Mons. Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa ed Estelí, in Nicaragua, specie ora, come dissidente, è troppo scomodo: per questo, il dittatore comunista Daniel Ortega, dopo averlo posto per 15 giorni agli arresti domiciliari, alle ore 3.40 dello scorso 2 giugno lo ha fatto incarcerare dalla Polizia, pare con l’accusa di «atti d’odio». La popolazione e le organizzazioni per i diritti umani non hanno esitato a definire l’accaduto un sequestro in piena regola. Non si sa nemmeno, al momento, se sia stato emesso un regolare mandato del tribunale. Pare che il prelato si trovi presso il carcere di sicurezza La Modelo, mentre non si sa dove siano le altre sette persone, ch’erano con lui al momento dell’arresto ovvero i sacerdoti José Luis Díaz, Sadiel Eugarrios, Ramiro Tijerino e Raúl González, i seminaristi Darvin Leyva e Melkin Sequeira ed il cameraman Sergio Cárdenas, tutti in manette. Sino alla pubblicazione dell’atto d’accusa formulato dalla Procura, non si potrà sapere con certezza quale sia la sorte del prelato, che rappresenta una delle voci più lucide e più critiche levatesi contro il regime comunista al potere: durante le sue omelie ne ha denunciato senza mezzi termini le violazioni dei diritti umani.
Ma Ortega non si ferma di fronte a nulla. Lo scorso 23 maggio ha fatto arrestare con l’accusa di «tradimento» anche un altro sacerdote, Padre Jaime Iván Montesinos Sauceda della diocesi di Matagalpa, mentre percorreva una strada, diretto verso il Comune di Esquipulas. Gli si imputano «atti, che minacciano l’indipendenza e l’integrità della nazione». Accuse false, secondo i dissidenti, convinti ch’esse facciano parte in realtà di una strategia ad ampio raggio, mirata ad imbavagliare la Chiesa nel Paese, strategia fatta di arresti, espulsioni, attacchi a edifici sacri (finora una novantina in tutto), profanazioni, chiusure di radio e università cattoliche, divieti di processioni e pellegrinaggi.
Nel marzo dell’anno scorso il nunzio apostolico in Nicaragua, l’arcivescovo Waldemar Stanislaw, è stato espulso come «persona non gradita». Tre mesi fa Ortega ha ordinato la chiusura della nunziatura vaticana a Managua e dell’ambasciata nicaraguense in Vaticano. Numerose le Congregazioni, che hanno già dovuto lasciare il Paese, come le Missionarie della Carità, le monache trappiste, le religiose della Croce e del Sacro Cuore di Gesù e le Suore Domenicane dell’Annunciazione. Nei giorni scorsi, oltre a mons. Álvarez, anche altri due sacerdoti, don Eugenio Rodríguez e don Leonardo Guevara, sono stati indagati dalla Polizia. Polizia, che ha preso d’assalto anche la scuola cattolica di San Sebastián de Yalí, gestita dalle Figlie Missionarie di Santa Luisa Marillac, ora chiamate a testimoniare, in attesa di conoscere ufficialmente i capi d’imputazione mossi nei loro confronti. Un assalto analogo si è verificato anche presso la scuola «Susana López Carazo» delle Suore Domenicane dell’Annunciazione, nel dipartimento di Rivas.
Ma tutto questo ancora non basta. La dittatura comunista ha ora accusato la Chiesa anche di riciclaggio di denaro sporco. Lo scorso 27 maggio la Polizia ha dichiarato di aver trovato «centinaia di migliaia di dollari nascosti in sacchi nei locali di diverse diocesi del Paese», diocesi ora indagate per atti illeciti. Sono stati bloccati, in particolare, i conti di tre diocesi su nove. Di queste tre, guarda caso, di due – quella di Matagalpa e Estelí – è vescovo ed amministratore apostolico proprio mons. Álvarez, già nel mirino di Ortega. La Sovrintendenza bancaria ha chiesto così alla Conferenza episcopale nicaraguense ed al card. Leopoldo José Brenes, arcivescovo di Managua, di presentare documenti, che mostrino «i movimenti dei conti bancari delle diocesi».
È chiara la volontà del dittatore Ortega di render inoffensiva – e possibilmente di cancellare – nel Paese la presenza della Chiesa, l’unica, per autorevolezza, servizio ed aiuto verso qualsiasi forma di fragilità, a poter contrastare efficacemente l’arroganza totalitaria del comunismo nicaraguense.