Il 27 ottobre scorso, con 154 voti favorevoli e 131 contro, il DDL Zan è stato bloccato, almeno temporaneamente e secondo la prassi ordinaria, prima di sei mesi non potrà essere ripresentato. Il disegno di legge n. 2005 concernente “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, era stato presentato dall’onorevole Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico, il 2 maggio 2018 e approvato alla Camera il 4 novembre 2020. Tale progetto mirava a definire, anche a livello giuridico, il concetto di “identità di genere” volto a sovvertire la dicotomia maschile-femminile. Si può affermare, senza timore di smentita, che tramite tale sovvertimento l’obiettivo era quello di ridefinire la natura umana razionale, declassandola da dato di realtà, indipendente dal pensiero, a semplice artefatto di quest’ultimo. Il tutto punendo chi avesse osato opporvisi: in definitiva, si voleva violentemente sostituire la menzogna alla verità sull’uomo. È quindi giusto gioire per quanto accaduto giacché, se tale legge fosse stata approvata, avrebbe introdotto una legittimazione giuridica ad errori sostanziali, come a più riprese denunciato. Ciononostante, l’euforia dei festeggiamenti non deve minimamente intaccare la cautela.
Il perché è presto detto. La legge Zan non mirava semplicemente ad introdurre degli errori di gravissima entità sulla natura umana, bensì semplicemente a dare legittimità giuridica ad errori che sono già da lungo tempo presenti, come ben illustrato in precedenza, nel substrato culturale del nostro paese: il fatto stesso che si sia arrivati a discuterne in Parlamento rende palesi tali asserzioni. Sarebbe interessante capire per quale motivo recondito alcuni noti esponenti del centro-sinistra abbiano infine votato a sfavore del progetto. Una cosa è certa: tali personaggi non sono soliti agire in virtù di retti princìpi filosofici o morali, bensì sulla base di un mero calcolo politico. Sapevano di non avere numeri sufficienti e che il disegno di legge, così come era stato impostato, non aveva molte possibilità di passare.
Hanno provato a sfondare l’ultimo muro che li separa dalla demolizione della famiglia, ma hanno fallito. Ciò che dovrebbe destare preoccupazione, tuttavia, è che tale fallimento non dipende dalla solidità di tale muro: esso è de facto pieno di falle, aperte da secoli di idee rivoluzionarie, e sul punto di cadere da un momento all’altro. Non si può negare che gli attacchi alla famiglia, come istituto derivante dalla natura umana, sono molteplici e gravi ma certamente fondati su un punto comune: la negazione di Dio stesso e, conseguentemente, della natura umana razionale da Lui determinata. Se la natura non è più un dato oggettivo, metafisico e antecedente al pensiero stesso, vien da sé che anche la famiglia, a tale natura strettamente legata, venga meno. La teoria del gender, su cui si fonda il concetto di “identità di genere” espresso all’art. 1 del DDL Zan, diffusa da personaggi come Simone de Beauvoir (1908-1986) e più recentemente Judith Butler, non è altro che l’applicazione pratica della negazione di una natura umana razionale, alla sfera dell’identità sessuale.
Lo scopo dei proponenti del DDL, tuttavia, potrebbe non essere stato una sua mera approvazione, ma piuttosto quello di piantare una bandiera verso cui i moderati si sarebbero dovuti dirigere successivamente. Bastava, come già suggerito da alcuni, proporre un disegno di legge su un argomento analogo, magari più circoscritto, che sia maggiormente “accettabile” da un mondo politico la cui bussola non è certo la scienza morale. Per di più, è sufficiente farlo in un momento in cui gli oppositori sono distratti dall’esultanza per il traguardo raggiunto. Ed infatti i sostenitori delle ideologie sin qui delineate avevano già in serbo l’asso nella manica.
Il 4 novembre scorso è stato definitivamente approvato al senato un nuovo disegno di legge di iniziativa governativa, il n. 2437 concernente “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali” che apporta un emendamento al decreto legge 10/09/2021 n. 121, all’articolo 23, comma 4 bis che da ora reciterà: «È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche» (il grassetto è nostro ndr.).
La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre scorso, ed è perciò in vigore. Dunque in un testo di legge che apparentemente era assolutamente estraneo ai temi pregnanti del DDL Zan, è stato inserito un riferimento esplicito all’identità di genere, vietando de facto qualsiasi forma di pubblicità (foss’anche un cartello o un’insegna) che dovesse ribadire la verità sulla natura umana dietro il pretesto della discriminazione.
Questa è la prova che non può dirsi la parola “fine” fintanto che le idee soggiacenti al progetto di legge Zan continueranno a serpeggiare nella cultura del popolo italiano e a covare come carboni ardenti sotto la cenere. Basta davvero pochissimo per riaccendere un incendio che divampi e devasti quanto ancora si mantiene miracolosamente in piedi. Non potremo cantar vittoria insomma, fintanto che la Rivoluzione avrà “finestre d’opportunità” per avanzare, così come magistralmente insegnava il dottor Corrêa de Oliveira nel suo saggio del 1959, “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”. Festeggiare è cosa buona, abbassare la guardia e adagiarsi sugli allori no. La temporanea sconfitta del disegno di legge Zan non è un punto di arrivo, come alcuni potrebbero esser portati a pensare: può e deve piuttosto essere il punto di partenza per un contrattacco cruciale, indispensabile, ineludibile. Tuttavia, tale contrattacco non potrà basarsi soltanto sulla libertà d’espressione o su un generico concetto di libertà, svincolata dalla verità. Come ebbe a dire il professor de Mattei in un suo articolo: «Non è in nome della “libertà”, ma della natura e della ragione, che bisogna combattere il nefasto progetto di legge Zan. C’è un’aspra battaglia di idee in corso. Senza la chiarezza dei princìpi filosofici e morali tutto è perduto. Sulla base di questi princìpi professati e vissuti, e con l’aiuto di Dio, si può vincere invece la battaglia culturale del nostro tempo».
Se non attueremo una strategia di opposizione profondamente cattolica, coerente con i princìpi filosofici e morali di stampo realista – fondati dunque sulla realtà delle cose – il DDL Zan non avrà bisogno d’essere approvato in Parlamento per ottenere gli effetti nefasti che si propone. In tale prospettiva è fondamentale formarsi, ovvero acquisire quelle lenti che ci permettono di giudicare a 360° gradi la realtà delle cose così da riconoscere e combattere con coraggio ciò che minaccia l’ordine naturale e divino.