Marcel De Corte e l’intelligenza in pericolo di morte

Corte-2
Print Friendly, PDF & Email

(Andrea Mondinelli) Mai come oggi emerge il dato eclatante della crisi del buon senso, che colpisce persone di sinistra e di destra, progressisti, conservatori e pure frange tradizionaliste. In questo panorama desolante, è utile riprendere gli insegnamenti degli illustri maestri del secolo scorso. Tra di essi spicca la figura del filosofo Marcel De Corte (1905-1994). Nel suo capolavoro del 1969, L’intelligenza in pericolo di morte (Giovanni Volpe Editore, Roma 1975), è presente un capitolo, “L’informazione deformante”, che è di un’attualità sconvolgente.

Prima di addentrarci nel menzionato capitolo, è essenziale ricordare la sua magnifica definizione di “buon senso”: «Domandandoci che cosa può significare la soluzione secondo buon senso d’un problema particolarmente arduo, di cui non ci riesce di vedere a colpo d’occhio la via d’uscita. Non è vero che, una volta adottata, messa in atto e portata fino in fondo, questa soluzione ci pare sempre più ragionevole e naturale? Gli artifici logici ai quali avevamo fatto ricorso in un primo tempo, le vie tortuose che mentalmente avevamo tracciate, i giri e rigiri che avevamo pensato, ci paiono irrisori, assolutamente inadatti a determinare la stabile certezza che è proprio così: anzi erano tutti questi elementi estranei che ci impedivano di trovare quella soluzione, che una volta raggiunta, ci procura tanta soddisfazione. Adesso ci capita di irritarci se per caso ci viene proposta un’altra strada, che sappiamo impossibile. Il benessere che proviamo nel far nostra la soluzione del buonsenso, è quello dell’equilibrio ricuperato. Vacillavamo e sbandavamo, ed eccoci ora a tirar dritti, i piedi ben saldi su un terreno sicuro, nella sola direzione possibile. Non abbiamo dimenticato alcun dato, li abbiamo introdotti tutti, abbiamo attribuito loro il giusto valore, ed ecco che essi si articolano, si dispongono in una gerarchia, e tracciano, con la loro stessa organizzazione, l’attesa soluzione. […] Non è esagerato definire il buon senso l’intelligenza dell’intelligenza, o la forza che dirige l’intelligenza stessa all’inizio e nei suoi tentativi prima incerti e poi via via più sicuri. È la punta di diamante dell’intelligenza».

Sottolineo i due dati essenziali dell’equilibrio ritrovato e dell’incasellamento di tutti i dati. La ferita più grave inferta al buon senso è quella provocata dall’informazione deformante. De Corte mette il dito sulla piaga del potere anti-cristico dell’informazione moderna, che fa dire a McLuhan che, dopo tutto, il principe di questo mondo è un grande ingegnere elettronico. Come osserva acutamente e forse inutilmente Jean Madiran, «l’informazione moderna, per natura, ignora ciò che è importante e non ritiene che la scorza estranea alla dimensione interiore e alla dimensione storica… Le tecniche dell’informazione moderna esigono anzitutto, da chi le maneggia, che si collochi fuori dalle condizioni umane di riflessione e meditazione, di confronto, le quali permettono di cogliere la portata dell’avvenimento».

Inoltre, l’informazione si situa psicologicamente «sul piano dell’attività sensoriale, ma invadente al punto da sopprimere l’attività propriamente intellettuale. È in permanenza il contrario di un’educazione della mente, che si effettua con l’analisi e la riunione dell’essenziale. È cancellazione della mente. E anche, come annunciava Péguy, ‘una cancellazione del creato: l’inizio della cancellazione del creato’».

Da evidenziare, a questo punto, le sagaci parole di De Corte, che sembrano scritte proprio per il mondo di internet: «Nella società di massa l’individuo non può entrare in rapporto con gli altri senza l’informazione. Chiuso nella sua soggettività, non “conosce” dell’avvenimento che l’urto sensibile ed emozionale provocato in lui e che egli interpreta proiettandovi le costruzioni della sua immaginazione e del suo criterio, se ne è testimone diretto. Tale mescolanza di fatto grezzo, appreso in maniera incomunicabile e capito in maniera non trasmissibile, non può passare dall’uno all’altro che attraverso un sistema di parole di cui nessuno può verificare la fondatezza, poiché, nell’ipotesi soggettivistica sulla quale tutta la democrazia è costruita, il soggetto è definito dalla sua libertà nei riguardi delle necessità oggettive, sole capaci di metterlo in rapporto con gli altri.[…] Mentre in una società vivente l’essere sociale stabilisce l’opinione reale, nella “dissocietà” democratica è l’opinione che fa l’essere sociale e costituisce la società. Qui, dunque, non è l’essere del vero, del bello, del bene a cui tutti partecipano che dà nascita ed esistenza all’opinione, al contrario, è l’opinione che genera i valori di verità, di bontà, di bellezza: l’OPINIONE FA L’ESSERE» (maiuscolo nel testo originale Ndr).

Le parole di De Corte sono impressionanti, svelano la vera essenza dell’informazione così detta democratica e gettano un fascio di luce sugli obiettivi dei rivoluzionari: «La principale legge deformante dell’informazione rappresenta nel campo politico e in quello sociale la stessa parte che le forme a priori della sensibilità e delle categorie mentali rappresentano nella conoscenza secondo Kant. L’informazione è quasi sempre una in-formazione, una forma introdotta nella materia dei fatti, una maniera di concepirli imposta loro dall’informatore, in maniera da rendersi padrone della mente di chi viene informato. […] Il fine perseguito dall’informazione deformante è chiaro: carrozzare l’avvenimento in maniera tale che sembri dire il contrario di quanto significa. […] Grazie a queste forme a priori, agli stampi così forniti gratuitamente, l’individuo della società di massa si convince di potere agevolmente riconoscere tutto quanto gli è ostile oppure favorevole. Non ha più bisogno di ragionare, di far personalmente una scelta, una opinione propria corrispondente alla realtà. Automaticamente applica i modelli prefabbricati di cui la propaganda gli ha arredato l’immaginazione, agli avvenimenti, agli uomini, alle condizioni che gli si presentano. E poiché tutti gli altri individui della collettività di cui fa parte sono stati sottoposti dall’informazione allo stesso bombardamento, viene a crearsi l’unanimità quasi completa che mina a meraviglia la coesione sociale delle comunità naturali e la soverchia».

L’obiettivo della rivoluzione è la distruzione dell’intelligenza. De Corte arriva alla conclusione del suo lungo capitolo sull’informazione deformante: «Nihil in intellectuquodprius non fuerit in sensu: non vi è nulla nell’intelletto – nessun vero giudizio – che prima non sia stato nei sensi. Il giorno in cui l’uomo non potrà più sentire, non potrà più pensare, sarà separato dal vero, dal bene e dal bello. Quel giorno è sorto. […] Persuasi che la finzione è realtà e che le lucciole sono lanterne, dall’informazione che li priva della loro differenza specifica, l’intelligenza, i nostri contemporanei vogliono essere certi e sicuri che la loro malattia è salute. Perciò diffondono il contagio. E vogliono contagiare. Vogliono che la loro aberrazione divenga universale. La propaganda ne fornisce loro il mezzo fissando la loro attenzione sull’immagine della realtà e non sulla realtà, sulla marca del sapone che rende-irresistibili-tutte-le-donne-come-le-stelle-del-cinema che l’usano e non sul sapone; associando l’immagine del sapone a quella dell’attrice-di-celebrità-mondiale, gli si conferisce una fama universale. Qualsiasi cosa può essere così dilatata alle dimensioni dell’universo. Bisogna che sia così: l’immagine deve rivestire l’attributo proprio della verità che soppianta e che è l’universalità. Quando la finzione è universale, è vera. Come potrebbe l’intelligenza dell’uomo sopravvivere?»

L’intelligenza impazzisce1 e l’atto di giudizio è distrutto. Per l’uomo così lobotomizzato, quindi, l’unico “atto di fede” possibile è quello MODERNISTA, che si sposa perfettamente al sistema. Ne La Grande Eresia (Giovanni Volpe, Roma 1970), De Corte ci ricorda che il modernismo, che fa sua la filosofia della modernità, arriva a proclamare che il dato Rivelato non è una verità oggettiva di fronte alla quale l’intelletto deve inchinarsi, bensì l’idea che ognuno se ne forma. La conclusione, a questo punto, non lascia spazio a dubbi: gli strumenti mediatici elettronici, Google-Facebook-Instagram-Whatsapp, veramente sono una minaccia terribile per la Chiesa incarnata, come bene evidenziato da McLuhan nella sua lettera a Maritain; sono davvero le armi della rivoluzione. Quanti ne sono veramente consapevoli tra i fedeli ed il clero rimasto cattolico? Quanti ne subiscono, letteralmente, l’incantesimo infernale?

 

  1. Come non ricordare la definizione di Chesterton, tanto apprezzato da De Corte, relativa alla malattia della ragione: «Il pazzo (come il determinista) vede in ogni cosa un eccesso di causa. […] Se il pazzo potesse liberarsi per un momento dalle preoccupazioni ridiventerebbe savio. Chi per disgrazia, ha avuto a che fare con persone che erano folli, o sull’orlo della follia, si sarà accorto che la loro più sinistra qualità è una chiarezza di particolari veramente terrificante: essi connettono una cosa con l’altra sopra un piano più complicato di un labirinto. Se discutete con un pazzo è oltremodo probabile che abbiate la peggio: perché il suo cervello cercherà tutte le strade per non essere trattenuto da argomenti che lo condurrebbero ad un retto giudizio. […] Egli è tanto più logico in quanto ha perduto ogni affetto sano. Il pazzo non è già l’uomo che ha perso la ragione, ma l’uomo che ha perso tutto tranne la ragione» [Ortodossia].

Iscriviti a CR

Iscriviti per ricevere tutte le notizie

Ti invieremo la nostra newsletter settimanale completamente GRATUITA.