La Chiesa è ricca di modelli a cui guardare e a cui ispirarsi, sono uomini e donne che hanno lasciato individualmente delle testimonianze forti sia nell’eroicità delle virtù, sia nell’incisività che ebbero nel loro esilio terreno in mezzo al prossimo. È essenziale, come sempre è stato fin dal suo sorgere, a cominciare dai martiri e dai pellegrinaggi alle loro tombe, per passare poi anche alle anime esemplari che hanno agito in maniera pure prodigiosa attraverso l’intercessione di grazie e miracoli, che la Chiesa cattolica indichi in queste figure le diverse e variopinte strade che conducono alla perfezione cristiana e d’altro canto che le anime fedeli le imitino e le invochino nell’auspicio che un giorno si possa far parte della comunione dei Santi.
Nel contesto dell’attuale crisi della Chiesa, la pesante questione che oggi si pone è che sui santi si cercano sempre appigli per giustificare il pensiero moderno della Chiesa, anche quando essi sono vissuti prima del problematico e pastorale Concilio Vaticano II, che di fatto ha sdoganato gli errori del modernismo. Ciò è purtroppo accaduto anche il 15 maggio u.s., quando in piazza San Pietro papa Francesco ha canonizzato dieci beati: Luigi Maria Palazzolo (1827-1886) di Bergamo, sacerdote, fondatore dell’Istituto delle Suore delle Poverelle-Istituto Palazzolo; Giustino Maria Russolillo (1891-1955) di Pianura di Napoli, sacerdote, fondatore della Società delle Divine Vocazioni e della Congregazione delle Suore delle Divine Vocazioni; Maria Francesca di Gesù (al secolo Anna Maria) Rubatto (1844-1904) di Carmagnola, fondatrice della Suore Terziarie Cappuccine di Loano; Maria Domenica Mantovani (1862-1934) di Castelletto di Brenzone, cofondatrice e prima superiora generale dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia; Maria Gesù (al secolo Carolina) Santocanale (1852-1923) di Palermo, fondatrice delle Suore Cappuccine dell’Immacolata di Lourdes; l’olandese Titus Brandsma (1881-1942), l’indiano Lazzaro Devasahayam Pillai (1712-1752), i francesi César de Bus (1544-1607), Marie Rivier (1768-1838) e Charles de Foucauld (1858-1916).
Nella sua omelia il Pontefice ha ancora una volta sottolineato il fatto che «all’inizio del nostro essere cristiani non ci sono le dottrine e le opere, ma lo stupore di scoprirsi amati, prima di ogni nostra risposta. […] Questa verità ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità. A volte, insistendo troppo sul nostro sforzo di compiere opere buone, abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio. È una visione a volte troppo pelagiana della vita, della santità. Così abbiamo fatto della santità una meta impervia, l’abbiamo separata dalla vita di tutti i giorni invece che cercarla e abbracciarla nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta».
Da sempre, nella Chiesa docente, la dottrina è stata fondamentale per conoscere Dio e poterlo davvero e seriamente amare, anche nel prossimo, attraverso le opere. Dopo il battesimo, nella Tradizione catechetica, intramontabile e libera dalle mode, è indispensabile, con l’uso di ragione, prepararsi e accostarsi ai diversi sacramenti: senza dottrina, senza sacramenti e senza opere è impossibile santificarsi, non è sufficiente il sentirsi amati da Dio e provare sentimentali emozioni religiose. Amare veramente il Signore subentra nel momento in cui conosciamo la dottrina della Santissima Trinità. La religione cattolica non un semplice trasporto fideistico, sul quale si fonda, per esempio, la dottrina luterana. Questo è il vulnus della malata e sofferente Chiesa dei nostri giorni da troppo tempo, ormai, attratta dalle percezioni protestanti. Fra l’altro ci sembra opportuno far presente che il citato san César de Bus è stato un grande propugnatore della fondamentalità del corretto insegnamento dottrinale, anche per rispondere ai protestanti. Settimo dei tredici figli di una nobile famiglia originaria di Como (Bussi), il giovane César intraprese la carriera militare, prendendo parte alle guerre di religione contro gli ugonotti (i calvinisti francesi) e in seguito fu ammesso alla corte di Parigi da Carlo IX. Dopo la morte di un fratello, canonico del capitolo della collegiata di Salon-de-Provence, ottenne le sue prebende e iniziò a dedicarsi allo studio della teologia e della filosofia, per essere ordinato sacerdote nel 1582. Nella comunità di L’Isle-sur-la-Sorgue istituì, con il cugino Romillon, nel 1592, una congregazione di sacerdoti dediti all’insegnamento della dottrina cristiana (chiamati i Dottrinari), che venne approvata da papa Clemente VIII nel 1597. Spirato il giorno della Santa Pasqua, il 15 aprile 1607 ad Avignone, venne sepolto nella chiesa di Santa Maria in Monticelli a Roma, dove ha sede la curia generale del suo istituto.
I santi proclamati domenica sono ognuno per se stesso un grande dono sia alla Chiesa che al mondo per il loro essersi prodigati, innanzitutto, per la salvezza delle anime, primo requisito nelle opere di carità cattolica. Di due personalità vogliamo ancora qui parlarne: Lazzaro Devasahayam Pillai e Charles de Foucauld, che rappresentano la cattolicità (universalità) della Chiesa e non la laicizzante, innaturale e forzata fratellanza universale, in quanto la fratellanza (concetto serio e profondo) è un’unità che si può realizzare solo con la conversione in Gesù Cristo (Via Verità Vita), l’unico Buon Pastore che guida la sua mistica Sposa, Santa Romana Chiesa.
Lazzaro Devasahayam Pillai è il primo laico santo indiano. Nacque il 23 aprile 1712 da una ricca famiglia induista, nel villaggio di Nattalam di Vilavancode. Ottenuta un’ottima formazione culturale, divenne ufficiale alla corte del Re di Travancore e quindi ministro, ma anche assistente di un importante tempio indù. Unitosi in matrimonio con una giovane donna appartenente alla stessa casta, nel 1742, conobbe il capitano olandese Eustachius De Lannoy, catturato come prigioniero in una battaglia, il quale lo mise in contatto con il gesuita Giovanni Battista Buttari, missionario italiano, che divenne suo direttore spirituale. Sarà lui a portarlo a battesimo il 14 maggio 1745. Ricevette il nome Lazzaro, che significa «Aiuto di Dio» (in lingua tamil: Devasahayam). Iniziò per il santo martire Lazzaro un tempo di grande opera di evangelizzazione con molte conversioni, compresa quella della consorte. Ma la sua azione allarmò i bramini e gli appartenenti alla casta Nair, che presero ad odiarlo. La persecuzione incominciò con il declassamento della casta dei due coniugi per arrivare al 23 febbraio 1749, quando fu incarcerato per ordine del sovrano. Subì molteplici torture e umiliazioni. Scarcerato, fu più volte gettato in prigione. Fu bastonato e le sue piaghe furono cosparse di peperoncino; la sua cella fu riempita di formiche aggressive e insetti velenosi; cercarono di piegarlo con la fame, la sete, l’incatenamento ad un albero, esponendolo così alle intemperie, tuttavia la sua fede restò salda e trasformò proprio quel luogo in un’oasi di preghiera, di comunione con Dio e di missione cattolica. Esiliato ai confini del regno, nei pressi di Aralvaimoshy, anche in questo contesto si diffuse la sua missione e la sua fama di santità fino ad arrivare al 14 gennaio 1752, quando si compì il suo martirio: lo portarono di notte in un luogo appartato, vicino ad una foresta. Lazzaro Devasahayam chiese di poter pregare 15 minuti, gli fu concesso, scaduto il tempo alcuni soldati lo finirono con cinque colpi di fucile. Morì gridando «Gesù salvami!».
Charles Eugène de Foucauld, visconte di Pontbriand, in religione fratel Carlo di Gesù potrebbe essere definito un santo dallo spirito avventuriero. Nato a Strasburgo da famiglia nobile, all’età di sei anni, nel 1864, rimase drammaticamente orfano, perciò venne affidato al nonno materno. Nel 1876 entrò all’École Spéciale Militaire de Saint-Cyr e due anni dopo, alla morte del nonno, ereditò un patrimonio consistente che dissipò in breve tempo. Dedito ad una vita libertina, non si impegnò nello studio. Ad un certo punto decise di trasferirsi in Algeria, dove prestò servizio militare e successivamente, lasciato l’esercito, si dedicò a delle esplorazioni geografiche in Marocco, avendo per guida il rabbino Mardochée Aby Serour e dove studiò l’arabo e l’ebraico. Producendo ricerche e risultati di valore, nel 1885, ricevette la medaglia d’oro dalla Società francese di geografia.
L’anno dopo fece ritorno in patria e fu allora che volle scoprire la fede cattolica, della quale aveva ricevuto solo il battesimo, ma nessun insegnamento. Da allora in poi si mise decisamente in marcia verso una scala di ascesi profondamente intima, ma, sua precisa peculiarità, in luoghi impervi e duri. La prima tappa che scelse fu la Terra Santa. Agli inizi del 1889 giunse a Nazareth, sacro luogo che lo spinse a voler vivere nello spirito della Santa Famiglia. Nel 1890 entrò nella trappa Notre Dame des Neiges in Francia e dopo sei mesi fece ingresso in una trappa molto più povera in Siria, ad Akbes. Suo scopo era trovare Dio nella povertà assoluta e in terre aride e ostili, quasi sulle orme degli antichi eremiti del deserto. Qui, come una sorte di stilita, scrisse un primo progetto di congregazione religiosa, ma chiese di essere dispensato dai voti. Nell’ottobre del 1896 fu inviato a Roma per studiare e nel 1897 l’abate generale dei Trappisti lo lasciò libero di seguire la sua vocazione.
Tornò quindi a Nazareth e prese dimora in una capanna del giardino delle monache Clarisse, divenendo loro domestico per tre anni. In questo contesto decise di abbracciare lo stato sacerdotale, desiderio che portò a termine con l’ordinazione in Francia, a Viviers nell’Ardèche nel 1901. Nello stesso anno partì per l’Algeria, stabilendosi a Beni-Abbés, nel deserto del Sahara, ai confini con il Marocco. Prese a vivere sullo «stile di Nazareth», basato sui sacramenti, la preghiera, il silenzio, il lavoro manuale e la carità verso i poveri, intanto completò gli statuti dei «Piccoli fratelli del Sacro Cuore», una congregazione religiosa che tuttavia non riuscì a fondare.
A Béni Abbès eresse un romitorio, nel quale accoglieva gli indigenti della regione e si mise a studiare la lingua dei nomadi Tuareg per offrire validi strumenti didattici ai futuri missionari della zona: il Dizionario tuareg-francese, un’opera monumentale in 4 volumi, che costituisce da sola una sorta di enciclopedia della società tradizionale dell’Ahaggar (la lingua tuareg e le sue varianti sono idiomi del berbero); Poesia tuareg, in 2 volumi, contenenti centinaia di liriche tuareg, con traduzione interlineare e corrente, con spiegazioni e osservazioni; Testi tuareg in prosa, con scritti etnografici, che descrivono i vari aspetti della vita nell’Ahaggar; Note per servire a un saggio di grammatica tuareg (dialetto dell’Ahaggar), un prontuario grammaticale.
Viaggiò molto nel Sahara e frequentò le città algerine; a Tamanrasset fondò un altro eremo, mentre si prese cura di difendere la gente spesso assalita dai predoni. Fra il 1901 ed il 1913 andò in Francia tre volte con lo scopo di fondare l’«Unione dei fratelli e delle sorelle del Sacro Cuore», un’associazione di laici per l’evangelizzazione dei popoli, che fu riconosciuta dalle autorità ecclesiastiche.
Ci un periodo in cui sperimentò la desolazione e lo scoraggiamento: «Dieci anni che dico Messa a Tamanrasset, e non un solo convertito!», ma proseguì senza sosta perché il suo obiettivo era convertire le anime non lasciarle nell’inganno e nell’errore. Nel 1916 costruì proprio intorno all’eremo di Tamanrasset, un fortino con la funzione di proteggere la popolazione dai predoni. Ma il 1º dicembre, durante un ennesimo assalto, venne ucciso. Il suo corpo fu gettato nel fossato che circondava il fortino, ma venne recuperato dal comandante Laperrine, che lo fece seppellire in una tomba più dignitosa. Nel 1929 le sue spoglie furono traslate nel cimitero francese di El Golea in Algeria, accanto alla chiesa di San Giuseppe dei Padri Bianchi, i quali avevano commissionato allo scrittore francese René Bazin di redigere la prima biografia di fratel Charles, che era stata pubblicata nel 1921.
Il suo pensiero spirituale, lontano dagli ecumenismi e dalle interreligiosità del Vaticano II e del suo sviluppo, sebbene le interpretazioni contemporanee cerchino di strumentalizzarne la sua immagine per portare acqua alle soggettive inclinazioni, si può scoprire e approfondire attraverso alcuni libri: La mia fede. Charles de Foucauld, Testi scelti a cura di un Piccolo fratello, Città nuova, Roma 1972; Meditazioni sui passi dei Vangeli relativi a Dio solo, fede, speranza, carità, 1897-98, Città nuova, Roma 1973; Ritiri. La vita nascosta: ritiri in Terra Santa, 1897-1900, Città nuova, Roma 1974; Ritiri. All’ultimo posto: ritiri in Terra Santa, 1897-1900, Città nuova, Roma 1974; Ritiri. Solitudine con Dio: ritiri per le ordinazioni e nel Sahara, 1900-1909; Città nuova, Roma 1975; Meditazioni. Piccolo fratello di Gesù: meditazioni, 1897-1900, Città nuova, Roma 1975.Grazie agli scritti che ha lasciato e al suo pensiero evangelico radicale, nonostante non sia riuscito a creare una realtà religiosa, sono stati sufficienti per dar vita a ben diciannove differenti famiglie di laici, preti, religiosi e religiose che vivono il Vangelo nel mondo cercando di seguire il suo esempio, in particolare ricordiamo le Fraternità dei Piccoli fratelli e delle Piccole sorelle di Gesù, tutte realtà che si raccolgono nell’Associazione Famiglia spirituale di Charles de Foucauld. Di lui restano diversi moniti e insegnamenti, ma di uno facciamo essenziale memoria: «La vista stessa del mio nulla, anziché affliggermi, mi aiuta a dimenticarmi e a pensare soltanto a Colui che è tutto».