La Cina: un gigante dai piedi d’argilla

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(Luca Della Torre) Il direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), l’agenzia dell’ONU per la tutela della salute, Tedros Ghebreyesus, nella conferenza stampa quotidiana sulla diffusione del temibile Coronavirus svoltasi a Ginevra l’8 marzo scorso ha riconosciuto ufficialmente per la prima volta che il Covid-19 sia una forma di pandemia planetaria. Ciò significa che l’ONU riconosce oramai ufficialmente come il morbo del coronavirus sia un’epidemia in grado di trasmettersi velocemente ed incontrollatamente in tutti i continenti.

Come sappiamo il virus si è sviluppato in Cina, il cuore dell’epicentro dell’epidemia che sta oramai dilagando nel pianeta è la città di Wuhan, nella provincia di Hubei. Se è pacifico che l’attenzione dell’intera comunità internazionale degli Stati sia dedicata in primo luogo alla cooperazione per l’assunzione di tutte le misure più idonee a contrastare sotto il profilo sanitario gli effetti letali di questa probabile pandemia, garantendo nel migliore dei modi la salute dei propri cittadini, numerosi indicatori stanno a evidenziare – nella misura in cui il virus si diffonde a livello planetario – come nelle cancellerie degli Stati stia crescendo sempre più il malumore nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, che in questa drammatica vicenda sta confermando di essere un inaffidabile, pericoloso interlocutore a livello di relazioni internazionali, responsabile di aver facilitato la diffusione del contagio a livello planetario.

Diplomazia e organi di stampa occidentali non hanno potuto non riconoscere che i caratteri intrinsecamente totalitari, aggressivi e violenti del regime comunista guidato dal leader Xi Jinping abbiano avuto una grave responsabilità, tacendo la verità nella maldestra gestione di una crisi che si è rivoltata sull’intera comunità internazionale degli Stati.
Da sempre la risposta della diplomazia comunista cinese nelle relazioni esteremostra come tutte le questioni istituzionali, economiche, religiose, culturali – sanitarie in questo caso specifico – che possano mettere in discussione la stabilità del regime politico del Paese basata sul ferreo dominio del Partito Comunista sui cittadini, siano sempre affrontate utilizzando il profilo più basso possibile, anche tramite la bugia, nella speranza che la crisi rientri prima che possa divenire di dominio pubblico nella società civile, e ragione di critica al sistema del Partito unico.

Il primo grave addebito che si muove al governo cinese è il deliberato ritardo voluto nell’avvisare la comunità internazionale, nel comunicare tutti i dati scientifici opportuni al fine di attivare le misure di prevenzione necessaria: come ha rivelato il New York Times, senza mai essere smentito dalla autorità di Pechino, il governo del regime totalitario comunista cinese guidato da Xi Jinping era stato allertato dalle autorità sanitarie locali già agli inizi di dicembre 2019, ma ha atteso ben un mese per informare la massima organizzazione sanitaria internazionale di cui fa parte la stessa Cina, l’OMS, nel tentativo di occultare il più possibile cause, origini, numeri ed effetti del pericolosissimo virus diffusosi nella provincia dell’Hubei.

La stessa provincia di Hubei, ed in particolare la città capoluogo di Wuhan, fu posta in quarantena solamente a fine gennaio, ben quasi due mesi dopo le prime manifestazioni del virus. Durante questo periodo le autorità politiche hanno invece deliberatamente cercato di minimizzare, occultare, negare ogni notizia ed informazione che attraverso le istituzioni sanitarie ed amministrative locali, i social media potessero mettere in preallerta i cittadini cinesi coinvolti nella drammatica situazione sanitaria e le diplomazie estere.
Qui si apre un secondo fronte di responsabilità apertamente contestato al regime totalitario di Pechino da parte degli Stati e della stampa internazionale: il ferreo sistema di censura sulla libertà di informazione all’interno del Paese e nelle relazioni estere, e la costante violazione dei diritti fondamentali civili e politici dei cittadini.

L’emergenza sanitaria creatasi in Cina ha rivelato ancora una volta infatti il volto minaccioso del “Grande Fratello”, il Partito Comunista Cinese, che ha la pretesa velleitaria di voler controllare, gestire e proibire tutti i flussi di informazione da e verso la Cina che possano essere in contrasto o minacciare l’immagine di consenso al regime, in un sistema di relazioni internazionali in cui viceversa i flussi di comunicazione ed informazione corrono velocissimi tramite internet ed i social media.

E’ necessario sapere che in Cina una norma legislativa costituzionale in materia di libertà di stampa ed informazione vieta qualsiasi notizia, comunicazione pubblica che non sia conforme ai diktat degli organi di informazione ufficiali del governo. Giornalisti, docenti universitari, intellettuali, avvocati, attivisti per i diritti dell’uomo, medici e scienziati che in questi mesi hanno cercato di fare sentire la loro voce, diffondendo informazioni, notizie o anche solo manifestato pareri contrari ai comunicati ufficiali degli organi di governo, sono stati sottoposti a minacce, arresti e detenzione per i presunti reati di “odio alla nazione” e “messa in discussione del Partito Comunista”, ipotesi di reato assolutamente inammissibili in uno stato di diritto civile che riconosce il primato dei diritti della persona.

Emblematico il triste caso del dottor Li Wenliang, medico oftalmologo, uno dei primi medici coinvolti nell’area di crisi di Wuhan, che individuò il virus ed avvertì il dovere di avvisare le istituzioni politiche e la comunità medica dei gravi rischi che si stavano profilando per la polazione. Il dottor Li Wenliang fu accusato dalle autorità di polizia di propalare commenti falsi e di minacciare l’ordine pubblico. Il medico è stato purtroppo una delle vittime del Coronavirus nel mese di febbraio: il 18 marzo l’autorità di polizia cinese – sotto la spinta sempre più incontrollabile delle proteste degli studenti e degli intellettuali dissidenti sui social media – è stata costretta a riconoscere la propria responsabilità.

Il cosiddetto “metodo cinese” di gestione della crisi del Covid-19 – che alcuni organi di stampa della sinistra liberal in Italia hanno cercato, con disgustoso ardire, di legittimare in questi giorni – basato sulla violenta soppressione di ogni forma di libertà di informazione prosegue ininterrotto ancor oggi: come riportato dall’Agenzia Asia News del Pontificio Istituto Missioni Estere, Xu Zhiyong, docente di diritto dell’Università di Pechino, noto attivista per i diritti umani, è rinchiuso in un carcere segreto con l’accusa di “sovversione contro i poteri dello Stato” per aver criticato espressamente la violazione della libertà informazione da parte del regime di Xi Jinping ed aver così contribuito alla diffusione incontrollata del Coronavirus.

La prima visita in questi giorni nella provincia di Hubei del leader supremo Xi Jinping, promossa attraverso una campagna di propaganda a tappeto a favore del Partito Comunista è stata accolta da feroci critiche di cittadini, studenti e intellettuali sui social media, critiche che naturalmente sono state immediatamente oscurate dalla autorità di polizia.

Le reazioni pragmatiche di molti governi occidentali a questo approccio aggressivo, inaffidabile, inattendibile del regime cinese nei rapporti tra Stati a livello di relazioni internazionali non si sono fatte attendere: il fatto che molti Paesi, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, USA abbiano chiuso le vie di comunicazione aerea con la Cina, rimpatriato i propri cittadini e preso consistenti provvedimenti sanitari di divieto di ingresso di cittadini cinesi sul proprio territorio, mostra che essi non si fidano di quanto dicono le autorità cinesi.

La reazione stizzita e arrogante del governo cinese, che ha accusato la diplomazia di Washington di contribuire a creare panico attraverso la proibizione dell’ingresso dei cittadini cinesi sul suolo USA, come il tentativo goffo dell’Agenzia stampa cinese Xinhua di far credere che l’Italia sia pronta a ripristinare i voli verso gli aeroporti cinesi – notizia smentita dalla Farnesina – dimostrano la generalizzata assenza di fiducia e giudizio di inattendibilità sul regime comunista cinese da parte degli Stati occidentali: è oramai riconosciuto nelle cancellerie degli Stati che la palese situazione di inaffidabilità del feroce regime autoritario cinese si ripercuoterà prossimamente ed a lungo su tutti i versanti economici, politici, culturali delle relazioni internazionali con l’Occidente. A dispetto della fallimentare vulgata culturale della globalizzazione, i muri ed i confini territoriali si dimostrano una provvidenziale necessità per la tutela del bene comune della società umana. 

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