(Gianandrea de Antonellis) Il 18 maggio 2014 segnerà il settantesimo anniversario della storica battaglia di Montecassino, che determinò la sconfitta della Wehrmacht tedesca, lo sfondamento della Linea Gustav e l’avanzata degli Alleati, senza più ostacoli insormontabili, verso la liberazione di Roma. La Mondadori ha anticipato i tempi pubblicando, nella collana Oscar Storia, il nuovo libro di Luciano Garibaldi Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia (176 pagine, 11 euro).
È una ricostruzione storica dell’evento fondamentale della campagna d’Italia 1943-45 ‒ appunto la battaglia di Montecassino che determinò il crollo della Linea Gustav – fortemente incentrata sull’ispirazione cattolica che muoveva i volontari polacchi guidati dal generale Wladyslaw Anders. Quasi centomila ufficiali e soldati polacchi, presi prigionieri dal russi all’atto dell’invasione tedesco-sovietica della Polonia nel settembre 1939 (l’avvenimento che scatenò la Seconda Guerra Mondiale), ebbero la possibilità di tornare a combattere dopo che, il 22 giugno 1941, Hitler invase l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa). Dai Gulag dove erano stati rinchiusi dai sovietici, raggiunsero, dopo trasferimenti allucinanti, il Medio Oriente e qui, sotto la supervisione britannica, si formò il 2° Corpo d’Armata polacco, che venne inserito nell’Ottava Armata alleata impegnata sul fronte italiano.
La prima, grande vittoria dei polacchi di Anders fu la battaglia di Montecassino, portata a termine il 18 maggio 1944 al prezzo di quasi mille vite umane e più di duemila feriti. I tedeschi si erano installati tra le rovine della storica abbazia benedettina, distrutta da un micidiale quanto assurdo bombardamento anglo-americano. Da qui, con i loro cannoni a lunga gittata, impedivano agli Alleati di avanzare verso Roma. Per ben quattro mesi, soldati di ogni nazionalità avevano tentato invano la conquista della vetta, lasciando sul campo decine di migliaia di morti. Finché arrivò il turno dei polacchi e, con essi, arrivò la vittoria. Fu soltanto l’inizio di una serie di successi militari concretatisi con la liberazione delle Marche, dell’Emilia-Romagna e, infine, di Bologna, espugnata il 21 aprile 1945.
La componente cattolica del carattere e della formazione del 2° Corpo d’Armata ebbe una straordinaria rilevanza durante tutte le operazioni belliche in Italia. Per la prima volta, dopo le terribili esperienze in URSS, e dopo i trasferimenti e le esercitazioni in Iran, Irak, Palestina ed Egitto, i soldati polacchi si trovavano a vivere e ad esercitare la loro missione in un Paese cattolico. Questa circostanza agevolò l’opera dei cappellani militari che strinsero rapporti di amicizia e solidarietà con il clero italiano e la popolazione civile. I cappellani militari polacchi, coordinati da una figura eccezionale, il vescovo Jozef Gawlina, si prodigarono sempre in soccorso e conforto sia dei soldati feriti sia della popolazione civile. In particolare, tre le direttive impartite da monsignor Gawlina: tenere alto il morale dei feriti, dare il conforto religioso ai moribondi, far sentire il proprio affetto alla popolazione italiana.
Durante tutto il suo pontificato, il Beato Giovanni Paolo II fu sempre vicino ai suoi compatrioti caduti per l’Italia. Ancora arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla visitò il cimitero di guerra polacco vicino al santuario di Loreto, soffermandovisi a lungo in preghiera. Mancavano pochi mesi alla sua elezione al soglio pontificio, avvenuta il 16 ottobre 1978. E l’ultimo viaggio prima di morire lo fece proprio a Loreto, nel settembre 2004, in occasione del convegno nazionale dell’Azione Cattolica. Nel corso dei suoi 27 anni di pontificato, si era recato altre cinque volte in visita al cimitero polacco, dove sono sepolti due suoi amici di gioventù. (Gianandrea de Antonellis)