L’equidistanza tra Est e Ovest è la trappola in cui l’Urss e poi la Russia di Putin hanno cercato di attirare la Germania (all’epoca la Repubblica Federale Tedesca) sin dagli anni Cinquanta del XX secolo. I tentativi spaziano dalla reiterata offerta di Stalin del 1952 di garantire la neutralità tedesca in cambio dell’unificazione, alla strategia di lungo periodo di Breznev di strumentalizzare la dipendenza energetica tedesca per legare Berlino agli interessi russi, fino allo sfruttamento psicologico, con la Guerra ibrida, delle paure tedesche su questioni come la difesa missilistica, l’immigrazione e, più recentemente, la questione ucraina. In tutti questi casi, l’obiettivo di Mosca è stato ed è quello di promuovere una qualche azione di distanziamento della Germania dall’Occidente.
Ma il concetto di Westbindung (“legame con l’Occidente”),legato alla Westintegration (l’integrazione tra le nazioni democratiche europee), che fu elaborato da Konrad Adenauer per integrare la Germania Ovest nel blocco occidentale, è ancora oggi l’unico modo per la Germania di riappacificarsi con la propria storia e con i concetti di potere e potenza. Esso si può intendere come una «scelta di collocazione strategica», per rispondere a tutti quei problemi che derivavano dalla condizione speciale della Germania di Paese sconfitto nel 1945, occupato e diviso, a sovranità limitata, collocato lungo la linea di separazione tra Oriente e Occidente.
Molti hanno creduto che, dopo la riunificazione tedesca, la Westbindung avrebbe avuto meno rilevanza, giacché l’equilibrio della Guerra Fredda volgeva al termine e il mondo sarebbe divenuto «più occidentale», libero a tutte le latitudini, secondo l’idea troppo ottimistica di Fukuyama. Ma non è stato così. Prima dell’invasione dell’Ucraina, la NATO è stata ritenuta addirittura obsoleta, definita «cerebralmente morta» dal Presidente francese Macron, ma l’alleanza contribuisce a ricordare che non ci sono solo mercati, clienti e flussi economici, ma anche guerre di sterminio di massa, terrorismo, violazioni dei diritti umani, trasformazioni tecnologiche e conflitti per l’energia.
La Westbindung ci fornisce un insegnamento che non è affatto morto: la Germania può imporre un modello di disciplina collettiva, ma esso non ha nulla a che vedere col paternalismo a trazione totalitaria della Cina. La Germania fa affari, tesse rapporti commerciali, sigla intese economiche e continuerà a farlo, ma non mette a repentaglio il proprio principio di sicurezza, che non significa solo sicurezza militare ma prima di tutto sicurezza del proprio modello culturale e antropologico. Per questo la politica estera e quella di difesa della Germania dovranno confermare: in primis, il rifiuto permanente della politica energetica della Russia, che pure non è mai stata elevata a rango di partner strategico; in secundis, il rifiuto della visione imperiale e distopica della Cina, a partire dalla sistematica violazione dei diritti umani condotta dal Partito Comunista.
L’invasione dell’Ucraina, con tutto il suo carico di conseguenze, ha aperto gli occhi di colpo alla classe dirigente tedesca. Il Cancelliere Scholz si pone oggi alcuni obiettivi di lunga durata: riarmare la Germania (non l’esercito europeo), garantire l’ordine pubblico interno, ristrutturare il sistema economico eliminando i fallimenti del mercato, limitare la penetrazione cinese nei settori strategici delle infrastrutture critiche, proteggere i centri nevralgici delle connessioni logistiche che servono a svolgere un ruolo strategico anche nel «Mediterraneo allargato», da Amburgo al “centro di ascolto” cinese a Gibuti. passando per Trieste e il «Corridoio adriatico», da Tangeri ai Balcani, attraverso l’East Med, dove nel quadrante si intersecano dossier riguardanti i flussi energetici e migratori, la questione turca, quella egiziana e i diritti sovrani di Cipro e Grecia sulle proprie Zee, la forza economico-finanziaria della criminalità organizzata transnazionale e il terrorismo.
Per i tedeschi, la ricerca di uno spazio vitale (Lebensraum) e di un sistema mondiale incentrato su concetti come disciplina e stabilità non sono da intendere come mera conquista di sfere di influenza mercantili, ma come qualcosa di più ancestrale. La terra delle antiche tribù germaniche che provenivano dal Nord è priva di confini naturali, ad eccezione delle Alpi. I pericoli, sin dalle epoche remote, provenivano da Ovest ma soprattutto da Est, e questa è diventata una sorta di ossessione che si è tradotta storicamente in una colonizzazione di tipo bellico, economico, anche demografico. In fin dei conti, nella storia tedesca non esiste neppure il concetto di confine, se non a livello normativo.
Nella sua antica proiezione di potenza, che in era moderna fu delineata politicamente da Bismark e da Guglielmo II, la frontiera è un’incessante ricerca di quel “principio di sicurezza”, fatto di regole, rigore, certezza, efficienza, che il geopolitico Karl Haushofer tentò di innestare nella prospettiva tutta tedesca di controllare la terra per essere inattaccabili dal mare. Il confine per i tedeschi non è solo uno spazio vitale in termini espansionistici o imperiali, ma è in primo luogo un concetto culturale e spirituale.
La grandezza ed il limite dello Stato tedesco è di trovarsi al centro del continente: una posizione geografica che incarna il rischio di una perenne guerra su più fronti. Oggi l’idea di una visione militare strategica soltanto franco-tedesca, o europea, è illusoria: gli europei non sono in grado di sostituire il ruolo indispensabile degli Stati Uniti quale attore che fornisce sicurezza, difesa, informazioni. Anzi, come hanno sottolineato le persone più influenti vicine alla Merkel dell’ultimo mandato, secondo la stessa Cancelliera c’era un bisogno strategico di cooperazione transatlantica, su tutti i dossier internazionali, da quelli economici a quelli che afferiscono la sicurezza globale.
La gestione della politica energetica tedesca e il rapporto d’affari di Berlino con le compagnie russe restano comunque un vulnus agli occhi della comunità internazionale. In un mondo caratterizzato dalla competizione per le risorse a tutti i livelli, l’Europa potrà resistere e difendere i propri interessi (anche i cosiddetti “interessi nazionali”) solo rimanendo unita, epperò registrando nuovi poteri e nuove capacità, di Stati come Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, le Repubbliche Baltiche, e la nuova grande Ucraina che verrà. Ma, sincronicamente, l’America dovrà mantenere l’Europa sotto il proprio ombrello nucleare «sia per scoraggiare» – come scrisse Vittorfranco Pisano, già consulente della Sottocommissione Sicurezza e Terrorismo del Senato americano – «aggressioni su grande scala, sia per respingerle contemporaneamente in due teatri di operazioni situati all’estero» rispetto a «rischi non convenzionali quali l’utilizzo delle armi di distruzione di massa (cioè, nucleari, biologiche e chimiche), la guerra informatica e il terrorismo».
La Germania, dal canto suo, confermerà la sua presenza all’interno del programma di condivisione nucleare della NATO e assegnerà maggiori risorse di bilancio e militari imprescindibili per rimanere un partner affidabile, in un’epoca in cui i principali teatri di conflitto sono e saranno, per l’appunto, la Guerra ibrida, informativa, chimica, biologica, radiologica, ma anche quella nucleare, con un’accentuazione delle dispute marittime per il controllo delle risorse marine (la marittimizzazione dei conflitti). Berlino ha bisogno di sicurezza, che solo la NATO può darle, per difendere la Westbindung di Adenauer e tutto quello che di più profondo rappresenta.