All’insegna del più demagogico politically correct, il presidente americano Biden s’è affrettato a far sapere che il nuovo giudice della Corte Suprema, chiamato a sostituire Stephen Breyer, sarà donna e nera, la prima nella storia degli Stati Uniti ad occupare quel posto. Non una novità assoluta, questo annuncio, poiché aveva già fatto questa promessa nel corso della propria campagna elettorale. Ma non è questo il punto. Il punto sta nell’ipocrisia di battaglie strumentali, che non tengono conto della realtà dei fatti e che consentono soltanto, a quanti se ne facciano promotori, di nascondersi dietro un dito.
Sarebbe meglio infatti che l’inquilino della Casa Bianca prestasse maggiore attenzione alle questioni etniche, non per sventolare bandiere ideologiche, bensì laddove davvero ne esista l’urgenza e la necessità. Come quando si affronti il tema dell’aborto, che sta letteralmente cancellando la popolazione di colore, specie le nuove generazioni. Lo dicono i dati.
Quasi il 40% di tutti gli aborti praticati negli Stati Uniti, infatti, ha riguardato bambini di origine afroamericana (contro il 35% di bianchi), benché la popolazione nera rappresenti soltanto il 14% del totale. Stiamo parlando di una cifra tragica, colossale, oltre 20 milioni di piccoli uccisi nel grembo delle loro madri, un numero equivalente alla popolazione di New York o della Florida. Un trend peraltro in crescita: dieci anni fa ci si attestava attorno al 36% su di una popolazione di colore pari al 12,8% del totale.
Un caso? Non proprio. La stessa fondatrice di Planned Parenthood, Margaret Sanger (che, non a caso, fece parte della Società di Eugenetica), il 19 dicembre 1939, in una lettera inviata al dottor Clarence Gambler, promosse la sterilizzazione di persone ritenute «inadatte» alla procreazione, quali per l’appunto minoranze etniche – soprattutto neri ed ispanici – e portatori d’handicap, ragion per cui le sue cliniche vennero aperte strategicamente soprattutto nei quartieri abitati dalle comunità di colore, nonché nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Ecco per quali battaglie il presidente americano dovrebbe battersi, per evitare lo sterminio etnico a colpi di aborto, poiché questa è un’evidente forma di autentico razzismo, non il colore della pelle di un giudice della Corte Suprema.
A fronte di ciò, comunque, anche buone notizie giungono dagli Stati Uniti sul fronte della vita. La città di Louisville è stata condannata a pagare a Matt Schrenger, un poliziotto del Kentucky, 75 mila dollari di risarcimento, per aver violato i suoi diritti costituzionali e civili, sospendendolo per oltre quattro mesi dal servizio e ponendolo sotto inchiesta, semplicemente per aver pregato in silenzio, su di un marciapiedi pubblico, dinanzi all’ingresso di una clinica abortista chiusa, mentre si trovava fuori servizio. L’agente, che peraltro nel proprio curriculum vitæ vanta numerosi elogi, ha fatto immediatamente causa al Sindaco ed al Dipartimento locale di Polizia ed ha vinto.
Da notarsi come, in passato, altri agenti di Polizia di Louisville avessero pubblicamente marciato in occasione di altre iniziative di esplicito attivismo politico – ad esempio, Lgbt e Black Lives Matter -, mentre si trovavano in servizio e con l’uniforme, senza che il Dipartimento avesse avuto alcunché da ridire e senza che avviasse azioni disciplinari, provocando così un’evidente discriminazione tra il personale, punendo unilateralmente e solo le opinioni di chi si dimostri pro-life, infischiandosene dei diritti garantiti dal Primo Emendamento. Inevitabile a questo punto condanna e biasimo per una forma persecutoria disumana, silenziosa ed ipocrita, pari forse solo a chi pensi di risolvere la strage di bambini afroamericani compiuta con l’aborto, semplicemente proponendo il nome di una donna nera quale giudice della Corte Suprema.