Dugin, Putin e gli scenari del caos

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Sei mesi fa, all’alba del 24 febbraio 2022, Vladimir Putin annunciava una “operazione militare speciale” nell’Ucraina orientale. Poche ore dopo, tutta l’Ucraina, compresa la capitale Kiev, era colpita da attacchi aerei e missilistici, mentre le forze di terra russe varcavano i confini. L’Europa si trovava in guerra.

La guerra russo-ucraina, prosecuzione di un conflitto iniziato nel 2014, non è stata la guerra lampo immaginata da Putin. Il presidente della Federazione sovietica ha sottovalutato la determinazione a combattere degli ucraini, a cominciare dal presidente Zelensky, che si è rivelato un capo risoluto e soprattutto capace di utilizzare i media in un conflitto “ibrido”, che si combatte su diversi piani: militare, economico e propagandistico. Fa parte di questa “guerra ibrida”, l’attentato di cui il 21 agosto è rimasta vittima Darya Dugina, figlia del filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin. Una bomba è stata piazzata sotto il sedile del conducente e l’auto è esplosa alle porte di Mosca. Non è certo se l’obiettivo degli attentatori, fosse la giovane donna, o il padre, che all’ultimo momento aveva deciso di viaggiare con un altro veicolo.

  Un gruppo partigiano russo anti-regime ha rivendicato l’attentato, ma i Servizi segreti Russi, hanno indicato come presunta autrice dell’omicidio la cittadina ucraina Natalia Vokv, che sarebbe poi fuggita in Estonia. Il governo di Kiev ha negato da parte sua ogni responsabilità nella vicenda. Negli oscuri meandri di una lotta che coinvolge sabotatori, agenti provocatori e spie russe e occidentali, forse non si individueranno mai con assoluta certezza i veri colpevoli, ma è certo che l’obiettivo dell’atto terroristico era simbolico, visto che Dugin è l’intellettuale russo che con più forza ha appoggiato Putin, chiamando a una “guerra santa” della Russia contro l’Occidente. 

Aleksander Dugin non è l’unico ideologo di Putin, ma è certamente il personaggio a cui il Presidente del Federazione Russa ha affidato la missione di infiltrare la destra conservatrice europea, attirando verso il Russkij Mir, l’“universo russo”, tutti coloro che vedono nella Russia una “riserva morale” contro la depravazione morale dell’Occidente. La sua influenza in Russia è comunque profonda   e nessun altro intellettuale russo vivente è conosciuto come lui. Secondo lo slavista, Bengt Jangfeldt, il libro di Dugin, Osnovy geopolitiki (Fondamenti di geopolitica), ha avuto un impatto sullo sviluppo ideologico in Russia superiore a quello di qualsiasi altra pubblicazione politica successiva alla caduta dell’Unione Sovietica (L’idea russa. Da Dostoevskij a Putin, Neri Pozza, Vicenza 2022, p. 140), mentre Elena Kostioukovitch, nel suo saggio Nella mente di Vladimir Putin (E-book La Nave di Teseo, 2022), afferma che le opere di Dugin sono lette da tutti i collaboratori di Putin, oltre ad essere nei piani di studio di molte università. 

Aleksandr Gel’evič Dugin è nato a Mosca nel 1962 figlio di un ufficiale dei servizi segreti sovietici. Dopo la caduta dell’URSS, collaborò con Gennadij Zjuganov al programma politico del Partito Comunista della Federazione Russa e nel 1993 fondò, con Eduard Limonov (1943-2020), il Partito Nazional Bolscevico. L’obiettivo del nazional-bolscevismo era la creazione di un grande impero anti-americano, da Gibilterra a Vladivostock, secondo l’utopia del nazionalista rivoluzionario belga Jean-François Thiriart (1922-1992). 

Nella sua evoluzione intellettuale il politologo russo ha subito ulteriori influenze, da Lev Nikolaevič Gumilëv (1912-1992), da cui ha attinto l’idea di “Eurasia”, ad Alain de Benoist, fondatore della Nouvelle Droite neo-pagana. Il suo principale punto di riferimento rimane però il filosofo-esoterista Julius Evola (1899-19744), di cui ha rivisitato le opere in chiave euroasiatica. Ciò spiega il successo che Dugin ha avuto in certi ambienti del neo-tradizionalismo italiano. Il neopaganesimo di Evola e de Benoist ha offerto un contributo decisivo al pensiero di Dugin, che considera la Chiesa cattolica come un nemico capitale. Dugin stima invece il Patriarcato ortodosso di Mosca, chiamato a sostenere la missione imperiale della Russia contro l’Occidente e la pretesa universalista della Chiesa cattolica.

Luca Gori, un diplomatico italiano che conosce bene la cultura russa, ha definito il pensiero di Dugin come l’ideologia dell’“ortodossia atomica”, ovvero una dottrina basata sulla capacità di unire il “rosso” (lo scudo atomico forgiato in epoca sovietica) e il “bianco” (lo scudo della chiesa ortodossa), per garantire la sovranità del paese (La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia post sovietica, Luiss University Press, Roma 2021, p. 112). Questo concetto messianico, del “doppio scudo” ortodosso-atomico, pervade, secondo Gori, anche la narrativa di Putin.

La geopolitica del caos di cui ci hanno parlato molti analisti è assunta da Dugin come un fuoco rigeneratore che vedrà la fine dell’Occidente e la rinascita della Grande Russia e la sua missione nel mondo. La Russia deve seminare il caos geopolitico in Occidente, incoraggiando i conflitti etnici e sociali e utilizzando armi come il gas e il petrolio. Incursioni militari, sabotaggi e attentati, fanno parte di questa opera di destabilizzazione. Per Dugin, come per Evola, è solo nell’anarchia che «la tenebra gradatamente si rischiara e dall’abisso della necessità sorge il fiore terribile dell’individuo assoluto» (J. Evola, Teoria dell’individuo assoluto, Bocca, Torino 1927, p. 304).

L’autore che ha scandagliato con più profondità il pensiero di Dugin è il padre Paolo Siano, in un sintetico studio, che riassume la sua ideologia nell’efficace formula della “metafisica del caos”. Dugin teorizza infatti la discesa necessaria ed irreversibile nell’abisso del male e la rivalutazione del Caos come principio primordiale ed eterno dell’universo. Questi princìpi di fondo soggiacciono alla visione geopolitica dell’ideologo russo (P. Paolo Siano, La metafisica del caos di Aleksandr Dugin, Edizioni Fiducia, Roma 2022).

Nel suo manifesto La grande guerra dei continenti (1991), Dugin contrappone l’Eterna Roma (cioè la Russia ortodossa) all’Eterna Cartagine (gli Stati Uniti e l’Occidente). Assumendo dal filosofo tedesco Karl Schmitt (1888-1985) l’idea di Katéchon, la forza che resiste all’Anticristo, Dugin afferma che la Russia di Putin, erede di Stalin e di Gengis Khan, ha la missione di «essere il “Katéchon”, “colui che trattiene”, impedendo l’arrivo del Male finale nel mondo» (https://nemicidelsistema.blogspot.com/2021/03/alexander-dugin-il-grande-risveglio.html).  

Nel disegno euroasiatico di Dugin, i paesi ortodossi dei Balcani settentrionali, in particolare la Serbia e la Bulgaria, storicamente pro-russe, costituiscono il sud della Russia, destinata ad estendersi alle repubbliche caucasiche e turcofone, fino alla Mongolia. L’Europa dovrà passare dal controllo strategico americano a quello del Cremlino, che si avvarrà anche dell’appoggio dell’Iran e della Cina. Tutto questo non è fantapolitica. Mosca infatti cerca di aumentare la sua influenza nei Balcani attraverso gli alleati della Serbia e della Republika Srpska, una delle due entità in cui è stata divisa la Bosnia dagli Accordi di Dayton. La Serbia, che non perdona i bombardamenti della Nato subiti nella guerra del Kosovo, ha rifiutato di partecipare alle sanzioni occidentali contro la Russia e il suo presidente Aleksander Vucic, ha minacciato un intervento militare per difendere la minoranza serba nel Kosovo. La Bosnia è esposta a sua volta al rischio di una secessione dei serbi del suo territorio. Nella guerra ibrida in corso i Balcani rappresentano un nuovo possibile teatro di guerra, su cui in qualsiasi momento può essere drammaticamente alzato il sipario. La forza esplosiva dell’attentato del 21 agosto si situa in questo scenario.

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