(di Danilo Quinto) L’accelerazione sulla riforma della legge elettorale – frutto dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, il cosiddetto “Patto del Nazzareno”, rinverdito nei giorni scorsi – è anche propedeutica alle dimissioni dell’attuale Presidente della Repubblica.
Nel senso che Giorgio Napolitano ha fatto chiaramente intendere che vorrebbe concludere il suo secondo mandato a riforma avvenuta, senza accettare l’auspicio di Renzi di attendere fino al prossimo mese di maggio. La speranza del Presidente del Consiglio – che nelle ultime settimane ha visto calare i consensi, sia quelli personali sia quelli che si riferiscono al suo partito – è chiara: superare il periodo in cui sarebbe possibile andare a nuove elezioni, che egli non vuole, in questo momento.
Le dimissioni di Napolitano aprirebbero, quindi, uno scenario politico nuovo, che riguarda tutti i soggetti politici in campo. Innanzitutto Berlusconi, che non vuole farsi sfuggire l’occasione di essere determinante nell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, così com’è determinante – risulta sempre più evidente – nell’appoggio al “Partito della Nazione” che sta costruendo con grande abilità Renzi.
L’ “apertura” del leader di Forza Italia al Nuovo Centro Destra e ai centristi – la cui presenza è sempre più marginale all’interno del Governo – va letta in questa direzione: tentare di rendere compatto il centrodestra italiano in vista di quella scadenza, anche per evitare l’ “opa” che la Lega di Matteo Salvini sta realizzando, grazie ad una politica accorta, in grado di interloquire con tutto il Paese.
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L’altra forza in campo, il Movimento 5 Stelle, continua a svolgere due compiti: essere la “carta di riserva” di Renzi, nel caso in cui l’accordo con Berlusconi non andasse in porto – ipotesi alquanto difficile – e incanalare in un alveo istituzionale, quindi accettabile, la protesta e la rabbia che dilagano, rispetto alla crisi economica che imperversa, nei confronti della quale non viene preso un solo provvedimento adeguato per affrontarla, all’incuria in cui versano vasti territori, sottoposti a piogge inferiori per intensità a quelle di cent’anni fa, che causano però danni ingentissimi e perdita di vite umane, all’abbandono delle periferie urbane delle grandi città, consegnate all’insicurezza e mortificate nella loro dignità.
L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica s’inserisce in questo contesto, obiettivamente gravissimo, per molti versi senza precedenti nella storia italiana. Il nuovo “garante della Costituzione” non ne potrà prescindere. Chi, nel panorama attuale, può rivestire questo ruolo e non essere condizionato da una concezione della politica che sempre più sta diventando “mestiere” e che, anche per questo, ignora i bisogni reali delle persone? Gli aspiranti sono tanti. Alcuni di loro – pensiamo a Romano Prodi o a Stefano Rodotà, ad esempio – si possono considerare “bruciati” dalle precedenti elezioni. Altri – la Pinotti, la Finocchiaro, lo stesso Grasso – sono improponibili, perché troppo “marcati” rispetto allo schieramento di appartenenza.
A parte outsider dell’ultima ora – tra questi, Giuliano Amato, che ha già dimostrato di poter ricoprire incarichi per “tutte le stagioni” – sono due i nomi sui quali potrebbe convogliare un consenso bipartisan: Mario Draghi e Emma Bonino. Stanno studiando da tempo entrambi per questa prospettiva ed hanno entrambi solide esperienze e adeguati sostegni internazionali. Certo, il primo deve fare i conti con l’avversità di coloro che attribuiscono – giustamente – alla BCE, responsabilità molto grandi rispetto alla crisi in atto. La seconda, dovrebbe farsi “perdonare” la sua storia. Considerati i consensi di cui gode, anche in ambienti insospettabili, si può ritenere che molti l’abbiano già fatto. (Danilo Quinto)