I risultati delle elezioni del 25 settembre 2022 confermano che l’Italia è un paese radicato a destra, malgrado i ripetuti tentativi della sinistra di appropriarsi della titolarità del governo scavalcando i responsi delle urne. Non c’è spazio per il tripolarismo, come ha dimostrato il fatto che una delle cause della débâcle della sinistra è stata la separazione dalla sua coalizione di due soggetti politici, come i Cinque Stelle di Giuseppe Conte e Azione di Carlo Calenda e Matteo Renzi. L’unico vincitore è stato il leader dello schieramento di centro-destra, Giorgia Meloni, e il principale sconfitto il leader dello schieramento di sinistra, Enrico Letta.
La vittoria del centro-destra è stata di proporzioni storiche, con 235 deputati su 400 e almeno 112 senatori su 200, ma è mancata quell’atmosfera di trionfalismo che aveva caratterizzato le precedenti vittorie, nel 1994, nel 2001, e nel 2008. Strategia politica di Giorgia Meloni che ha voluto presentarsi in maniera sobria per rassicurare i mercati internazionali? Forse anche questo, ma soprattutto la consapevolezza, ai vertici come alla base del centro-destra, di una situazione preoccupante per il nostro Paese, che si trova ad affrontare nei prossimi mesi una grave crisi economica, sullo sfondo di un burrascoso contesto internazionale.
Fin dal giorno dopo la vittoria Giorgia Meloni è in contatto informale con il Quirinale e con Mario Draghi, da cui dovrà ricevere le consegne politiche ed economiche del precedente governo. Draghi è stato presentato come un’espressione dei gruppi finanziari internazionali, e certamente lo è, ma il “draghismo” più che l’ideologia dei poteri forti, può essere definito come un neo-pragmatismo andreottiano, con alcuni punti fermi, tra i quali l’ancoraggio agli Stati Uniti d’America. Il declino di Andreotti e di Craxi iniziò proprio nel 1985 quando, con la crisi di Sigonella, avvenne la rottura con l’America di Ronald Reagan. Giorgia Meloni sa perfettamente quanto le pressioni internazionali abbiano influito sulla fine del governo Berlusconi nel 2011 e su quella del governo Lega-Cinque Stelle nel 2018 e ha anche compreso che, se l’Unione Europea è un soggetto debole e litigioso, gli Stati Uniti restano, con la Cina, la prima potenza mondiale. In questo senso ha ragione chi la definisce “atlantista” più che europeista, ritenendo che difficilmente si scosterà da questa linea.
Il premier francese Elisabeth Borne, dopo la vittoria di Giorgia Meloni, è intervenuta per dichiarare che la Francia sarà “attenta” al “rispetto” del diritto all’aborto in Italia, rinfocolando una polemica del tutto strumentale, sulle posizioni antiabortiste della leader di Fratelli d’Italia. L’aborto però non è un diritto umano irreversibile, ma un crimine contro cui si rivoltano milioni di uomini e di donne in tutto il mondo, come dimostrano, al di là delle parole, i fatti. L’evento più simbolico delle elezioni del 2022 è avvenuto nel vasto collegio senatoriale di Roma 1, roccaforte della sinistra, dove l’icona dell’abortismo, Emma Bonino, dopo 46 anni in Parlamento, è stata sconfitta da una candidata di “Fratelli d’Italia”, Lavinia Mennuni, che ha definito come priorità del suo programma «la tutela della natalità sin dal concepimento» (La Verità, 27 settembre 2022). Lavinia Mennuni non ha fruito di alcun appoggio mediatico, ma ha condotto una campagna elettorale porta a porta, non nascondendo le sue posizioni, ed è stata premiata. La disfatta di Emma Bonino è senza appello e dimostra che la cultura della morte può essere sconfitta.
L’aborto, e l’omicidio sistematico dell’Occidente, hanno sempre fatto parte del programma della Sinistra, fin dal suo primo manifesto politico che può essere considerato lo scritto Francesi ancora uno sforzo del “cittadino” Donatien-Alphonse-François de Sade (1740-1814), segretario della famigerata sezione giacobina delle Picche nella Rivoluzione francese. Se però, ai primi del Novecento, un leader politico di sinistra avesse avuto l’aborto nelle proprie rivendicazioni elettorali, la sua carriera sarebbe stata immediatamente stroncata. Questo fa capire quanto sia avanzato il processo di secolarizzazione della società e come la strada da seguire, oggi, non sia quella di costituire un partito politico, come fece Giuliano Ferrara, in epoca ratzingeriana, ma piuttosto di agire sull’opinione pubblica, come è stato fatto negli Stati Uniti, con il risultato di arrivare all’abolizione della sentenza costituzionale Roe vs Wade. In Italia, dopo trent’anni di legislazione abortista, si è dovuto attendere il 2011 per assistere alla prima Marcia per la Vita, fino ad allora osteggiata dalle gerarchie ecclesiastiche, dalla DC e dallo stesso Movimento per la Vita di Carlo Casini. Ci auguriamo che Massimo Gandolfini, che ora la presiede, si muova sulla linea di Virginia Coda Nunziante, da cui ha raccolto il testimone, e che la pattuglia di parlamentari pro-life che ora esiste in Parlamento faccia sentire la sua voce.
I risultati elettorali hanno anche confermato che è inutile illudersi di creare un partito antisistema all’interno del sistema. C’era chi si aspettava un exploit dei partiti “antivax”, ma gli italiani hanno dimostrato di non credere al mito della “dittatura sanitaria”, creato per trasformare la battaglia delle idee, in scontro per l’autodeterminazione biologica, Il partito antivax più accreditato, Italexit, dell’ex Cinque Stelle Gian Luigi Paragone, non ha superato la soglia del 3 per cento; Italia Sovrana e popolare (che aveva nelle sue liste, con Marco Rizzo, l’ex magistrato ultracomunista Antonio Ingroia) ha raggiunto poco più dell’1 per cento; gli ex Cinque Stelle Sara Cunial e Davide Barillari, con la loro formazione Vita, si sono fermati allo 0,7%; Alternativa per l’Italia di Mario Adinolfi e Simone di Stefano, ha superato di poco lo 0,1 per cento. Ci sono stati anche altri due partitini AntiGreen Pass con lo 0,1% e Antivaccinisti con lo 0,7%. Tutti lontanissimi dalla soglia di sbarramento per entrare in Parlamento.
Qualcuno ritiene che i risultati sarebbero stati diversi se questi partiti avessero unito le proprie forze, superando i personalismi. Ma una galassia di partiti che nascono contro qualcosa, senza avere alle proprie spalle un collante ideale, è inevitabilmente destinata a frammentarsi, Il collante più coerente del mondo antivax è finora la proposta antiglobalista del filosofo neomarxista Diego Fusaro, che, dopo avere ammesso la «pesante sconfitta per le cosiddette forze antisistema» ha affermato: «La nuova geografia politica attorno alla quale sono chiamati a organizzarsi il pensiero e la prassi coincide con la coppia alto e basso, signore e servo per dirla con Hegel. Destra e sinistra rappresentano egualmente l’alto, il Signore neoliberista. Occorre creare una forza del basso e per il basso, che contesti la globalizzazione neoliberale, l’imperialismo della NATO, i regimi emergenziali connessi al liberismo, l’individualismo radicale e postmetafisico» (https://www.filosofico.net/diegofusaro/nuova-geografia-politica/). L’ideologia antiglobalista di Fusaro subordina chiunque l’accetti, ad una visione del mondo anarco-marxista, i cui riferimenti sono, a detta dello stesso Fusaro, i grandi ribelli contro l’ordine costituito della storia: Lutero, Giordano Bruno, Marx, Lenin, Martin Luther King e perfino Prometeo. Nulla a che vedere con la visione cattolica e tradizionale della società, ma anzi l’antitesi di essa.Le diatribe interne al mondo “anti-sistema” hanno comunque scarsa rilevanza. La battaglia dei prossimi mesi si condurrà soprattutto sul campo internazionale, dove nubi sempre più fosche si addensano all’orizzonte. Le elezioni italiane hanno coinciso con quelle, illegali, svoltesi nei territori dell’Ucraina occupati dai russi, mentre il 27 settembre è stata la diffusa la notizia di esplosioni e perdite di gas dal Nord Stream nel Mar Baltico, quasi certamente in seguito ad atti di sabotaggio. In questo quadro, Giorgia Meloni è chiamata ad essere una delle voci dell’Occidente che non si arrende: non l’Occidente degli pseudo-diritti civili, ma quello che difende le radici cristiane di una civiltà minacciata. Un difficile banco di prova attende il vincitore delle elezioni del 25 settembre. Nella partita internazionale che si svolge tra Washington da una parte e Mosca e Pechino dall’altra, c’è una dinamica degli eventi che sfugge al controllo di chi li avvia, come accadde nella Rivoluzione francese e nelle due guerre mondiali. Qualsiasi cosa accada, sappiamo però che nulla sfugge a chi ordina e regola ogni evento, fin dall’eternità: la Divina Provvidenza, che l’unico regista e potere forte della storia.