Un po’ gli eventi internazionali, che focalizzano l’attenzione dell’Occidente sulla guerra in Ucraina, un po’ l’omertà, che sempre circonda tutto quanto sappia di comunismo, fatto sta che, nel silenzio generale, in Nicaragua il dittatore Ortega sta proseguendo indisturbato nella propria opera di persecuzione contro la Chiesa.
L’ultimo atto ostile in ordine di tempo, denunciato dalla comunità cattolica in esilio, impegnata nella tutela dei diritti umani nel proprio Paese, ha riguardato l’Università Cattolica «Immacolata Concezione» dell’arcidiocesi di Managua: lo scorso 18 maggio il ministero degli Interni ha annunciato l’imminente «scioglimento volontario» dell’ateneo, fucina di un gran numero di seminaristi. Attenzione, poiché qui, di volontario, non v’è proprio nulla. Si tratta di un’operazione di «facciata», ma la chiusura è stata, in realtà, imposta con la forza ed in modo coercitivo dal regime, come ha spiegato – caso mai ve ne fosse bisogno – all’agenzia ACI Prensa Martha Patricia Molina, avvocato e ricercatrice, che attualmente lavora all’estero. Dal suo osservatorio privilegiato, ha registrato oltre 500 attacchi negli ultimi cinque anni da parte del governo nicaraguense contro la comunità cattolica del suo Paese: si è trattato di ostilità, persecuzioni, assedi, profanazioni, distruzioni, furti, espulsioni, confische.
Nel tentativo di giustificare l’accaduto, l’amministrazione Ortega ha accusato l’Università Cattolica di non aver rispettato «i suoi obblighi dal 2015, in quanto non ha comunicato i suoi bilanci ed il suo Consiglio d’Amministrazione», ma l’affidabilità e la credibilità di tale accusa è pari a quelle, analoghe, avanzate dal regime comunista cinese contro coloro, che ritiene avversari. La conferma è giunta da Felix Maradiaga, ex-candidato alla presidenza ed a lungo prigioniero politico: a EWTN News ha dichiarato che «non v’è alcuna giustificazione dal punto di vista legale, né nelle normative, né nella Costituzione» per la «dissoluzione» del prestigioso ateneo. «Sappiamo da fonti interne che non si è trattato di una chiusura volontaria».
Solo un mese fa la dittatura comunista ha espulso e rimpatriato due suore trappiste costaricane della Congregazione domenicana dell’Annunciazione ed ha confiscato il loro monastero, quello di San Pedro de Lóvago, subito consegnato all’Istituto nicaraguense di Tecnologia Agricola. Le due religiose, Suor Isabel e Suor Cecilia Blanco Cubillo, operavano presso la casa per anziani «Fundación Colegio Susana López Carazo. Altri espropri analoghi sono già avvenuti con la forza nei mesi precedenti, generando timori, inquietudini e tensioni sociali.
Nulla di cui stupirsi, visto che lo scorso 19 aprile, in occasione della «Giornata della pace», lo stesso dittatore Daniel Ortega ha definito «demoni» i vescovi, accusati di avere «il diavolo nel cuore», di essere «il diavolo che cammina, il diavolo con la croce sul petto. Che sacrilegio!». Ha poi proseguito, accusandoli di «inscenare colpi di Stato, tranquillamente, con tanto di firma, nomi e cognomi. Non c’è stato un solo vescovo, che non abbia firmato, hanno firmato tutti, anche quelli che sembravano più moderati».
Non s’è neppure capito, con precisione, a cosa il leader comunista si riferisse. Forse – ha azzardato Walter Sánchez, giornalista di ACI Prensa, potrebbe «aver alluso alla lettera di 16 pagine che i vescovi del Nicaragua gli hanno inviato nel 2014, lettera in cui chiedevano di tenere aperto un “dialogo nazionale” e di lavorare per un processo elettorale trasparente. I prelati avevano anche ricordato ad Ortega che “gli anni passano e nessuno è eterno”, frase che il dittatore ha considerato come un “ultimatum”». Ma, questa, è solo un’ipotesi. In realtà, nessuno sa di preciso a cosa si riferiscano le ultime invettive contro i vescovi del Paese.Già nel settembre 2021 Ortega aveva bollato i prelati come «demoni in tonaca». Mons. David J. Malloy, presidente della Commissione episcopale americana per la Giustizia internazionale e la Pace, lo scorso 14 aprile ha ribadito «incrollabile solidarietà verso i vescovi, i sacerdoti, i fedeli e tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che in Nicaragua stanno soffrendo per la recrudescenza delle azioni di persecuzione religiosa poste in atto dal governo nicaraguense». Mons. Malloy ha quindi ricordato Padre Donaciano Alarcón, recentemente espulso dal Nicaragua solo per aver chiesto la liberazione del vescovo Rolando Alvarez, «che langue in prigione, dopo esser stato ingiustamente condannato a 26 anni di carcere». Insomma, la persecuzione continua… Quando l’Occidente aprirà gli occhi?