Il beato Sebastiano Valfrè, cantore della Sacra Sindone

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(Cristina Siccardi) La Regina di tutte le reliquie, la Sacra Sindone, è esattamente l’immagine del Figlio di Dio ripreso nel giorno del Venerdì Santo, del Sabato Santo e della Domenica di Pasqua, perciò, vivere la Settimana Santa nella contemplazione e adorazione del Sacro Lino significa immergersi nel Mistero della Passione, del Sacrificio, della Donazione, della Morte e della Resurrezione di Gesù Nostro Signore. La descrizione dei Vangeli della Santa Pasqua dell’Anno 33 viene riproposta, iconograficamente viva e in sintesi, sul Sacro Telo. Così, anche solo di fronte ad una semplice immaginetta che lo ripropone, ci induce a metterci in ginocchio e in preghiera adorante. Sulla Sacra Sindone sono presenti: il Suo preziosissimo Sangue, versato per noi, per la nostra Salvezza eterna; i patimenti e i tormenti subiti a causa dei peccati degli uomini, da Adamo ed Eva a discendere lungo i secoli; la crocifissione, attraverso la quale Cristo ha vinto il peccato e la morte; il martirio per testimoniare che la Fede non può esistere se non attraverso il sacrificio e la croce; la Resurrezione, perché sul Sacro Lino è racchiuso anche l’istante in cui Cristo risorse dai morti: l’immagine rimase impressa (in maniera scientificamente inspiegabile) nel momento in cui tornò alla vita.

Il più grande cantore della Sacra Sindone è stato il beato Sebastiano Valfrè (1629-1710), padre oratoriano beatificato da papa Gregorio XVI il 15 luglio 1834, conosciuto come il ritratto vivo di san Filippo Neri (1515-1595). I suoi primi biografi e gli stessi testimoni al processo di beatificazione lo presentano come alter Philippus, facendosi portavoci della pietà popolare che lo chiamava il «San Filippo di Torino». Ebbene, il Valfrè ci lascia pagine mirabili sulla Sacra Sindone, testimonianza di una vera e propria teologia e pedagogia sindoniche. Nel suo trattato Alcune notizie concernenti la historia della SS. Sindone con qualche divota agionta indottiva alla Divozione verso la medesima si ritrovano concetti ed insegnamenti già presenti nelle due opere più accreditate al riguardo del Seicento: Sindone Evangelica, historica e theologica di Solaro di Moretta (1627) e Dell’immagine edessena con osservazioni historiche di Calcagnino (1639).

Il trattato (Dissertazione storica sulla Sindone del B. Valfrè, in «Annales Oratorii» – III centenario B. Sebastiano Valfrè 1710-2010, Confederazione Oratorio San Filippo Neri, Anno 2009, fascicolo 8, pp. 190-224) venne composto fra il 1693 e il 1695, tempo in cui la Sacra Sindone stava per essere traslata dall’interno del Duomo di Torino nella sopraelevata, alla stessa cattedrale, cappella della Sacra Sindone, realizzata dall’architetto Guarino Guarini (1624-1683), membro dell’ordine dei Teatini, il quale la progettò con l’intento di offrire un ambiente sepolcrale in penombra, senza decorazioni pittoriche, ricoperto di pregiato marmo nero, che, ascendendo verso l’alto, s’illumina grazie al marmo bianco e alla luce proveniente dalle finestre.

Scrive il beato Valfrè che la Sacra Sindone «non solamente è Imagine di Christo, ma anche Reliquia di Christo, si risponde che deve essere adorata [a differenza delle reliquie dei santi, come egli precisa, ndr], e come Imagine e come Reliquia di Christo. Questa adorazione però dovutali p. questi due titoli non è che una sola, è non due, così insegna San Tomaso dicendo che la San.ma Sindone deve essere adorata con adorazione di latria, si p.ché rapresenta Christo Crocifizzo, si p.ché è stata toccata da Christo, in cui corpo fu dentro involto e p.longo tempo vi riposò nel Sepolcro». Il padre filippino, inoltre, spiega che Cristo rimase sulla Croce dall’ora sesta del Venerdì fino alla sera, quando fu deposto, «ma poscia involto nella Sindone vi stette sino al ponto della Resurrezione, in oltre la Sacra tella come più atta à ricever la Sanguigna stampa, meglio si intinse, e si imbeverò di maggior copia di Sangue, e più anchora della Croce ne intenne.
Si potrebbe dire a favor della Croce che essa sia stata l’immediato instromento della nostra Redenzione, la quale in lei si consumò con la morte di Christo, il che tutto si concede poiche la morte di Christo spirato in Croce, e il fondamento della nostra redenzione, ma la resurrezione ne è l’ornamento e la Corona, senza di cui vanna sarebbe la nostra fede e vano il predicare la Croce di Christo, la Croce fu la scala con cui si diede l’assalto al Paradiso, e la Sindone fu stendardo reale del Capitano e la insegna vincitrice che p. la risurrezione che vi si inalberò. La Croce fu l’Altare del Sacrificio, la Sindone fu la veste del Sommo Sacerdote, la Croce fu l’Albero, la Sindone fu la Vella, con che la nave della Sacratissima humanità del Salvatore passato il solijo della morte, gionse felicemente in porto della gloria consumatta, la Croce vivo lo riceve, e lo rese morto, la Sindone morto lo riceve, e lo rese vivo e glorioso onde e forza il dire che di tanto la Sindone sia superiore alla croce, di quanto lo statto felice di gloria, et immortalità si lascia dietro questa mortal vitta (sic), la Croce Santa non è segno che di morte, e stromento di Passione, ma la Sindone mostra che non solamente apartiene à Christo come ad huomo mortale ma ancora come a Christo, perfettamente beato, e come Christo Rissusitatore di se stesso, nella Croce si e datto à conoscere p. huomo morendo su quella, nella Sindone si e datto a conoscere p. Dio, risuscitando da quella si che si puo dire che la San.ma Sindone sia trofeo di morte e di vitta scena di miseria e di gloria, teatro d’ignominia e d’honore, specchio di pianto e di giubilo, portiera di morte, e d’immortalità […]».

Per tutta la sua vita apostolica il Valfrè ha posto un’attenzione spirituale costante e sistematica alla Sacra Sindone come mai nessuno aveva fatto prima e come fin’ora nessuno ha più fatto, traslando il suo amore sindonico anche in strumento di carattere catechetico: nel contemplare il Sacro Lino riviveva misticamente la Passione e morte di Cristo e con la preghiera, divenne mezzo educativo per insegnare la dottrina, formando i suoi tanti figli spirituali, dei quali dirigeva le anime, alla cristianità quotidianamente vissuta.

Tanto era forte l’amore di padre Sebastiano Valfrè per la Sacra Sindone che gli venne affidato, nel 1694, il compito di ricucire alcune toppe che erano state posizionate sulle bruciature dalle Clarisse nel 1534, causate da un incendio che devastò la Sainte-Chapelle di Chambery, dove all’epoca era custodita. In quella santa mansione restaurativa, non asetticamente scientifica, ma religiosa e cultuale, egli fu visto all’opera, come registrano le testimonianze, con diligente cura e profonda mestizia. E dal suo volto, nel mediare ciò che l’Agnello si era lasciato fare per la nostra salvezza, scesero amarissime lacrime. 

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