Le forze dispotiche

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Il XX secolo e le sue tragedie misero in cattiva luce la sovranità nazionale e il concetto di interesse nazionale, considerati quali cause di due guerre mondiali e successivamente della Guerra Fredda. Secondo le intenzioni, occorreva quindi andare oltre e immaginare una federazione di Stati che avrebbero trasferito molte prerogative nazionali a Bruxelles, centro dell’Europa unita, impedendo così ai singoli Paesi di farne un uso lesivo della pace e della stabilità finalmente acquisite.

Si affermava su queste basi l’idea di costruire gli Stati Uniti d’Europa (in prospettiva) e di concepirli sul modello degli Stati Uniti d’America: una federazione dotata di un bilancio comune, una moneta comune e un mercato comune, in cui condividere anche lo stato sociale, la politica estera e di difesa, nonché i principali ambiti prima affidati alla dimensione nazionale.

Il modello costruito a Maastricht nel 1992 è andato però in crisi ben prima della pandemia di Covid e dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra in corso è (anche) un sensore che registra tutti i limiti strutturali di questa Unione Europea, eppure la crisi finanziaria del 2008 aveva già innescato nella società occidentale una serie di criticità quali populismo, antagonismo, angoscia, demagogia, disinformazione, acuendo la polarizzazione tra centri e periferie. Adesso è prevedibile l’implosione dell’intero assetto europeo perché – come ha sostenuto il consulente strategico americano George Friedman – «in Europa storicamente il conflitto è destinato a riemergere». Le istituzioni comuni europee, peraltro, sono nate per amministrare la prosperità nella libertà, più che per governare la complessità di spirali recessive o, peggio, per sviluppare un riarmo militare ormai necessario.

A tutto questo si aggiunga che le fondamenta dell’Europa “unita” sono state private del pilastro fondamentale e cioè di quel richiamo culturale alle radici giudaico-cristiane nella costituzione europea. Nel 1992, gli ispiratori di Maastricht e fautori degli Stati Uniti d’Europa non avevano tenuto a mente che il 25 settembre 1789, nello stesso giorno in cui i padri fondatori americani approvarono il primo emendamento sulla libertà religiosa, le stesse persone che regalarono all’America quel testo votarono anche una mozione per chiedere al presidente George Washington di proclamare una festa nazionale di Ringraziamento nientemeno che «a Dio onnipotente». Dopo alcuni giorni Washington si dichiarò a favore. Nove anni dopo, il presidente John Adams impose un giorno di digiuno e di preghiera a Dio. Jefferson si oppose, ma il loro successore James Madison nel 1815 stabilì il Thanksgiving Day come lo conosciamo oggi. 

Fatte queste premesse, dopo il crollo del muro di Berlino del 1989, stati dittatoriali, partiti estremisti, fazioni terroristiche, mafie, hanno acquisito una forza eccezionale e, sfruttando la crisi delle élites pubbliche, hanno cercato di indebolire il modello democratico euro-americano.

Russia e Cina non sono nazioni democratiche e in molti Stati del mondo si assiste al declino della legal civilisation, al diffondersi di una disposizione naturale delle persone all’accettazione di comportamenti e politiche illiberali, che possono spianare la strada alla vittoria delle autocrazie e dei dispotismi contro l’ordine liberale. Per tacere dello Jihādismo, la cui strategia, lontana dall’essersi esaurita, è atta a destabilizzare l’ordine politico di Stati e modelli politici già fragili o falliti, nel Medio Oriente, in Africa, nei Balcani.

Per facilità di espressione, chiameremo tutte queste entità col nome di forze dispotiche, attori statali e non statali in grado di armonizzare i propri interessi strategici in funzione antioccidentale. Spiegava Giovanni Sartori che «In passato il dittatore rovesciava la democrazia, il passaggio all’autocrazia era manifesto, rivoluzionario. Oggi questo processo avviene senza alcuna rivoluzione, senza neppure bisogno di riforme. Il caso più potente è la Russia di Putin: formalmente resta un sistema semipresidenziale, ma di fatto un uomo solo si è impadronito del potere e di tutti i contropoteri previsti per contrastarlo». Ciò era chiaro anche prima dell’aggressione all’Ucraina.

Per dare vita alla propria egemonia, le forze dispotiche si scambiano informazioni sensibili e condividono know-how industriali, tecnologie militari e civili (dual use), flussi finanziari; non si limitano a reprimere le voci del dissenso interno, bensì utilizzano un ventaglio di strumenti per influenzare il quadro politico dei paesi democratici. 

Fino all’invasione dell’Ucraina, la classe dirigente europea (soprattutto quella tedesca) aveva sottovalutato il livello dello scontro tra la società aperta e i suoi nemici, l’attacco sferrato dalle forze dispotiche per manipolare le opinioni pubbliche di mezzo mondo.

I mezzi di penetrazione usati nella manipolazione sono antichi e moderni: la televisione, la radio, la carta stampata, l’incremento di istituti di studio e di cultura, gli investimenti economici nel business sportivo, l’aiuto occulto fornito a università, partiti e movimenti politici in Occidente, la cosiddetta «disinformazione sistematica e intenzionale», che ha precisi mandanti e dilaga sul web, tra siti internet e social network. Pensiamo alle teorie del complotto a proposito dei vaccini.

La Cina investe ogni anno nella cosiddetta “informazione internazionale” un budget superiore a 8 miliardi di euro. Un capitale ingente, che pure è lecito calcolare per difetto, usato per plasmare una realtà parallela ad uso e consumo del pubblico occidentale. 

Il governo russo – che in patria controlla le e-mail, le chiamate, il traffico in rete dei politici dell’opposizione e dei dissidenti, attraverso SORM e SORM-2 – all’estero sostiene regimi autoritari come quelli siriano, iraniano, venezuelano, coreano – e condiziona ancora oggi la politica europea, in combutta con la Cina. 

Cina e Russia comprendono meglio degli europei come siano cruciali l’intelligence, il possesso e l’utilizzo delle informazioni e la diffusione delle idee, sicché investono in modo formidabile in quei media capaci di avere una proiezione internazionale, sviluppati per delegittimare i valori occidentali. Larga parte della programmazione di canali come RT in Russia (solo da poche settimane deprecata dalle autorità internazionali) e CGTN in Cina, è diretta a criticare l’Occidente e a pronosticarne il declino.

La stabilità tra le aree geopolitiche è perturbata, produce un’oscillazione perché siamo vicini ad un punto di rovesciamento che sposterebbe l’equilibrio a favore delle forze dispotiche. Se un simile cambiamento si verificasse, sarebbe la nostra libertà a cedere il passo a una definitiva prospettiva panottica. La minaccia che queste entità rivolgono al nostro modello di vita richiede una risposta ferrigna e l’invasione dell’Ucraina con i suoi orrori è lì a dimostrarlo.

A questo ritmo, il conflitto politico-sociale nei Paesi europei si accentuerà, fomentato dalle attività di intelligence delle forze dispotiche, e si salderà con un nuovo ciclo di formule e visioni di tipo sovranista, pauperista, neo-statalista, orientate dalla strategia d’influenza cinese di lungo periodo.

La Cina non vuole un nuovo multilateralismo, e nemmeno un equilibrio di potenza sul modello della Guerra Fredda. Vuole comandare da sola il nuovo ordine mondiale, con una sua platea di consumatori. Ed è ciò che dobbiamo temere, a partire dai cosiddetti “Donbass multipli” di ispirazione russa, cioè l’attacco alla nostra economia, alle nostre conoscenze scientifiche, al nostro approvvigionamento di energia, alla nostra sicurezza, alle nostre norme di convivenza.

La guerra in Ucraina è una proxy war: la Russia, infatti, è un attore statale già da tempo nell’orbita della Cina, quantunque esistano storici contrasti tra questi due Stati.

La Cina vuole costruire il blocco eurasiatico ma non ha alleati veri se non il Pakistan; lo fa anzitutto usando Mosca, che ha una reputazione ormai pregiudicata, un’economia povera e una valuta debole ma serve come testa di lancia per il Caucaso. Lo vedremo meglio ai tre prossimi appuntamenti: la crisi di Taiwan, il tentativo di connettersi ancora una volta al mercantilismo tedesco, la guerra ibrida contro l’Occidente. La posta in gioco non è l’Ucraina ma la guida del mondo.

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