La macchina dei trapianti utilizza nuove tecniche e nuovi criteri per l’espianto di organi vitali

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trapianti(di Alfredo De Matteo) «Il confine che separa un corpo tenuto in vita artificialmente da uno completamente deceduto è spesso molto sottile, da un punto di vista giuridico e morale, ma su questo stesso discrimine si basa la possibilità di trasformare una tragica scomparsa in una fonte di speranza per i numerosi pazienti in attesa di un trapianto di organi. Per la prima volta nella storia, tuttavia, un’equipe di medici milanesi è riuscita a spostare l’angusto confine, eseguendo un trapianto di fegato da un donatore in arresto cardiaco».

Tali parole, riportate da un quotidiano di informazione online a commento della notizia di un trapianto di fegato da un “donatore” in arresto cardiaco avvenuto all’ospedale Niguarda di Milano, sintetizzano efficacemente i termini della questione e l’ideologia che sottende la pratica dei trapianti d’organi vitali.

Il prelievo di tessuti da pazienti in arresto cardiaco sembra costituire la nuova frontiera che consentirà alla medicina ufficiale di reperire, rispetto ad oggi, un numero maggiore di “pezzi di ricambio”. Il motivo è semplice: secondo studi statistici, in paesi come l’Italia e gli Stati Uniti, l’arresto cardiaco ha un’incidenza annuale pari a un caso ogni mille abitanti, per cui i casi per anno in Italia sono circa 60.000 e negli Usa 320.000; la morte cardiaca improvvisa rappresenta oltre il 50 percento di tutti i decessi per malattie cardiovascolari.

Per di più, il reperimento di organi da pazienti con diagnosi di morte cerebrale non riesce a soddisfare le esigenze del mercato, malgrado le Istituzioni ed i mass media abbiano provato a sensibilizzare l’opinione pubblica in ogni modo possibile. In sostanza, grazie all’utilizzo di appositi macchinari adibiti alla circolazione extracorporea, risulta ora possibile mantenere attiva la funzionalità degli organi del donatore anche in assenza di battito cardiaco, cosicché gli organi stessi non subiscano i danni provocati in condizioni normali dall’arresto cardiaco occorso al malcapitato.

Grazie alla macchina definita “cuore-polmoni”, che consente la piena vascolarizzazione dei tessuti anche dopo il decesso, gli esperti stimano che si potrebbe aumentare del 10% il numero degli organi disponibili per il trapianto. Tale procedura sembra però contrastare con le tecniche di rianimazione dei pazienti in arresto cardiaco, di fondamentale importanza per la sopravvivenza degli stessi. Infatti, la percentuale di sopravvivenza dopo arresto cardiaco è del 2% ma sale al 50 percento se si effettua un intervento di defibrillazione.

In altri termini, se è vero che la procedura di espianto degli organi può avvenire, a norma di legge, solo dopo venti minuti dall’arresto cardiaco (termine che tra l’altro non è sufficiente a decretare con assoluta certezza l’irreversibilità dell’arresto e che non soddisfa pienamente i criteri oggettivi di accertamento della morte), è altrettanto vero che le procedure atte a vascolarizzare i tessuti cominciano da subito e mirano evidentemente non alla salvaguardia della vita del paziente ma a mantenere sani gli organi per l’espianto.

Ossia, ancora una volta si corre il rischio che tenda a prevalere, giocoforza, la logica dell’utilitarismo: nel contesto attuale, laddove la vita umana è degna di essere vissuta solo a particolari condizioni e vige la legge del più forte, riveste maggiore importanza a livello socio-culturale “regalare” una seconda possibilità a chi la richiede piuttosto che salvare una vita comunque precaria ed “appesa ad un filo”.

Per di più, dietro al trapianto di organi vitali si è sviluppato un business non indifferente che non riguarda solamente la compravendita di tessuti ottenuti illecitamente ma coinvolge chirurghi, cliniche e centri specializzati. Non ci sono vie di mezzo: quando ai criteri oggettivi di accertamento della morte se ne sostituiscono altri affatto oggettivi si apre la strada ad ogni sorta di abuso. (Alfredo De Matteo)

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