai fatto battaglie contro i gay in quanto tali ma solo contro la cultura omosessualista lobbista, specie quella aggressiva e anti cattolica, o per meglio dire cattolicofobica.
Scrivendo su certe tematiche ho trattato sempre col massimo rispetto ogni persona con tendenze omosessuali che mi ha avvicinato. Molti sono infatti i motivi e i condizionamenti socio-psicologici per cui i giovani del XXI secolo possono essere indotti a uno stile di vita che non amo definire «malvagio» o «disordinato», preferisco la più paterna espressione di “stile di vita non cristiano”, memore che Gesù avverte: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt. 21, 32).
I gay — seguito ad affermare nelle righe di quell’intervista — sono compatibili col Paradiso, forse più ancora d’altri generi di peccatori tollerati spesso con grande diplomazia anche dalla migliore morale cattolica. Non lo sono però col sacerdozio, all’interno di un mondo al maschile composto di uomini ai quali è chiesto un equilibrio sessuale raggiungibile, ma non facile da raggiungere e mantenere. O si può forse impostare il ministero sacerdotale sulla finzione e sulla doppia vita?
Il problema non è il singolo gay laico, tanto che il Santo Padre ha risposto dicendo: «Se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?». Affermazione basata sulla più cattolica e ovvia pastoralità che sottintende un elemento sfuggito però a certa stampa ultra liberista e a certi lobbisti gay che siedono negli scranni del parlamento della Repubblica Italiana e più agguerriti ancora in quelli del Parlamento Europeo. Affermazione dalla quale è sfuggito proprio il suffisso che regge l’intera frase: «Se cerca il Signore», che vuol dire molto, anzi proprio tutto. Ecco allora che quella frase è stata anzitutto de-cristianizzata, snaturata e infine mutata in uno slogan riportato così sulla stampa e sulle le televisioni di tutto il mondo: «Chi sono io per giudicare un gay?».
Certe cose che per il Santo Padre sono ovvie, come lo sono per qualsiasi buon cattolico che abbia minimamente letto di sfuggita un po’ di catechismo, non dovrebbero essere mai date per scontate nella loro ovvietà, perché per la massa, ed in specie per quella non cattolica, tanto ovvie non lo sono affatto. Con quella espressione il Santo Padre intendeva dire qualche cosa di cristianamente scontato che come tale non è stato però recepito: chi sono io, per giudicare la profonda coscienza dell’uomo che cerca Dio; quella profonda coscienza che solo Dio può leggere e giudicare? Posto che nessuno, a partire dal Successore di Pietro, per seguire con i vescovi, i sacerdoti e tutti i fedeli cattolici, può giudicare l’intima coscienza dell’uomo?
Precisare con grande cura cose di questo genere, non dovrebbe essere compito di un povero prete come me dotato di mezzi di comunicazione molto limitati, ma del professionalissimo Padre Federico Lombardi s.j. portavoce della sala stampa Vaticana, dotato invece di tutti i migliori mezzi di comunicazione. Per non parlare di quei giornalisti vaticanisti che si professano cattolici apostolici romani impegnati e militanti, sopra i quali è meglio stendere il pietoso velo della carità cristiana, o forse meglio: una trapunta di lana pesante.
Questo è il sentimento pastorale dettato dalla seria dottrina e dalla teologia della Chiesa che noi sacerdoti siamo chiamati anzitutto a recepire e maturare, quindi a servire e annunciare al Popolo di Dio in unione devota con i nostri vescovi in perfetta comunione col Vescovo di Roma. Se poi qualcuno vuole smorzare la serietà e passare dalla comunione ecclesiale, dal sentimento pastorale, dalla seria dottrina e dalla teologia della Chiesa alle comicità d’avanspettacolo, allora basta ascoltare le perle di rara stoltezza disseminate da una televisione all’altra da Padre Alberto Maggi o.s.m [vedere qui e qui], ridendo non tanto su questa sorta di amabile “prete monnezza” in versione religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, insignito per cotanto grottesco ciarlare persino di un dottorato in scienze bibliche; ma ridendo con le lacrime agli occhi e il cuore sofferente sulle legittime autorità ecclesiastiche, a partire purtroppo dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che lo lascia farneticare da anni come una pericolosa mina vagante che semina dovunque eresie [vedere qui e qui]. Cosa che in Italia accade nella misura in cui sembrano mancare vescovi capaci a prendere decisioni, peraltro dovute e obbligate, come per doveroso imperativo pastorale di coscienza si è trovato costretto a fare il brasiliano Caetano Ferrari o.f.m. Vescovo della Diocesi di Bauru, verso un prete caduto in aperto contrasto con la dottrina e il magistero della Chiesa, pur senza giungere mai alle eresie goliardiche che erompono dal Padre Alberto Maggi come da un vulcano in perenne eruzione.
L’unico testo sul quale l’autorità ecclesiastica potrebbe prudentemente permettere al Padre Alberto Maggi di fare esegesi dovrebbe essere Senilità di Italo Svevo.
Ammetto di avere fatto una battuta di amarezza sul Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in questa Chiesa dove ormai si può affermare senza pena di sanzione canonica alcuna che il Padre e il Figlio possono anche sbagliare a far procedere lo Spirito Santo, ma dove un cardinale, nel suo procedere umano, non può invece sbagliare, mai! Vediamo quindi se per avere sfiorato di nuovo il “superdogma” del cardinalato, che supera di gran lunga l’Incarnazione del Verbo di Dio e tutti i concili dogmatici della Chiesa che hanno suggellato le nostre verità di fede, qualcuno tornerà a rimproverarmi affermando che nella Chiesa «possono convivere anche opinioni molto diverse». Eresie incluse diffuse da certi preti e religiosi via etere a milioni di telespettatori? O, detta in altri termini: si distrugga pure il dogma e si mutino i miracoli compiuti dal Cristo e la sua stessa risurrezione in pura allegoria, purché non si tocchi però il potere clericale?
Meno male, comunque, che non esiste più la santa inquisizione; perché se esistesse sempre, oggi certe autorità ecclesiastiche nominerebbero Giordano Bruno [vedere qui] decano di teologia presso una pontificia università e brucerebbero sul rogo il prete e il teologo ortodosso colpevole di avere additato in pubblico le sue palesi eresie, dopo averlo accusato di mancanza di misericordia, di mancanza di carità e, soprattutto, di mancanza di rispetto verso le opinioni altrui. Come infatti dicevamo poc’anzi, attraverso una frase mirabile scritta a suo tempo da due fenomeni della ecclesiologia e del diritto canonico: «Nella Chiesa possono convivere anche opinioni molto diverse».
I GAY? SULLA CARTA DI IDENTITÀ NON È SCRITTO, ED È VERO. UN ECCLESIOLOGICO DISTINGUO TRA MISERICORDIA, MISERICORDISMO E FALSA MISERICORDIA SECONDO IL MAGISTERO DI PIO XI, ATTUALE OGGI PIU’ CHE MAI