(di Danilo Quinto) Anche Papa Francesco si è unito alla vulgata contro la politica che ha dilagato in questi anni. Subito dopo l’ultimo scandalo, quello del Mose di Venezia, in un’omelia a Santa Marta ha affermato che «è tanto facile entrare nelle cricche della corruzione», criticando «quella politica quotidiana del ‘do ut des’» per la quale «tutto è affari». «Quante ingiustizie! Quanta gente che soffre per queste ingiustizie!», ha aggiunto.
È un dato di fatto che la politica si sia ridotta negli ultimi decenni ad amministrare, per conto di pochi, comitati d’affari e, attraverso i suoi legami con la burocrazia e con l’imprenditoria rampante, con le lobby di potere e sottopotere e con le società di comodo, a malversare la finanza pubblica. Non sono, d’altra parte, solo le grandi opere, come l’EXPO o il Mose o le ricostruzioni post-terremoto – stando a quello che emerge dalle inchieste giudiziarie – a costituire un business di dimensioni colossali, rispetto al quale rappresentano una briciola i tre miliardi di denaro pubblico di rimborsi elettorali che i partiti in vent’anni si sono spartiti.
Al business concorrono la maggior parte degli appalti e dei subappalti che vengono decisi dalle amministrazioni centrali e periferiche. Non ci sono leggi che tengano. Né inchieste giudiziarie che possano costituire da deterrente. Né esempi di buona amministrazione che vengono imitati. Si sprecano perfino i manuali che descrivono come praticare la spartizione. Il tumore è diventato metastasi.
Sarebbe interessante, oltre che istruttivo, istituire una commissione d’inchiesta parlamentare su come i partiti hanno funzionato negli ultimi vent’anni, anche per verificare se c’è davvero bisogno di 1 milione e 300 mila persone che vivono direttamente o indirettamente di politica, se uno Stato può accollarsi l’onere di un costo complessivo della politica di quasi 7 miliardi di euro l’anno, se sono necessari oltre 7.000 enti strumentali, consorzi, aziende, fondazioni, società, agenzie, autorità, che occupano circa 24.000 componenti nei vari Consigli di Amministrazione. Proprio queste cifre – i numeri della metastasi – stanno a dimostrare che esiste, nella malversazione del denaro pubblico, un connubio strettissimo tra politica e cosiddetta società civile, che usufruisce di benefici enormi da questa politica.
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La grande mistificazione che è stata propinata in questi anni è stata proprio quella di distinguere la politica – disonesta – dalla società civile – onesta. Sono 70, ogni anno, i miliardi stimati come prodotto della corruzione e 140, sempre all’anno, i miliardi che derivano dall’attività della criminalità. Questo denaro viene riconvertito in denaro pulito e rimesso sul mercato. Chi fa questo mestiere? Lo fanno i politici o le banche, in concorso con buona parte della società civile? Se a questi dati aggiungiamo che l’economia sommersa in Italia pesa per il 18% del Pil e che solo per quel che riguarda l’Iva e l’Irap, l’evasione ammonterebbe a 50 miliardi di euro, è legittimo chiedersi se le responsabilità della metastasi italiana siano da attribuire solo alla politica.
D’altra parte, la riprova di tutto ciò, la si è avuta proprio alle ultime elezioni. Beppe Grillo – che in questi anni ha cavalcato in maniera sconsiderata l’antipolitica – quando è andato a “Porta a Porta”, ha evocato il processo ai politici. Da imbonitore qual è, ha sparato nel mucchio e ha perso buona parte del consenso che aveva ottenuto solo un anno prima. Forse perché una parte consistente di chi ascoltava ha avuto paura e si è resa conto che un’eventuale processo riempirebbe tutti gli stadi di questo disgraziato paese, che può essere salvato solo da una profonda e seria rivoluzione di carattere morale. Non basterà di certo una generazione per realizzarla, perché è tutto da ricostruire. (Danilo Quinto)