Il sangue dei martiri scorre ancora abbondante

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(Mauro Faverzani) Tertulliano nell’Apologeticus fu chiaro: «Plures efficimur, quotiens metimur a vobis: semen est sanguis Christianorum», «sorgiamo più numerosi quanto più veniamo da voi falciati: il sangue dei Cristiani è il seme» della Chiesa. E ciò non solo nel II secolo d.C., ma anche oggi.

In Pakistan, ad esempio, dove, benché pochi ne parlino, la conversione forzata all’islam resta una delle più gravi ferite aperte, come denunciano i sacerdoti facenti parte della Commissione nazionale giustizia e pace dei Vescovi. Secondo il Claas-Centro di Assistenza Legale e Integrazione del Regno Unito si sarebbero registrati già oltre 25 matrimoni obbligati nell’anno in corso, tenendo conto che i casi noti rappresentano solo la punta dell’iceberg. Per lo più le vittime prescelte sono ragazze cristiane del Punjab, o comunque espressione delle minoranze religiose, rapite, poi costrette prima a diventare musulmane a forza, poi a sposare gli uomini loro assegnati.

Come nel caso – l’ultimo di cui si abbia avuto notizia, in ordine di tempo – di Simran Masih, 15 anni, sequestrata mentre in un negozio stava facendo compere per i suoi fratelli, uno dei quali colpito da polio sin dalla nascita e bisognoso di cure. I rapitori, tutti armati, hanno approfittato dell’assenza dei genitori, che stavano partecipando ad un funerale nella città di Faisalabad. Anche la cugina di Simran, di soli 14 anni, risulta scomparsa dallo scorso 11 agosto. Le indagini sono ancora in corso. Ma senza grosse speranze.

Secondo Nasir Saeed, direttore del Claas inglese, «è frustrante che il governo e le forze dell’ordine, chi è al potere insomma, siano consapevoli di questa situazione, ma chiudano un occhio». Ed anche più di un occhio: il mese scorso il ministero per gli Affari Religiosi si è opposto ad una restrizione sulla conversione religiosa prima dei diciott’anni. In ogni caso si dovrebbe seguire un preciso protocollo, tra cui la compilazione di un modulo con tutti i dati anagrafici ed il motivo della conversione, due colloqui col giudice, uno perlustrativo ed il secondo, entro tre mesi, per offrire al richiedente la possibilità, previo uno studio comparativo delle religioni, di confermare o meno la sua scelta. Sono tutti punti previsti dalla normativa, ma sistematicamente ignorati, trascurati, sorvolati.

Sempre il mese scorso la Corte Suprema pakistana ha respinto il ricorso di mons. Azad Marshall, vescovo di Raiwind, che invocava una petizione costituzionale per proteggere le minorenni cristiane dalla conversione forzata all’islam e dal matrimonio con uomini musulmani. «Non vediamo alcuna azione da parte del governo, nessuno dei colpevoli è stato arrestato», ha dichiarato il prelato, come riportato dall’agenzia spagnola InfoCatólica.

Anche l’Uganda è purtroppo terra di martirio da molto tempo. Persino nelle mura domestiche. Com’è accaduto ad un 20enne del villaggio di Bupalama, Tabiruka Tefiiro, convertitosi dall’islam al Cristianesimo due anni fa e per questo torturato con un coltello ed una zappa e poi impiccato da suo padre musulmano, Kasimu Kawona, che ora verrà processato peraltro solo con l’accusa di “omicidio colposo”, secondo quanto riferito da Morning Star News.

Al padre, che, nel corso di una riunione di famiglia, ha chiesto conto della conversione al figlio, questi, secondo quanto riportato dall’agenzia InfoCatólica, ha risposto: «Desidero confermare di esser salvato dalla grazia di Dio. Non posso rinunciare alla mia fede cristiana, né ora, né in futuro». Sono state queste le sue ultime parole, prima di essere ammazzato dal genitore.

A fronte di tutto questo pare bizzarra la decisione della Chiesa, pronta a mettere tra parentesi la propria missione, specie se per fini commerciali, laddove possa invece proclamarla liberamente: è accaduto in Costa d’Avorio, dove una grande mobilitazione di fedeli ha contestato la decisione assunta dalla Diocesi di Abidjan di chiudere, dopo 65 anni di onorato servizio, la prestigiosa scuola cattolica di Saint-Paul du Plateau, da cui sono usciti anche alcuni tra i dirigenti di spicco del Paese. L’area dovrebbe ben presto trasformarsi in un immenso cantiere con finalità commerciali.

Nonostante i sit-in e le proteste, il card. Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, è stato irremovibile. Al posto del quotato istituto dovrebbe sorgere presto un moderno complesso immobiliare con uffici, negozi, alloggi, il Cam-Centro di accoglienza missionaria, un ristorante ed un hotel nell’ambito di un progetto paradossalmente chiamato «Padre Nostro». In piedi resterà solo il locale Santuario, null’altro.

La scuola dovrebbe, invece, trovare una nuova sede a Faya. Gli alunni presenti e futuri avranno priorità per l’iscrizione ad altri istituti della zona, come quello delle Suore di “Notre-Dame du Plateau”, benché meno prestigiosi. La decisione è presa, ma i cattolici della zona non intendono arrendersi. Un esempio da seguire. 

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