CULTURA CATTOLICA: mons. Gherardini e il “Concilio mancato”

Print Friendly, PDF & Email

A quasi mezzo secolo dalla chiusura del Concilio Vaticano II, è tempo di una seria riflessione sull’evento che più ha cambiato la Chiesa negli ultimi 500 anni. Una pubblicistica che va in questa direzione è quella di monsignor Brunero Gherardini. Ottantasei anni, teologo di fama internazionale, mons. Gherardini è stato professore di Ecclesiologia ed Ecumenismo alla Pontificia Università Lateranense e decano della facoltà di Teologia dello stesso ateneo. Dal 1994 è canonico della Basilica di San Pietro.

I suoi saggi più recenti, che hanno risollevato il dibattito sul Concilio, sono Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, edito da Casa Mariana Editrice, e Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, edito da Lindau.

Lo scorso 25 maggio, mons. Gherardini è stato ospite della Fondazione Lepanto, per la presentazione dei suoi volumi sul tema conciliare. Roberto de Mattei, presidente di Lepanto ha elogiato Gherardini come «il più sicuro dei teologi viventi». Gli scritti del teologo pratese, ha spiegato de Mattei, «sono fondamentali come stimolo a comprendere la vera natura del Concilio Vaticano II: laddove c’è ormai unanimità sulla natura pastorale dell’evento, va verificato se esso si sia svolto o meno nel solco della continuità e della Tradizione».

«La mia – ha esordito Gherardini – non è una dichiarazione di guerra al Concilio, né la sua condanna ma soltanto una rilettura critica dei suoi documenti. Il Vaticano II rimane una porta chiusa che nasconde ancora molti segreti». Prendendo atto delle numerose storture che vengono addebitate all’epoca post-conciliare, il teologo ha rimarcato che non può esserci post-Concilio senza Concilio, quindi è proprio all’interno del Concilio stesso che vanno rintracciate tali storture. Mons. Gherardini ha denunciato, ad esempio, l’accantonamento dei documenti preparatori al Concilio, bollati come «non aperti all’uomo moderno». Lo spirito dei tempi era infatti quello di «andare incontro alla modernità», senza però accorgersi che «la modernità aveva dichiarato guerra alla Chiesa». Trattandosi di un Concilio pastorale ed ecumenico, il Vaticano II «non è né dogmatico, né infallibile», ha precisato Gherardini. Inoltre la Chiesa deve avere «per suprema lex, la salus animarum che non si risolve in strette di mano o in generico “volersi bene”». C’è poi il nodo, non meno fondamentale, della tradizione: quest’ultima non ha «nulla a che vedere con la fissità, né la sua trasmissione è meccanica. Esiste, anche per la Chiesa un concetto di evoluzione che non è semplice adattamento ma evoluzione immanente: in altre parole essa può solo passare dal meno al più, come si evolve e cresce un essere umano ma non può diventare un’altra cosa rispetto a quel che realmente è».

La Chiesa è, in definitiva, un’istituzione «radicata nel tempo, ma proiettata fuori dal tempo» e non può nemmeno definirsi «peccatrice» se, per la sua stessa natura, «è in grado di rimettere i peccati». La Chiesa cattolica, in definitiva, per rimanere tale e non tradire la sua identità, deve parlare un unico linguaggio che è «quello cattolico, quello del Magistero. Se si esprimesse in termini hegeliani non sarebbe più Chiesa: potrebbe assumere un qualche sentimento religioso ma non sarebbe più espressione del Vangelo», ha concluso monsignor Gherardini. Nel commentare le argomentazioni del teologo, il professor de Mattei, ha ricordato come, durante il Concilio, venissero definiti “profeti di sventura”, quegli uomini di Chiesa che si proclamavano scettici sulle promesse dell’evento. La storia ha confermato le loro previsioni, smentendo le illusioni dei progressisti. «I Padri conciliari conservatori – ha osservato de Mattei – sono stati i veri profeti, mentre oggi il futuro della Chiesa è nelle mani di chi ama e coltiva la Tradizione». (L. M.)

Iscriviti a CR

Iscriviti per ricevere tutte le notizie

Ti invieremo la nostra newsletter settimanale completamente GRATUITA.