La Chiesa e le epidemie nella storia

Prof. Roberto de Mattei
Prof. Roberto de Mattei
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Riportiamo il testo dell’intervento del prof. Roberto de Mattei tenuto al convegno internazionale organizzato da Voice of the Family su Salute dei malati e salvezza delle anime. Chiesa e società in un periodo buio della nostra storia (Hotel Massimo d’Azeglio, Roma – 23 ottobre 2021)

Le epidemie, o pandemie, costituiscono un capitolo della storia della medicina, che è di particolare importanza per la sua rilevanza sociale. L’epidemia è infatti un male collettivo che ha un forte impatto sulle idee e sui costumi di un popolo.

Come si è comportata la Chiesa nella storia di fronte alle epidemie? Cercherò di offrire qualche “flash” storico, ricordando che, parlando di Chiesa, mi riferisco non solo alle autorità ecclesiastiche, ma a tutto il popolo cristiano che della Chiesa fa parte, a cominciare dai santi, che sono l’espressione più alta del sensus fidei e del sensus moralis del Corpo Mistico di Cristo.

La Chiesa, fondata da Gesù Cristo, ha come sua missione primaria la salvezza eterna delle anime, ma non trascura la salute temporale dei corpi, per l’inscindibile vincolo che esiste tra anima e corpo1. Per questo la Chiesa nella sua storia ha dimostrato di essere la suprema custode del bene spirituale e materiale dell’uomo, proteggendo la salute del corpo e mostrando all’anima la via della salvezza eterna.

E poiché la Chiesa non è un’associazione privata, ma un’istituzione pubblica, Essa ha svolto pubblicamente questa missione fin dal momento in cui, sotto l’Imperatore Costantino (306-337), è uscita dalle catacombe. Risalgano a quell’epoca i primi esempi di ricoveri per malati, chiamati xenodochi onosocomi, secondo il termine usato da san Girolamo, il quale afferma che santa Fabiola (m. 399) fu la prima a istituire un ospedale a Roma per ospitarvi i poveri e gli ammalati2.

I cosiddetti “canoni arabici” del Concilio di Nicea (325) stabilirono che ogni città dovesse avere un luogo per ospitare pellegrini, infermi e poveri3. Questi luoghi di accoglienza si svilupparono in prossimità delle sedi episcopali e dei monasteri, lungo le strade di grande comunicazione e gli itinerari dei pellegrini. Fra questi ospizi va ricordato quello fondato da san Benedetto da Norcia (480-547), presso Salerno, che diede origine alla Scuola Medica Salernitana, la prima e più importante istituzione medica in Europa4.

A Roma, tra gli ospedali più antichi troviamo l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, le cui origini sembrano risalire all’VIII secolo. quando fu fondata la “schola sassonum”, cioè un albergo e ospedale per accogliere gli Angli e i Sassoni che venivano a visitare le tombe apostoliche. Molti altri luoghi di questo genere sorsero per iniziativa della Chiesa nei secoli successivi. Gli ospedali, all’inizio, più che luoghi di cura erano ambienti di “accoglienza”, dove non era prevista la presenza di medici. A Parigi, ad esempio, all’Hotel-Dieu, il medico veniva una volta la settimana5. La struttura dell’ospedale era quella di una chiesa, al cui centro, o all’estremità era un altare, per permettere a tutti i malati di assistere alla Messa. Appena arrivato il malato doveva confessarsi, e se non lo faceva, secondo molti regolamenti, doveva essere dimesso. Con la bolla Supra gregem Dominicum6 dell’8 marzo 1566, san Pio V (1566-1572) confermò la decretale Cum infirmitas7 di papa Innocenzo III che imponeva ai medici di esortare gli ammalati a ricevere i sacramenti. Per la Chiesa, assistere gli infermi è un’opera di misericordia corporale, tuttavia la vita soprannaturale ha molto più valore della vita naturale, perché il corpo morirà, ma è chiamato a risuscitare nella gloria.

Sono questi i principi religiosi e morali professati dai fondatori dei grandi ordini religiosi ospedalieri, come san Giovanni di Dio (1495-1550) e san Camillo de’ Lellis (1550-1614). E fu alla luce di questi princìpi che la Chiesa affrontò le grandi epidemie della storia.

La prima grande epidemia che si ricordi nella storia cristiana scoppiò a Costantinopoli nel 541 ed è detta di Giustiniano (482-565), dal nome dell’Imperatore di Oriente che allora regnava. «Una pestilenza – scrive lo storico Procopio di Cesarea (490-560) – da cui poco mancò che andasse distrutto l’intero genere umano. (…) Per questa pestilenza non c’è alcuna possibilità di esprimere a parole o anche solo di immaginare col pensiero una qualche spiegazione: resta solo da attribuirla al volere di Dio»8.

La circolazione del morbo non aveva la rapidità di oggi. Solo qualche decennio dopo esso raggiunse l’Occidente. Quando, nell’anno 590, a causa della peste che dilagava, morì a Roma papa Pelagio II, il monaco Gregorio (590-604) fu eletto come successore, non solo per la santità della vita, ma anche per le straordinarie capacità organizzative che aveva dimostrato come praefectus urbis, la più alta carica civile di Roma, da lui ricoperta prima di entrare nel chiostro.

Gregorio organizzò con efficacia l’assistenza ospedaliera, ma guidò anche una grande processione penitenziale del clero e del popolo romano per chiedere a Dio la fine del flagello9. Alla fine di questa processione, sulla sommità del Mausoleo di Adriano apparve un Angelo che riponeva la sua spada in segno di cessata pestilenza. La statua di san Michele Arcangelo che rinfodera la spada, sulla sommità di Castel Sant’Angelo trasmette nei secoli il ricordo di questo evento.

Se l’Angelo rinfoderò la spada, vuol dire che essa era stata prima sguainata per punire i peccati del popolo romano, come lo stesso san Gregorio aveva affermato in un suo sermone, invitando i romani a seguire, contriti e penitenti, l’esempio degli abitanti di Ninive: «Guardatevi intorno: – esclamò – ecco la spada dell’ira di Dio brandita sopra l’intero popolo»10

Per secoli i cristiani hanno pregato il Signore per essere liberati dai mali del corpo. Il santuario di Lourdes, con i suoi miracoli, attesta quanto il Cielo gradisca queste preghiere. Ma chi ammette che Dio possa liberare l’umanità dai mali individuali e collettivi che la affliggono, come può negare che il Signore possa servirsi di questi stessi mali per colpire e purificare l’umanità impenitente? Per questo la Chiesa ha sempre considerato le epidemie come castighi divini, al pari delle guerre, delle carestie e di altre calamità. Perciò nelle Rogazioni si prega: A fame, peste et bello, libera nos Domine: “dalla fame, dalla guerra e dalla peste liberaci Signore”.

Gli storici osservano che molto spesso le pandemie accompagnano i grandi rivolgimenti storici11. L’epidemia di peste del 541 coincise con la disgregazione dell’Impero romano di Occidente. La celebre “Peste Nera” del 1348 segnò a sua volta la fine del Medioevo. Questa pestilenza, secondo i dati più sicuri, uccise tra il 40 e il 60 per cento di tutta la popolazione di Europa, Medio Oriente e Nord Africa12. I dati per la peste giustinianea sono simili. Lo storico statunitense Kyle Harper ha scritto che «se il trauma della pandemia del XIV secolo segnò per molti versi la soglia tra il Medioevo e il mondo moderno, la forza disintegrante della prima pestilenza merita di essere considerata come il momento di passaggio dall’Antichità al Medioevo»13.

 La peste flagellò l’Europa per quattro secoli. Celebre è quella di Milano, detta di san Carlo, dal nome dell’arcivescovo di quella città Carlo Borromeo (1538-1584) 14. Mentre la pestilenza dilagava, il cardinal Borromeo ordinò tre processioni generali, «per placare l’ira di Dio». Egli stesso si pose alla testa del popolo, vestito della cappa paonazza, con un cappuccio, a piedi nudi, la corda di penitente al collo e una grande croce in mano. San Carlo suggerì inoltre ai magistrati di Milano di ricostruire il santuario dedicato a san Sebastiano e di celebrare una festa solenne in suo onore. Nel luglio del 1577 la peste cessò e fu posta la prima pietra del tempio, dove il 20 gennaio di ogni anno ancora oggi si officia una messa per ricordare la fine del flagello.

Alessandro Manzoni, nei Promessi Sposi, ha reso celebre un’altra peste che flagellò Milano, quella del 1630, durante la Guerra dei Trent’Anni. Un altro Borromeo arcivescovo di Milano, il cardinal Federico (1564-1631), brillò, come lo zio, per la sua carità verso gli appestati.

In quello stesso anno, la peste bubbonica scoppiò in Baviera. Gli abitanti della cittadina di Oberammergau, promisero che se Dio avesse liberato la popolazione dal flagello, il consiglio comunale avrebbe allestito ogni dieci anni una rappresentazione della Passione. La peste risparmiò Oberammergau e la sacra rappresentazione è divenuta un evento internazionale che si ripete regolarmente, con gli abitanti del paese come attori.

Nella primavera del 1629 l’epidemia giunse anche a Venezia, mietendo migliaia di vittime. Il Doge Niccolò Contarini (1553-1631) e il Senato chiesero alla Vergine Maria di risparmiare la città, facendo voto di costruire una grande chiesa in suo onore e di organizzare ogni anno, in perpetuo, una processione a questo tempio. La pestilenza cessò e l’architetto Baldassarre Longhena (1598-1682) realizzò la monumentale chiesa di Santa Maria della Salute, che ancora oggi si ammira all’entrata del Canal Grande. Da allora, ogni 21 novembre, giorno della fine della pestilenza, si tiene una grande processione da San Marco al tempio votivo.

Così l’Europa cristiana reagiva davanti alle epidemie.

Un altro importante momento della storia fu quello che lo storico Paul Hazard ha definito, la “crisi della coscienza europea”, tra il 1685 e il 171515. Vivevano allora nella città di Marsiglia due anime sante: il vescovo, mons. Henri Francois-Xavier de Belsunce (1670-1755) e una monaca visitandina, Anne-Madeleine Remusat (1796-1730), erede spirituale di santa Margherita Maria Alacoque. Entrambi propagavano la devozione al Sacro Cuore, oltraggiata dai giansenisti.

Il 25 maggio 1720, una nave proveniente dall’Oriente attraccò a Marsiglia, e diffuse nella città il morbo della peste. Il bilancio delle vittime fu enorme. Il selciato era coperto di malati e di moribondi, stesi su materassi e abbandonati senza aiuti. Tutti fuggivano, persino i medici. Mons. de Belsunce rimase al suo posto e, nel giugno 1721, consacrò la città al Sacro Cuore di Gesù, guidando una processione pubblica dalla Basilica di Notre Dame de la Garde alla chiesa di Accoules. Subito dopo la consacrazione, la peste iniziò a diminuire. A settembre, la città era libera dal morbo.

La peste si allontanava, ma nell’epoca dell’illuminismo e della Rivoluzione francese, una nuova epidemia si affacciò in Europa: quella del vaiolo. Nel secolo diciottesimo il vaiolo fu la prima causa di morte in Europa, con sessanta milioni di vittime. I sopravvissuti erano marchiati da cicatrici indelebili che ne deturpavano il viso e il corpo.

Nel 1774 la malattia colpì il re di Francia, Luigi XV (1715- 1774), che aveva fatto della sua corte un ricettacolo di immoralità e di incredulità. Il 10 maggio, prima che il Re si spegnesse, con il corpo in disfacimento, l’arcivescovo di Parigi Christophe de Beaumont (1703-1781) si fermò sulla soglia della camera, pronunciando davanti alla Corte riunita queste parole: “Signori il Re mi incarica di dirvi che chiede perdono a Dio di averlo offeso e dato scandalo alla sua Corte 16.

Il suo successore Luigi XVI (1774-1793) e tutta la famiglia reale chiesero di essere sottoposti alla vaccinazione contro il vaiolo, che avvenne il 24 giugno 1774, in forma ancora rudimentale attraverso l’inoculazione del pus di un infetto. Fu una coraggiosa assunzione di seri rischi, che fa riflettere in un’epoca come la nostra in cui, per vaccinarsi si esige il rischio zero. Bisogna tener conto, oltretutto, che la scoperta del vaccino contro il vaiolo avvenne solo nel 1798, ad opera di Edward Jenner (1749-1823), che utilizzò, con minor rischi e maggiore efficacia, il vaiolo bovino invece dell’innesto del pus umano17.

In Italia, tra i primi seguaci di Jenner fu il conte Monaldo Leopardi (1776-1847), padre del più celebre poeta Giacomo (1798-1837). Il conte Monaldo viene accusato spesso di idee retrograde e reazionarie, ma egli seguiva con attenzione il progresso scientifico del tempo e quando una nuova epidemia di vaiolo colpì lo Stato pontificio tra il 1801 e il 1802, fece vaccinare tutta la sua famiglia e la popolazione di Recanati, di cui era Governatore18. Grazie anche all’influenza del conte Leopardi, nel 1822, il papa Pio VII (1800-1823) volle attuare nello Stato pontificio una massiccia campagna vaccinale, con un decreto del cardinale Consalvi che definiva il metodo di Jenner come un mezzo donato all’umanità dalla Divina Provvidenza.19

In quegli stessi anni comparve in Europa un nuovo morbo, il colera, detto colera indiano o asiatico perché il suo focolaio era la valle del Gange. La prima grande pandemia scoppiò nel 1817 e, dall’India, raggiunse le foci del Volga. La seconda ondata tra il 1828 e il 1830, si propagò nel cuore dell’Europa. Dalla Francia passò in Italia colpendo Genova, Torino e poi Roma. Papa Gregorio XVI (1831-1846) organizzò un severo cordone sanitario, con degli sbarramenti controllati da militari, che impedivano rigorosamente di oltrepassare i confini dello Stato pontificio. Una commissione da lui costituita impose la quarantena di almeno quattordici giorni, i “passaporti sanitari” per poter circolare e la sospensione di tutte le feste religiose e di ogni tipo di assembramento. Le violazioni di queste disposizioni prevedevano fino alla pena di morte20. A queste disposizioni sanitarie si accompagnavano le preghiere. Il 6 agosto fu fatta una solenne processione dell’immagine della Madonna di San Luca, dalla basilica di Santa Maria Maggiore alla chiesa del Gesù. Il colera finalmente si allontanò da Roma.

Ciò che accadde a Roma non accadde però nelle grandi capitali europee. Il visconte de Chateaubriand (1768-1848), che nel 1832 si trova a Parigi, scrive nelle sue Memorie: “Se questo flagello fosse sopraggiunto in mezzo a noi in un secolo religioso (…) avrebbe lasciato un quadro impressionante. Immaginatevi un drappo funebre che sventola a guida di bandiera in cima alle torri di Notre Dame (….) le chiese piene di una folla gemebonda, (…) i monaci col crocifisso in mano, che agli incroci chiamano il popolo alla penitenza, predicano la collera e il giudizio di Dio, divenuti visibili sui cadaveri già anneriti dal fuoco dell’inferno”. Non fu così. “Il colera ci è capitato in un secolo di filantropia, di incredulità, di giornali, di amministrazione terrena 21.

L’Europa, dopo la Rivoluzione francese, era divenuta incredula e le malattie infettive venivano avvolte da un’aureola romantica. Fu questo il caso della tubercolosi, abbellita da tanti artisti nell’Ottocento. Quando fu provato che la malattia era contagiosa, i malati furono costretti ad entrare nei sanatori che divennero prigioni dorate dove il cinquanta per cento di essi moriva. La tubercolosi non era causata da un virus, ma da un batterio, come dimostrò nel 1882 il microbiologo tedesco Robert Koch. Nel 1894, il medico franco-svizzero Alexandre Yersin (1863-1943) riuscì ad isolare l’agente patogeno della peste, dimostrando che anch’esso non è un virus, ma un batterio il cui nome, oggi, Yersinia pestis, deriva da quello del suo scopritore,

Il Novecento fu aperto dalla “Spagnola”, una devastante epidemia che, tra il 1918 e il 1920, fece più vittime della Prima guerra mondiale22, ma che fu cancellata dalla memoria da una vera e propria “congiura del silenzio”23. Eppure il capo di Stato maggiore tedesco Erich Ludendorff (1865-1937) accusò questa epidemiadi aver fatto fallire la sua grande offensiva militare del 1918. Tra le vittime della “Spagnola” furono anche due dei tre pastorelli di Fatima, san Francesco e santa Giacinta Marto. Francesco si ammalò nel dicembre 1918 e morì il 4 aprile 1919. Giacinta entrò in ospedale poco dopo e salì al Cielo il 20 febbraio 1920.

In Italia i prefetti e i sindaci imposero la chiusura delle chiese e perfino il silenzio delle campane che ogni giorno con il loro rintocco funebre ricordavano la realtà della morte24. La Chiesa accettò queste misure restrittive e gli appelli alla penitenza e alla preghiera pubblica divennero sempre più rari.

Questa perdita di spirito soprannaturale della società occidentale si è avvertita in modo evidente di fronte alla diffusione dell’AIDS, o HIV (Human immunodeficiency virus), come fu definito a partire del 1985. Il contagio di questa malattia avviene soprattutto negli ambienti omosessuali. Ma se, nel XVI secolo, il morbo della sifilide, fu ritenuto da tutti un giusto castigo per i peccati degli uomini25, cinque secoli dopo, i mass media esecravano chi, come il cardinale Giuseppe Siri (1906-1989) osava definire l’AIDS un “castigo di Dio”26.

All’AIDS sono seguiti nel XXI secolo l’Ebola, la SARS, il COVID-19, che ha fin qui provocato cinque milioni di morti nel mondo. L’impatto sociale del COVID sembra ancora più profondo della Spagnola, perché ha portato alla luce la fragilità del sistema sanitario mondiale e soprattutto l’instabilità e la vulnerabilità psicologica dell’uomo occidentale, incapace di affrontare con coraggio la sofferenza e la morte.

Eppure, le epidemie incombono ancora sull’umanità. Il batterio della peste “è là fuori, in agguato27, scrive lo storico Kyle Harper. Gli scienziati risuscitano inoltre virus pandemici, come è accaduto tra il 1996 e il 1998, quando, per conto dei National Institutes of Health degli Stati Uniti, un team di ricercatori ha disseppellito nell’isola Spitzbergen in Norvegia alcuni cadaveri congelati da ottant’anni, per riportare in vita il virus della Spagnola28, oppure producono nuovi agenti patogeni, attraverso tecniche di laboratorio come la Gain of Function, come quasi certamente è avvenuto nell’Istituto di Virologia di Wuhan con il SARS-CoV- 229.

Nessuna voce si leva per chiedere di bandire la Gain of Function, una branca della ricerca che crea in laboratorio le mutazioni più aggressive dei virus, con il pretesto di prevenire eventuali pandemie, così come nessuna voce chiede di bandire gli esperimenti di ingegneria genetica sui feti e sugli embrioni. Per questo è prezioso il contributo di uomini di Chiesa come il cardinal Eijck, capaci di unire una solida dottrina morale a un’accurata competenza scientifica.

La Chiesa ha sempre incoraggiato lo sforzo dell’uomo a dominare le forze della natura e a utilizzarle a proprio beneficio. Perciò Essa ha accolto tutti i progressi della scienza medica, a cominciare dalla vaccinazione. Nelle mani del medico, afferma Pio XII “le proprietà dei veleni più virulenti servono a preparare rimedi efficacie30 e “vasti laboratori, dotati di attrezzature moderne, producono in abbondanza vaccini e sieri che forniscono all’organismo i mezzi per lottare efficacemente contro l’infezione31.

Il progresso scientifico però non è sufficiente, perché l’uomo è un composto di anima e di corpo e nel rapporto di mutua dipendenza che le unisce, il primato spetta all’anima spirituale, che determina e governa l’unità psicosomatica dell’essere umano.

A causa del peccato originale, la legge dell’umanità è la legge deldolore e della morte. Però, come insegna ancora Pio XII: “Il dolore e la morte sono divenuti per ogni uomo, che non respinge Cristo, mezzi di redenzione e di santificazione. Così il cammino del genere umano, che si svolge in tutta la sua lunghezza sotto il segno della Croce mentre matura e purifica l’anima quaggiù, la conduce alla felicità senza limiti di una vita che non ha fine32.

Dobbiamo dirlo. La risposta spirituale della Chiesa alla pandemia di COVID-19 appare inadeguata. E non mi riferisco solo alle responsabilità degli uomini di Chiesa, ma anche a quelle dei semplici fedeli, privi di quello spirito soprannaturale che aiuta il cristiano a vincere la paura. Questo spirito soprannaturale va cercato innanzitutto nell’esempio di tanti santi che durante le pandemie dimostrarono il loro profondo amore al prossimo e a Dio, offrendo la loro vita, da san Luigi Gonzaga (1568-1591) a san Damianode Veuster (1840-1889), l’apostolo dei lebbrosi nell’isola di Molokai.

E proprio dal morbo della lebbra, voglio trarre l’ultimo flash della mia conversazione.

La lebbra o morbo di Hansen, presente in tante pagine del Vangelo, è una delle malattie più antiche della storia umana. La malattia ricopriva il corpo di piaghe, alterava il volto e irrigidiva gli arti, facendoli poi cadere pezzo a pezzo. I lebbrosi erano segregati dal resto della società, in appositi lazzaretti, come i malati di peste.

Durante le Crociate, per assistere i lebbrosi, venero creati gli Ordini Ospedalieri, che poi divennero militari. Il primo, nel 1099, fu l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, poi divenuto di Malta. Nello stesso anno fu creato l’Ordine di San Lazzaro che accolse quei soldati che, seppur malati, avevano ancora la forza di combattere. Nessuno immaginava che cento anni dopo sarebbe salito sul trono di Gerusalemme un Re lebbroso, Baldovino IV (1161-1185).

La sua storia ci è narrata da un testimone diretto, il suo precettore e futuro arcivescovo Guglielmo di Tiro (1130-1186)33. Fu Guglielmo ad accorgersi dei primi sintomi della malattia che aveva colpito il giovane, osservandolo giocare con altri ragazzi. Nel gioco i giovani si ferivano le braccia e le mani ma Baldovino sembrava insensibile alle ferite. E’ ancora un mistero come questo ragazzo di tredici anni, colpito dal terribile morbo, potesse essere eletto Re di Gerusalemme. Ciò avvenne il 15 luglio 1174.

La malattia progredì, ma Baldovino, non rinunziò a governare e soprattutto non rinunziò a combattere. Guidava personalmente le proprie truppe e veniva issato a cavallo finché le sue condizioni di salute glielo consentirono, poi si faceva trasportare sui luoghi di combattimento su una lettiga.

La battaglia più straordinaria si svolse vicino al castello di Montgisard il 25 novembre del 1177. Baldovino IV aveva lasciato Gerusalemme, per accorrere in difesa della città di Ascalona, assediata dai musulmani. Quando i Crociati giunsero sulle colline che aprivano la strada alla città, apparve ai loro occhi un enorme esercito di 30.000 uomini guidati dal Saladino in persona. Baldovino disponeva di soli 500 cavalieri e poche migliaia di unità di fanteria, ma non abbandonò il campo. La sua reazione è rimasta immortalata in un celebre dipinto del pittore ottocentesco Charles-Philippe Larivière (1798-1876): “La Battaglia di Ascalona”. Il giovane sovrano, piagato dalla lebbra, adorò la reliquia della Vera Croce, portata dal vescovo di Betlemme, poi ordinò l’attacco contro le soverchianti forze del nemico.

I Crociati caricarono con un tale impeto, che l’esercito del sultano rimase disorientato e si disperse nell’immensa pianura. Nella carica dei Crociati, in prima fila, accanto ai Templari, cavalcavano i cavalieri dell’Ordine di San Lazzaro, che con il volto sfigurato dalla lebbra, combattevano senza la protezione dell’elmo, per incutere terrore al nemico. Ma i testimoni raccontano che al fianco dei Crociati combattevano quel giorno anche san Giorgio e un angelo sterminatore dei nemici, mentre la luce della Vera Croce illuminava il campo di battaglia34.

Per combattere una guerra che non è in questo momento militare, ma culturale e morale, le nostre anime piagate hanno bisogno di un soccorso soprannaturale. Questo soccorso divino giungerà solo quando affronteremo i mali esterni e interni che ci affliggono con lo spirito militante che fu di Baldovino, il re Lebbroso.

E’ anche con questo spirito che la Chiesa ha affrontato le epidemie nella sua storia.

1 Cfr. ad esempio Il corpo umano, in Insegnamenti pontifici a cura dei Monaci di Solesmes, tr. it. Paoline, Roma 1959.

2Prima omnium nosókomion instituit”. Cfr. S. Girolamo. Epistula. 77, 6, in Saint Jérôme. Lettres, a cura di J. Labourt, Les Belles Lettres, Paris 1954, vol. IV, p. 45. Cfr. anche Marilena Amerise, L’attività assistenziale di Fabiola. L’epistola 77 di Girolamo, in “Giornale di storia della medicina”, vol. 24, n. 2 (2012), pp. 307-319.

3 Cosimo D. Fonseca, Forme assistenziali e strutture caritative della Chiesa nel medioevo, in Storia religiosa della Lombardia, 1, Varese 1986, p.275. Cfr. anche Tiffany A. Ziegler, Medieval Healthcare and the Rise of Charitable Institutions: The History of the Municipal Hospital , Palgrave, London 2018.

4 Adalberto Pazzini, I santi nella storia della medicina, Casa Editrice “Mediterranea”, Roma 1937, pp. 441 e sgg

5 Luigi Mezzadri, Luigi Nuovo, Storia della Carità, Jaca Book, Milano 1999, p. 47.

6 Bullarium Romanum, vol. VII, pp. 430-431.

7 Concilio Laterano IV, Costituzione XXII.

8 Procopio di Cesarea, Guerra Gotica, II, 22, 1-2.

9 Gregorio di Tours, Historiae Francorum, liber X, 1, in Opera omnia, a cura di J.P. Migne, Parigi 1849, col. 528.

10 https://www.corrispondenzaromana.it/san-gregorio-magno-e-il-coronavirus-del-suo-tempo/

11 Cfr. Gastone Breccia, Andrea Frediani, Epidemie e guerre che hanno cambiato il corso della storia, Newton Compton, Roma 2020.

12 Ole J. Benedictow, The Black Death 1346-1353: The Complete History, The Boydell Press, Woodbridge 2004, p. 383.

13 Kyle Harper, Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero, Einaudi, Torino 2019, p. 256

14 https://www.robertodemattei.it/2020/03/17/come-san-carlo-borromeo-affronto-lepidemia-del-suo-tempo/

15 Paul Hazard, La crise de la conscience européenne (1680-1715), Paris 1935, 2 voll.

16 Pierre Darmont, La variole, les nobles et les princes, Editions Complexe, Paris 1990.

17 Cfr. William L. Langer, L’immunizzazione contro il vaiolo prima di Jenner, in Le Scienze, n. 97, 1976, pp. 62-70; Barouk M. Assael, Il favoloso innesto. Storia sociale della vaccinazione, Laterza, Roma-Bari 1995. 

18 Valentina Sordoni, «L’immortale britanno». Monaldo Leopardi e il vaccino contro il vaiolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1921. 

19 Editto del cardinale Ercole Consalvi del 20 giugno 1822 in Effemeridi letterarie di Roma, Tomo VIII, Roma, 1822, p. 103. Cfr. anche Dante Cecchi, L’introduzione della vaccinazione nello Stato Pontificio (1814-1822), “Rivista di storia del diritto contemporaneo”, anno 2 (1977), n. 3, pp. 197-206; Yves M. Bercé e J.C. Otteni, Pratique de la vaccination antivariolique dans les Provinces de l’Etat pontifical au 19e siecle. Remarques sur le supposé interdit vaccinal de Léon XII, “Revue d’histoire ecclésiastique”, 103.2 (aprile-giugno 2008), pp. 448-466.

20 Cfr. Marcello Teodonio, Francesco Negro, Colera, omeopatia ed altre storie, Roma 1837, Fratelli Palombi, Roma 1988; Francesco Leoni, Le epidemie di colera nell’ultimo decennio dello Stato pontificio, Apes, Roma 1993. 

21 François-René Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, Libro XXXIV, Capitolo XIV, tr. it., Einaudi-Gallimard, Torino 1995, pp. 450-451.

22 Laura Spinney, 1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo Marsilio, Venezia 1918, p. 187.

23 Eugenia Tognotti, La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-1919), Franco Angeli, Milano 2015, pp. 25-27.

24 Ivi, pp.162-163.

25 Ludwig von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, Desclée & C., Roma 1926-1963, vol. III, p. 8.

26 Agenzia Ansa, 23 marzo 1987. Sui castighi divini, cfr. Roberto de Mattei, Punishment or Mercy? The divine hand in the age of the coronavirus, Calx Mariae Publishing, London 2021.

27 Harper, Il destino di Roma, p. 263.

28 Paul Bernard, con Steve Quay e Angus Dalgleish, L’origine del virus, Chiarelettere, Milano 2021, pp. 21-26.

29 Roberto de Mattei, Le origini misteriose del coronavirus, Fiducia, Roma 2021.

30 Pio XII, Discorso ai Medici cattolici del 29 settembre 1949.

31 Pio XII Discorso ai partecipanti del VI Congresso di Microbiologia del 13 settembre 1953.

32 Pio XII, Discorso all’Unione Italiana Medico-Biologica del 12 novembre 1944.

33 Guillelmus Tyrensis (1130-1186), Chronique. Edition critique par R.B.C. Huygens, Brepols, Turnholt 1986, pp. 958-1059. Cfr. anche Bernard Hamilton, The Leper King and his Heirs: Baldwin IV and the Crusader Kingdom of Jerusalem, Cambridge University Press, 2006.

34 Miriam Rita Tessera, Una grande luce apparve dall’Oriente”: la visione provvidenziale della battaglia di Montgisard nelle cronache del XII-XIII secolo, in Mediterraneo medievale. Cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oltremare (secoli IX-XIII), a cura di Marco Meschini, Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 87-102.

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