(Tommaso Scandroglio) La notizia ha avuto ampia eco: settimana scorsa la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che è illegittimo il licenziamento di un dipendente quando la causa del licenziamento riguardi esclusivamente l’orientamento omosessuale o la cosiddetta identità di genere, che sarebbe più appropriato definire come identità psicologica sessuale. In tal modo la Corte ha esteso la disciplina normativa che vieta la discriminazione sulla base del sesso (il Title VII del CivilRights Act del 1964) anche all’omosessualità e alla transessualità.
La decisione avrà un enorme impatto in ambito lavorativo. Pensiamo solo ad una scuola cattolica che non potrà più licenziare un proprio docente in quanto omosessuale, licenziamento che potrebbe essere eticamente lecito perché in accordo con quanto scriveva nel 1992 la Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali: «Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare» (11). Inoltre sarà facile prevedere che l’omosessualità e la transessualità saranno spesso usate come armi pretestuose per evitare giusti licenziamenti. Ad esempio un dipendente scansafatiche viene licenziato. Il dipendente, che è omosessuale, impugna il provvedimento del datore di lavoro affermando che la vera motivazione del licenziamento è da attribuirsi alla propria omosessualità.
Però non vogliamo qui prevedere quante e quali conseguenze porterà con sé questa sentenza della Corte Suprema, bensì abbozzare qualche riflessione su un aspetto decisivo della sentenza, aspetto comune a molte altre sentenze e non solo. Tale aspetto prende il nome di tecnocrazia a carattere oligarchico. Nei tribunali come nelle aule dei Parlamenti, nelle redazioni dei quotidiani e delle riviste scientifiche come nelle cattedre universitarie, nei consigli di amministrazione di importanti enti culturali o fondazioni come nei centri di ricerca scientifica, a prendere decisioni di rilievo, che influiranno sulle idee e quindi sulle condotte di molti, sono poche persone che utilizzano efficacemente alcuni strumenti tecnici. I tecnocrati sono i veri lifestyler di oggi. Il recente esempio che viene dagli States è paradigmatico: nove giudici hanno inserito un altro tassello importante nella storia sociale degli Stati Uniti – e non solo, visto il rapporto osmotico tra ciò che accade negli Usa e le vicende degli altri Paesi occidentali – e lo hanno fatto non tramite strumenti di persuasione culturale di massa, i cui effetti avrebbero impiegato anni a farsi sentire, bensì con una sentenza che avrà un impatto immediato e su larga scala. Potremmo replicare questa stessa riflessione per mille altri casi, pensando alla sentenza Roe vs Wade, che legalizzò l’aborto negli USA, o alla sentenza Obergefell vs Hodges che legittimò i “matrimoni” omosessuali.
Analogamente pochi parlamentari con una legge sono in grado di orientare il destino di milioni di persone su questioni eticamente rilevanti. Anche un pugno di giornalisti è nella posizione strategica di influenzare in modo incisivo la coscienza collettiva a proprio piacere, così come un numero esiguo di docenti e di titolari di importanti risorse economiche per la cultura. Quindi una miscela esplosiva in termini culturali può essere composta dai seguenti due fattori: un gruppo elitario di persone e strumenti adatti allo scopo, quali la sentenza, la legge, la pena, l’insegnamento, i soldi.
Banale a dirsi, questo mix è così efficace perché frutto di un lungo lavoro culturale che ha privilegiato alcuni orientamenti a discapito di altri e quindi ha privilegiato chi si faceva promotore di questi orientamenti scartando invece chi non si allineava. La tecnocrazia oligarchica non si improvvisa dall’oggi al domani, ma è costruita pazientemente. Questa riflessione crediamo sia preziosa anche per chi è oggi culturalmente in minoranza: i difensori della vita, della famiglia, della libertà educativa, i cattolici, etc. Anche costoro devono unirsi per edificare sane tecnocrazie, ma non oligarchiche, bensì aristocratiche. Ossia gruppi scelti di persone assai preparate. I migliori – gli àristos – nei posti strategici. Insomma pochi, ma ottimi e nei posti giusti. Ecco allora che un lavoro preziosissimo da intraprendere è la formazione delle élites, termine che alle orecchie dei più stona, ma che in realtà possiede una accezione positiva. Il democraticismo pervasivo odierno, si sa, vede di cattivo occhio i meriti, seppur la meritocrazia sia sulla bocca di tutti. Tutti dovrebbero aver libero accesso a qualsiasi ruolo, così si sente ripetere. Ma non tutti hanno i talenti necessari per rivestire alcuni ruoli apicali. Occorre quindi individuare giovani promettenti e, come in una serra, farli crescere nella prospettiva di inserirli in un domani assai prossimo nella magistratura che conta, negli ambienti della politica nazionale, nei centri di ricerca di eccellenza, nei consessi internazionali, etc. Perché la decisione di una sola persona al vertice condiziona la base. Prendi il capo, saranno tue anche le membra comandate dal capo. È la cosiddetta formazione dei leader che mira a disegnare figure di élite da collocare nelle stanze dei bottoni, nei gangli vitali della società. Anche in questo modo si potranno evitare in futuro altre decisioni simili a quella presa della Corte Suprema in tema di licenziamento per motivi discriminatori.