(di Giuliano Guzzo su Libertà e Persona del 08-05-2012) Spesso la verità suona antipatica, ma ogni tanto qualcuno la deve pur dire. A farlo, quest’oggi, ci ha pensato il professor Tyler Cowen, uno degli economisti più influenti degli ultimi 10 anni (fonte: Economist), il quale, a proposito di crisi economica e a proposito di Italia, ha affermato chiaramente che ciò lo «rende più pessimista» non «è l’euro» bensì «il tasso di natalità, che in Italia è dell’1,3%».
Un dato che sarebbe da tenere in massima evidenza, insiste Cowen, perché «se l’Italia facesse più figli, le sue prospettive economiche sarebbero migliori. Invece un Paese con una popolazione in declino alla fine non potrà ripagare i suoi debiti» (Corriere della Sera, 8/5/2012, p. 31). Nulla di nuovo se si pensa che due Nobel come Gary Becker e Amartya Sen – ribadendo cose già dette da Alfred Sauvy (1898 – 1990) – da tempo hanno sottolineato come la crescita demografica sia fondamentale per lo sviluppo economico (Cfr. AA. VV. Emergenza Demografia, Rubbettino 2004, p. 69).
Il punto è che di denatalità e invecchiamento della popolazione, a livello politico, ci si occupa solo marginalmente con il risultato che oggi l’Italia è un Paese dove da un lato «i centenari sono triplicati» (Corriere della Sera, 25/1/2011) e dall’altro «negli ultimi dieci anni i giovani trai 15 e i 34 anni sono diminuiti di circa due milioni di unità» (Corriere della Sera, 18/5/2011). Può sembrare paradossale, ma se le cose non cambiano da molti giovani senza lavoro ci ritroveremo con molto lavoro senza giovani.