Il Duomo di Vigevano sfregiato dalla furia anti-liturgica

CR1761-Foto-03
Print Friendly, PDF & Email

Tutto il mondo ha assistito alla poderosa macchina sacrale del rito funerario della Regina Elisabetta II, durato ben 12 giorni e conclusosi alla presenza di 2 milioni di sudditi e persone venute da ogni dove per accomiatarsi dalla Regina, che è stata consegnata dagli officianti anglicani, rigorosamente a lutto (a differenza della moderna Chiesa di Roma nelle liturgie esequiali) in forma solenne e maestosa al riposo eterno, offrendo in tal modo e platealmente l’identità tradizionale di stampo monarchico della Gran Bretagna con i suoi riti, i suoi simboli, i suoi vessilli ed inni.  

Invece, quattro giorni prima della morte della Regina, il 4 settembre, in una piazza San Pietro desolatamente scarna, si canonizzava con poco clamore un Pontefice di Santa Madre Chiesa, Giovanni Paolo I. Ebbene sì, le alte gerarchie della Chiesa, che combattono da decenni il rito centrale dell’identità cattolica, la Santa Messa originale sostituendola con un surrogato, un remake che non sta più comunicando la dottrina originale dei Vangeli con annesso orgoglio identitario della professione di Fede, proseguono nel “suicidio assistito” di questa Chiesa umana sempre meno credibile, brancolante, piena confusione e dai seminari vuoti. 

Nonostante tutto il degrado teologico, liturgico e pastorale, l’ostinazione è pervicace e nessuna autocritica, nessun emendamento, nessun perdono viene chiesto a Dio e ai fedeli per aver ceduto ai venti del mondo… Anzi, molti vescovi si gongolano sui media per emanciparsi ulteriormente, lasciando le povere anime ed il proprio clero allo sbando: ogni tanto qualche prete, gravato dagli impegni socio-pastorali, amministrativi, burocratici e dal disagio esistenziale, comunica al proprio vescovo la volontà di divorziare dalla Chiesa, oppure chiede un anno sabbatico di riflessione, preludio dell’abbandono della talare che non porta.

 Talvolta, però, ci sono delle reazioni. È accaduto, quindi, che molti fedeli, assetati di certezze eterne e di bellezza divina, sono insorti contro il nuovo presbiterio che il Vescovo di Vigevano, Maurizio Gervasoni, aveva commissionato nel 2019 ad Emiliano Viscardi, scenografo dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, pubblicamente presentato il 17 settembre scorso in tutta la sua orrenda mostra di sé nel Duomo di Sant’Ambrogio a Vigevano. Il «Corriere della Sera» ha scritto, nello stesso giorno, che il Vescovo «ha scelto Viscardi per lasciare ai posteri, con queste opere, una traccia del suo passaggio ai vertici della Diocesi» e il portavoce diocesano, don Emilio Pastormerlo ha dichiarato alla stessa testata: «La nuova cattedra episcopale, al centro dell’abside permette di adeguarsi ai dettami del Concilio Vaticano II. Sessant’anni dopo finalmente anche nel Duomo di Vigevano essa si trova al centro, in asse con la pianta dell’edificio. Prima era alla destra dei fedeli, e prima ancora a sinistra». In realtà, la nuova cattedra episcopale nel nuovo presbiterio è degno della scenografia di un film di fantascienza degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Ma dobbiamo ammettere, comunque, che tale allestimento aderisce alla liturgia facsimile e contraffatta del marchio originale, la Santa Messa tradizionale.

Ci si è permessi, quindi, a dispetto delle più elementari e logiche direttive della sacrosanta conservazione delle Belle Arti, di smantellare, con vera e propria furia antiliturgica e antiartistica, il precedente presbiterio della Cattedrale, consacrata il 24 aprile 1612. Il 26 novembre prossimo sarà nientemeno che il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, con la partecipazione del cardinale Oscar Cantoni e degli altri vescovi lombardi a consacrare il nuovo e brutto altare: un blocco da 8 tonnellate di marmo di Carrara, rozzamente lavorato da Viscardi e che si propone come un enorme sfregio, come una stecca inaccettabile in un contesto di arredi sei-settecenteschi. Non c’è la Fede ad animare questi progetti scellerati, dal gusto decisamente profano, ma un piano secolarizzato e, dunque laicista, denominato Percorsi storico-artistici integrati che ha per obiettivo, come ha dichiarato il vescovo Gervasoni, il desiderio che «la collettività possa vivere questi lavori come un momento culturale importante e che si possa valorizzare, con la comunità cristiana e la società civile, un patrimonio che ci rivela la nostra identità», se si pensa di promuovere e valorizzare l’identità cristiana con un altare, un seggio vescovile, un ambone, un porta cero pasquale come quelli proposti in questo Duomo lo scopo è destinato a naufragare miserevolmente.

L’idea rientra nel voler sostenere lo sviluppo del territorio secondo le intenzioni della Fondazione Cariplo, che ha offerto alla Diocesi, per questi interventi “artistici”, un contributo di 1 milione di euro su un costo stimato addirittura di circa 2,7 milioni, come ha riportato l’Agenzia Sir l’11 aprile del 2017. Quattro sono i percorsi culturali previsti: il Museo del tesoro del Duomo; la Biblioteca e l’Archivio storico diocesani. Si pensi che l’annuncio su Facebook della consacrazione dell’altare, sotto il profilo I percorsi del Tesero – Itinerari artistici integrati, è completamente trascurato e fra i pochi visitatori ci sono chiari dissensi e polemiche.

Chi ha finora visto – e non certo ammirato! – il nuovo complesso presbiteriale che sta rimbalzando sui media, con la mensa (perché tale è, in una concezione decisamente protestante) non può far altro che prendere atto della situazione in cui è crollata la maggioranza dei pastori della Chiesa e, dunque, far conoscere diffusamente questi scempi che non fanno altro che riempire sempre più massicciamente, con giovani famiglie, quelle chiese dove si continua a celebrare la Messa originale, perseguitata proprio da chi sostiene gli “adeguamenti liturgici”. Denunciare e opporsi a tali scempi è un dovere di ogni buon cattolico. Un’altra forte reazione, da parte anche della critica d’arte, è avvenuta con la mostra allestita, da 2 luglio al 18 settembre di quest’anno, al Santuario della Madonna Nera di Oropa, assediato e profanato dall’arte contemporanea di Daniele Basso, ma accolta di buon grado dal rettore, don Michele Berchi, compiaciuto del Belfagor d’acciaio, chiamato «Boogyeman», che ha accolto pellegrini e visitatori nel piazzale d’ingresso del Santuario, a pochi metri dall’antica chiesa, dove è custodita la mariana statua lignea di sant’Eusebio, il grande vescovo di Vercelli del V secolo, strenuo difensore di sant’Atanasio, fermo sostenitore della dottrina del Concilio di Nicea, rigoroso oppositore degli eretici ariani.

Iscriviti a CR

Iscriviti per ricevere tutte le notizie

Ti invieremo la nostra newsletter settimanale completamente GRATUITA.