A quanti si illudono che il comunismo abbia cambiato volto, la risposta viene da Cuba, dove due artisti, Otero Alcántara e Castillo Pérez (in arte Osorbo), leader del Movimento di Sant’Isidro, sono stati condannati rispettivamente a 5 e 9 anni di carcere, per aver cantato e pubblicato diversi brani, divenuti inni veri e propri contro il regime castrista instaurato da Miguel Diaz-Canel.
La Procura generale di Cuba ha accusato Alcántara di «insulto ai simboli della Patria, oltraggio e disordine pubblico», ad Osorbo sono stati contestati gli stessi reati oltre a «diffamazione di istituzioni ed organizzazioni». L’obiettivo reale è quello di ridurre i due al silenzio, riuscendo i loro brani a catalizzare il consenso popolare ed a smuovere le coscienze contro la repressione e la violenza attuate dalla dittatura comunista al potere, per spegnere qualsiasi forma di opposizione.
Lo scorso 17 giugno, 17 Ong e diversi media hanno promosso una raccolta-firme, per chiedere l’immediato rilascio dei due artisti, che semplicemente raccontano «il disprezzo dimostrato dalle autorità cubane verso la libertà di espressione artistica ed una loro allarmante tendenza verso persecuzioni e detenzioni arbitrarie nei confronti delle voci dissidenti». Inoltre, hanno chiesto la fine della «campagna infinita di intimidazioni contro questi due attivisti coraggiosi e di talento».
Si tenga conto che, sempre a Cuba, lo scorso 13 giugno 297 persone sono state condannate con pene fino a 25 anni di reclusione, semplicemente per aver partecipato alle accese proteste anti-governative, svoltesi la scorsa estate, risultate tra le più estese e partecipate degli ultimi decenni. Le accuse nei loro confronti sono andate dalla sedizione, all’aggressione, alla rapina. Tra i condannati v’erano anche 16 minorenni. Lo scorso marzo, per lo stesso motivo, erano già state condannate altre 128 persone.
Sorte analoga a Hong Kong per un altro attivista, Nathan Law, 29 anni tra pochi giorni, ex-leader studentesco, ex-segretario generale della Federazione degli studenti, fondatore ed ex-presidente di un partito politico, Demosistō, a favore della democrazia. A 23 anni è stato anche un vero e proprio recordman in quanto membro del consiglio legislativo di Hong Kong più giovane (23 anni) e rimasto in carica per il minor periodo, dal 4 settembre 2016 al 14 luglio 2017, a causa del veto posto nei suoi confronti da Pechino. È stato incarcerato come leader del movimento Occupy Center ed incriminato, per aver organizzato e preso parte ad Hong Kong ad una veglia in ricordo del massacro di piazza Tienanmen. Law ha lasciato la propria Patria, diretto in esilio volontario a Londra, il 2 luglio 2020 dopo il varo della nuova legge sulla sicurezza nazionale, imposta dal governo centrale cinese.
Lo scorso 21 giugno, nel corso di un’intervista rilasciata al settimanale francese L’Express, Law ha criticato la cecità ideologica di alcuni leader progressisti europei – come Jean-Luc Mélenchon, a capo de La France Insoumise, principale gruppo politico di Sinistra -, ostinati nel non voler vedere le minacce rivolte dalla Cina contro le libertà rimaste in Occidente.
Si noti come, sempre in Cina, lo scorso 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, presso la cattedrale della Diocesi di Leshan, il vescovo, mons. Lei Shiyin, abbia celebrato l’anniversario della nascita del Partito comunista cinese (che sarebbe stato, in realtà, due giorni dopo, il primo luglio). Alla presenza di altri sacerdoti e suore, il prelato ha invitato i fedeli ad «ascoltare la parola del Partito, sentire la grazia del Partito e seguire il Partito». Del resto, mons. Lei Shiyin era stato ordinato senza mandato papale nel 2011: si tratta di un personaggio molto discusso, poiché è accusato, tra l’altro, di avere un’amante e figli. Ma a levargli la scomunica fu papa Francesco in persona dopo la firma, nel 2018, dell’«Accordo sino-vaticano», segno di quanto tale accordo si rivelasse problematico già in partenza e fosse del tutto inutile, per fermare la persecuzione nei confronti dei cattolici, soprattutto di quelli per niente disposti a far parte della Chiesa “ufficiale”, ideologicamente e politicamente succube del regime comunista.
Il triste elenco potrebbe continuare, ma già questo basta per confermare come ovunque nel mondo falce e martello, lungi da qualsiasi forma di autocritica, ripensamento e tanto più pentimento, sia rimasto, ieri come oggi, simbolo di dittatura, di persecuzioni, di atrocità.