(di Marcello Pera su Libero del 29-05- 2012) La caccia al corvo vaticano solletica gli istinti. E purtroppo quando gli istinti si mettono in moto la riflessione si ferma. Invece, sarebbe il caso di pensare un po’ a mente fredda. Non è in discussione la figura morale di Benedetto XVI: la sua serenità, la sua parola lucida e ferma, il suo stesso sorriso anche quando sembra triste, e non lo è, sono la migliore assicurazione in proposito. Anche lui è una roccia, per fede, convinzioni, cultura, temperamento.
Piuttosto è in discussione il senso storico, meglio direi escatologico, del suo pontificato. Perché lo Spirito (non un conclave, che è altra cosa, lo Spirito) lo ha voluto lì? Quale ruolo gli ha assegnato? Che cosa gli chiede, anche con sacrificio della sua persona?
LA CITTÀ DI DIO
Una risposta potrebbe essere: lo Spirito di Dio chiede a Benedetto XVI di eliminare il marcio dalla Chiesa. Non può essere questa la richiesta. E non perché il marcio debba essere tollerato, ma perché non può essere eliminato neppure dalla Chiesa. È affermato dalla Scrittura. L’aveva detto e predetto Gesù. L’aveva teorizzato al meglio della dottrina cristiana Sant’Agostino. L’umanità è una massa dannata: ovunque si trovi, comunque agisca, essa è affetta dall’orgoglio, dalla superbia, che è l’inizio di tutti i peccati.
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Il desiderio della gloria, la brama del potere, la libido dominandi, è la natura dell’uomo, quella dopola Caduta. Equesta natura è comune a tutti, anche ai membri della Chiesa, perché fino a che è pellegrina e esule e prigioniera in questo mondo,la Cittàdi Dio è composta dell’umanità della città terrena. Per questo la vera Chiesa, quella dei veri credenti che saranno salvati, è imperscrutabile, esattamente come lo sono le intenzioni dell’animo umano anche quando crede di compiere il bene, senza altro fine. Ci sono alcuni, diceva Agostino, che «la Città di Dio accoglie in sé, finché è esule in questo mondo, perché uniti nella partecipazione ai sacramenti, ma che non saranno con lei nell’eterna eredità dei santi».
E viceversa, a riprova del mistero della Grazia: «Fra gli stessi avversari della Città di Dio si nascondono dei futuri suoi cittadini». Dunque, il marcio c’è finché c’è l’uomo. Eliminare il primo significa eliminare il secondo, o trasformarlo in un angelo o in un santo, ciò che si può ma mai in questo mondo. Questa trasformazione, che è il senso del cristianesimo, è còmpito di Dio e di ogni uomo con il soccorso di Dio, non di un Papa.
Ancor meno lo Spirito di Dio può aver chiesto a Benedetto XVI di governarela Curia. Losi sente dire spesso: è suo dovere, deve scacciare gli infedeli dal tempio, deve prendere decisioni. E gli viene rimproverato spesso: si fida troppo dei propri collaboratori, non prende decisioni drastiche, non interviene, non allontana, non cambia, non si accorge delle insidie. Ma non è così.
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Certamente un servitore infedele deve essere rimosso, un collaboratore inadatto può essere cambiato, il capo di un ufficio avvicendato. Ma può lo Spirito di Dio aver chiesto a Benedetto XVI di fare qualcosa che assomiglia a presiedere un consiglio dei ministri per trovare la migliore organizzazione dell’istituzione vaticana? Questo è un còmpito riduttivo, perché è un còmpito temporale. Un Papa non è il governatore della Curia, è la parola di Cristo. È un apostolo, non un politico. Un testimone della verità, non un amministratore.
Che altro allora? Lo Spirito di Dio ha scelto Benedetto XVI in un momento buio dell’umanità, in particolare in Occidente. Lo ha scelto mentre nel mondo intero e soprattutto qui in quello che un tempo era il continente cristiano, l’umanità si sta perdendo, la civiltà consumando, la verità affievolendo. Lo ha indicato perché risvegliasse le nostre coscienze mentre sono smarrite e inquiete (inquietum cor nostrum).
Gli ha chiesto di esserela Voce che parla mentre le nostre parole tacciono. Lo ha chiamato perché indichila Viache è aperta, mentre le nostre strade si chiudono. Non può averlo scelto per altro. Non può avergli domandato altro. Perché qualunque altra cosa sarebbe minore, inadatta a dare un senso al nostro turbamento, e una speranza alla nostra miseria. Sarebbe un altro peccato di orgoglio giudicare lo Spirito di Dio. Ma è difficile negare che questo còmpito di salvezza Benedetto XVI lo sta svolgendo come lo Spirito gli chiede.
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Quante ironie e cattiverie sul suo conto! Il Papa timido, il Papa riservato, il Papa studioso, il Papa scrittore. Eppure questo uomo timido è penetrato in tante coscienze; questa persona riservata ha toccato tante anime; questo studioso rigoroso ha colpito tante menti; e questo scrittore ha trovato tanti lettori, anche quelli che avrebbero dovuto essere i più lontani, i meno interessati, i più distratti. E se i suoi argomenti sono risultati difficili ad alcuni, il suo messaggio è risultato chiaro e gradito ai più. Lo Spirito di Dio lo ricompensa perché, tramite lui, intende ricompensare tutti noi. Purché non siamo sordi e ciechi, e vogliamo essere ricompensati.
I nostri tempi sono difficili. L’Europa — non l’Unione europea: l’Europa — rischia il crollo come lo subì una costruzione di gran lunga più seria e possente, l’Impero romano. La cultura occidentale avida di diritti perde il senso dei doveri e della fonte da cui essi derivano. Uomini di Stato in Europa e in America mostrano di non capire la posta in gioco o di voler barare al gioco. E quando una civiltà assomma una difficile crisi materiale ad uno spaventoso inaridimento morale e spirituale, può essere tentata di uscirne in tutti i modi, anche quelli tragici che noi esorcizziamo quando, compunti, recitiamo, ad ogni occorrenza di celebrazione retorica, il «mai più!».
Lo so ciò che si replica: che siamo vaccinati, che stavolta non precipiteremo nel buio. No, non siamo mai salvi, restiamo sempre massa dannata. Questo è ciò che lo Spirito di Dio ha chiesto a Benedetto XVI: che la dannazione abbia una speranza e il nostro buio ateo abbia almeno una luce. E questo è ciò che lui sta facendo bene, a beneficio nostro. Quanti, all’inizio, irridevano a lui? Quanti adesso si sono ammutoliti?
VIPERE OPACHE
I corvi voleranno ancora. Le vipere strisceranno ancora. Non si fa il bene di Benedetto XVI soltanto abbattendo (o fingendo di voler abbattere) gli uni e scovando le altre. Si fa il bene di tutti noi se rifletteremo sul còmpito che lo Spirito gli ha assegnato. Forse è proprio questo ciò che corvi e vipere, da quelle opache sotto le foglie a quelle brillanti sopra i rami, realmente vogliono. Vogliono che la sua voce parli d’altro, che il suo pensiero sia occupato in altro, che la sua attenzione sia concentrata su altro. Che si distragga, che non parli, che non ci richiami. Pensano a sé, i corvi e le vipere, e non riflettono che così un giorno può accadere che a vincere sia una fazione di curia contro un’altra fazione di curia, ma a perdere sarebbe la nostra speranza.