Lo scorso giovedì un gruppo di cinque studenti dell’associazione pro-life Universitari per la Vita è stato oggetto di un violento attacco da parte del Collettivo di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma. I ragazzi, tra cui il presidente dell’associazione, Fabio Fuiano, dopo aver ottenuto dalla Questura regolare autorizzazione per effettuare un volantinaggio nel piazzale antistante l’entrata dell’università, si sono visti negato il diritto di dire la verità sull’aborto. Qui potete trovare un resoconto dell’accaduto redatto dagli stessi universitari.
Indubbiamente, la reazione da parte dei collettivi femministi di estrema sinistra è stata esacerbata da un lato dalla formazione del nuovo Governo Meloni e dall’elezione alla presidenza della Camera dell’onorevole Lorenzo Fontana, noto per le sue posizioni nettamente antiabortiste, dall’altro dalla proposta di legge del senatore Gasparri per il riconoscimento della capacità giuridica al concepito. Ciononostante, bisogna rilevare come l’azione di questi gruppi estremisti non sia una novità degli ultimi mesi. Già nell’ottobre del 2018, quando il Presidente del Consiglio era l’onorevole Paolo Gentiloni (PD), gli Universitari per la Vita subirono un analogo attacco, sempre da parte di gruppi femministi, identificatisi in seguito come “Link” e “Non Una di Meno” di fronte al dipartimento di Lettere e Filosofia della medesima università. Dunque, la violenza delle reazioni non è da ascriversi solamente alla congiuntura politica del momento, ma a qualcosa di più radicato e profondo. In definitiva, il principio di sussistenza di questi movimenti abortisti risiede nell’iniquità della legge 194/78, che ha legittimato, contro qualsiasi ordine della ragione, la barbara pratica dell’aborto. Non solo, la carica culturale di questa norma, essendo formalmente legge dello Stato, è stata tale da normalizzare questo atto e permettere la sistematica soppressione di 6 milioni di esseri umani innocenti nel nostro Paese. Se è vero che la cultura abortista esiste da prima del varo di questa legge, è pur vero che tale cultura non avrebbe ricevuto una tale spinta propulsiva senza di essa. La 194 ha sancito quell’anti-principio giuridico che contraddice l’indisponibilità della vita umana, rendendo la vita del concepito innocente a totale disposizione della donna, indiscutibile artefice della vita o della morte del figlio. Se prima l’aborto era un atto condannato dallo Stato e dalla società, e appannaggio di pochi, seppur determinati, abortisti, oggi è divenuto un “diritto” garantito dallo Stato al quale corrisponde un dovere da parte dei medici (infatti, come evidenziato dal filosofo del diritto Tommaso Scandroglio, la concessione dell’obiezione di coscienza non avrebbe senso per una prestazione meramente facoltativa).
Per di più, si deve rilevare che, in confronto ad altre leggi abortiste nel mondo, la 194 ricopre un ruolo di totale supremazia in quanto introduce subdolamente tale anti-principio ammantandosi di una presunta bontà che abbassa le difese di chi dovrebbe contrastarla. È risaputo che, a causa dei primi cinque articoli, molti esponenti del panorama pro-life italiano, la ritengono la “miglior legge” che possa esserci in materia d’aborto, limitando la strategia di difesa della vita alla semplice applicazione integrale di questa norma iniqua. La 194 è veramente un capolavoro abortista: legittima la soppressione degli innocenti riuscendo ad affermare al tempo stesso che lo Stato «tutela la vita umana dal suo inizio» (art. 1). Ma l’albero, come insegna sapientemente il Vangelo, va giudicato dai frutti e dunque bisogna chiedersi, quali sono i (pessimi) frutti della 194? Lunga sarebbe la lista, ma tra i più importanti si annoverano lo sdoganamento della fecondazione artificiale (la legge 40 del 2004 è, a tutti gli effetti, “figlia” della 194), la diffusione incontrollata dell’aborto chimico e della contraccezione e, come logica conseguenza, di un atteggiamento di totale disinvoltura, disinibizione e promiscuità nella sessualità, specialmente tra i giovani e giovanissimi. L’abbandono di questi ultimi alle passioni più sregolate, complice la deresponsabilizzazione incentivata dalle leggi dello Stato che consentono loro, a spese dei contribuenti, di eliminare direttamente qualunque incomodo derivante dai loro atti, ha permesso la nascita di gruppi e movimenti come quelli descritti. I ragazzi e le ragazze che ne fanno parte e che difendono a spada tratta il “diritto” di sopprimere degli innocenti nel grembo materno per qualsiasi motivo e in qualsiasi momento sono il prodotto di un totale sovvertimento della griglia valoriale di riferimento che ha sempre guidato i popoli verso la civiltà: uno dei pilastri di tale griglia è sempre stato il rispetto per la vita nascente e per la famiglia, senza i quali non v’è futuro per la società. Un sovvertimento di tale portata era possibile solo con strumenti proporzionati, in grado di influenzare inesorabilmente l’opinione pubblica. Quale migliore strumento di una legge dello Stato? Con la 194, intere generazioni sono cresciute credendo che l’aborto fosse semplicemente un “diritto acquisito”, un atto perfettamente normale. E, seppur inizialmente si parlasse dell’aborto in termini di “dramma” o di “scelta sofferta”, progressivamente ci si è spostati verso visioni sempre più estreme, ma pur contenute in nuce nelle premesse, che lo vedono come un’espressione suprema dell’autodeterminazione femminile e finanche un dovere in alcuni casi. Tipico esempio della finestra di Overton, dove un’idea inizialmente condannata, diviene perfettamente accettata e proposta come modello. Fino all’imposizione, come accade nelle università.La domanda a questo punto è la seguente: è possibile invertire la tendenza omicida/suicida innescata da tale legislazione? Umanamente parlando, l’unica cosa che il mondo pro-life oggi potrebbe fare è rinunciare al fascino delle “parti buone” della 194 e sposare una ferma opposizione a tale legge, riconoscendone la reale ratio e operando, secondo le possibilità, nel senso della sua totale abrogazione. Ma questo non è sufficiente, perché il processo rivoluzionario non ha sovvertito solo le idee e le leggi dello Stato, ma anche e soprattutto le tendenze profonde dell’anima umana. A questo può porre rimedio solo un faticoso lavoro d’ascesi personale e, in ultima analisi, il ritorno all’ordine naturale e cristiano. Del resto, rimane solo la pubblica testimonianza della verità e l’ardente preghiera che il Trionfo del Cuore Immacolato, promesso dalla Madonna a Fatima, si concretizzi il prima possibile.