Conoscenza e ignoranza nell’era del Covid

Effetto-Dunning-Kruger
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(Leonardo Rizzo) La nostra società e la nostra epoca sono segnate da un’evoluzione dei mezzi di comunicazione (i “new media”) ancora relativamente recente ma che viene considerata epocale. Del resto anche l’intervallo plurisecolare che intercorre tra l’invenzione della stampa a caratteri mobili e l’alfabetizzazione di massa dei paesi avanzati, quello che Marshall McLuhan ha definito come “galassia Gutenbergh”, ha provocato uno sconvolgimento tecnologico e culturale certo non minore di quello del quale oggi siamo spettatori e protagonisti.

La banale premessa è necessaria per comprendere le difficoltà che molti di noi avvertono quando si confrontano con il sovraccarico informativo e con il conseguente “effetto Dunning-Kruger”, cioè la paradossale distorsione per cui chi sa poco tende ad accontentarsi delle informazioni che già possiede, mentre chi sa molto tende a dubitarne di più. La nostra incertezza, cioè, aumenta proporzionatamente al bagaglio culturale che possediamo. Cosa che non sarebbe forse troppo grave se le persone più sprovvedute fossero in grado di discriminare tra le fonti da cui attingono, di “gerarchizzare”, riconoscendo quelle attendibili.

Proviamo a fissare alcuni paletti. Intanto, dobbiamo distinguere tra gli ambiti di opinione – convinzioni di fede, gusti personali, passioni e tifoserie, etc. – e la sfera della realtà concreta, dove dovremmo assumere regole comuni, pur nella consapevolezza della loro imperfezione. In politica e in economia, in matematica e in storia, le divergenze dovrebbero cioè arrestarsi davanti al dato oggettivo, ma sappiamo bene che così non è, che anche in questi ambiti prevalgono spesso ideologizzazione, manicheismo e soggettività. Quando poi si passa alle discipline naturali e dure, quella che per tante persone è la “scienza” tout court, il margine di opinabilità si riduce ulteriormente, dato il livello molto specialistico di competenza necessario per sostenere una posizione credibile.

La scienza, insomma, “non è democratica”, come si ripete spesso, poiché afferma verità che obbediscono al dato di realtà; d’altra parte ogni scienziato sa che qualunque verità raggiunta sarà prima o poi superata: la “fallibilità” è proprio il criterio identificativo della scienza, secondo il filosofo Karl Popper. Si dice quindi che la scienza si avvicina alla verità in maniera asintotica, come la curva che unisce i punti nei quali il prodotto tra le coordinate cartesiane è sempre uguale e che quindi non potrà mai toccare l’asse delle ascisse o delle ordinate.

L’intrinseca imperfezione di quanto stiamo dicendo è evidente. Proviamo a precisarlo con un esempio, quello dei cosiddetti terrapiattisti che dubitano della sfericità della Terra (della sua forma geodetica, per la precisione), nonostante l’infinità di prove addotte sin dall’antichità, le navigazioni colombiane e post-colombiane, le osservazioni satellitari. Delle persone convinte di vivere su un pianeta a forma di pizza napoletana, con il cornicione alto che impedisce alle acque di cadere di sotto, possiamo anche sorridere, ma il problema gnoseologico ed epistemologico (cioè di conoscenza generale e scientifica) che esse pongono è ben più serio. Se su questo tema riteniamo di affermare una verità assoluta e definitiva, allora vuol dire che l’avanzamento della conoscenza umana è in grado di professarne?

Ad aumentare la complessità e contraddittorietà della situazione, consideriamo che le più recenti acquisizioni della fisica quantistica ci propongono idee sconvolgenti per la nostra idea di realtà, per esempio quella che un gatto possa essere morto o vivo a seconda delle condizioni nelle quali lo osserviamo. La distinzione tra soggettivo e oggettivo sembra irrisolvibile. Ma anche gli esperimenti delle “grandi macchine” della fisica ci dicono quanta distanza passi tra la formulazione teorica e le conferme sperimentali dell’“esistenza”, per esempio, di una particella, come nel caso del “bosone di Higgs” e dell’acceleratore Lhc di Ginevra.

Il nodo sta tra l’altro proprio in questo iato temporale, nella necessità dell’avanzamento scientifico di procedere lentamente, mentre la cultura indotta dai new media ci vizia a ottenere per ogni nostro quesito risposte immediate, ma non corrette. Lo abbiamo compreso bene con le ricerche sui vaccini contro la Covid-19, tra la necessità di accelerare e i passi prudenti che i protocolli prevedono, la comprensibile ma non consigliabile fretta di uscirne in modo definitivo, la contrapposizione tra eccessi allarmistici e diffusi negazionismi complottistici. In tale scenario una minima alfabetizzazione scientifica sarebbe un dovere delle agenzie formative, altrimenti l’innovazione tecnologica e mediologica rischia di aumentare progressivamente confusione e, paradossalmente, ignoranza.

Purtroppo le istituzioni e gli opinion leader non sembrano sempre pronti a rispondere in modo opportuno e talvolta, di fronte alle cosiddette “fake news”, paiono voler rovesciare l’onere della prova e addossarne in toto la colpa a coloro che le propalano in buona fede. Pensare di imporre “top down” l’accettazione delle acquisizioni scientificamente corrette è però un’utopia, non tiene conto dell’ormai avvenuto sovvertimento socio-culturale: dalla società “verticale”, caratterizzata dalla sottomissione alle autorità, all’attuale società “orizzontale” degli influencer, dei follower e dei like, in cui le opinioni prevalgono quantitativamente sulla competenza qualitativa. Eppure alcuni semplici criteri di discernimento e orientamento potrebbero essere spiegati, al fine di fornire a ogni cittadino una bussola per orientarsi nella bolgia di notizie e commenti in cui siamo sommersi.

Prendiamo l’esempio recente di Adriano Panzironi, che tramite un programma andato in onda su una syndication di emittenti private ha costruito un’ampia notorietà, celebrata in un’oceanica convention svoltasi a Roma. Il giornalista è il profeta di un verbo che promette la longevità fino a 120 anni e la cura di un’amplissima serie di disturbi e sintomatologie grazie a un piano dietetico al quale, guarda caso, si associa un’attività commerciale di prodotti alimentari, integratori e manuali. Contro Panzironi si sono mosse diverse istituzioni e il guru di Life 120 ha già collezionato alcune condanne.

In altri casi, però, l’identificazione è meno semplice. Se il binomio genio e sregolatezza è ormai consolidato nell’immaginario comune, al punto da essere divenuto uno stilema retorico, quello di scienza e follia potrebbe apparire più dissonante. Eppure, a prescindere dalla ovvia considerazione che gli scienziati sono esseri umani identici dal punto di vista psicofisico a tutti gli altri, la constatazione che persino molti genii della ricerca abbiano assunto posizioni borderline e talvolta del tutto eterodosse, dentro o fuori dai loro ambiti disciplinari, è suffragata da moltissimi esempi, basta una rapida occhiata alla cronologia dei premi Nobel per rendersene conto. Ma in questo ambito si inserisce una categoria intermedia di grande interesse socio-culturale, in particolare nella contingenza in cui la pandemia ci ha costretto a vivere.

Enti di ricerca e giornali sono spesso approdi di personaggi curiosi, provenienti da un limbo indefinito tra la ricerca e la mitomania, che vantano intuizioni rivoluzionarie, tecnologie innovative e panacee per tutti i mali, tentando di dimostrarle o millantandole con grande capacità affabulatoria. Si finisce quasi sempre per liquidarli cortesemente, inoltrarli a un altro destinatario, farsi negare. Per chi deve giudicarli o semplicemente incontrarli, però, il dubbio rimane. La memoria corre a Guglielmo Marconi e all’impiegato dell’ufficio brevetti che ne consigliava il ricovero in manicomio. E alle molte polemiche sull’insufficienza degli attuali parametri di giudizio per distinguere la verità e il merito scientifico.

A questa varia umanità, Paolo Albani ha dedicato alcuni anni fa una galleria dal titolo un po’ semplificatorio e irriverente, I mattoidi italiani. I ritratti vanno dalla linguistica all’astrofisica, dalla filosofia agli inventori, dagli architetti di opere monumentali agli ideatori di pensieri politici, religiosi ed economici di scarsa fortuna ma molta fantasia. Fino a settori dove il limite tra conoscenza riconosciuta e sedicente è particolarmente delicato al fine di tutelare la comunità da ciarlatani e speculatori, come la medicina o l’alimentazione.

In casi di teorie insussistenti e spesso pericolose, anche se magari non infrangono alcuna legge, quali sono però gli essenziali criteri di discernimento? Il primo è forse il tono: la bufala non si ipotizza, la si urla, la si strilla, la si rivendica ponendosi contro un “sistema” consolidato che non accoglie la novità o che nasconde la verità per fini occulti, in genere politico-finanziari. Ci sono poi casi più incomprensibili, tra cui quello delle “scie chimiche”, le strisce di condensa che gli aerei talvolta rilasciano e che secondo alcuni sono segno della dispersione di sostanze nocive per la salute psicofisica delle sottostanti persone. Spesso, mattoide e bufalaro si pronunciano su temi controversi senza ombra di incertezza, come a dire: “Io so la verità, ho trovato la soluzione”. Lo spettro tematico è ampio e include complessi temi scientifici, leggende e storie come il mostro di Lochness o i templari, problematiche planetarie, obiettivi condivisibili ma irrisolti quali debellare la fame nel mondo o le malattie.

Se alcuni elementi sono più identificabili, solo che si tenga a mente la barzelletta del tizio che imbocca l’autostrada dalla parte sbagliata e si lamenta perché vanno tutti contromano, ben più insidiosa è la pretesa di competenza accampata da molti propalatori. Un titolo di studio come la laurea è considerato autorevole, soprattutto in Italia che ne conta una percentuale ancora  bassa, ma un medico che si occupa di archeologia o un ingegnere che si occupa di sanità hanno diritto di parlare solo come cittadini, non come specialisti. Inoltre, un titolo di studio superiore non è sufficiente per qualificarsi come esperti di un tema, occorrono come minimo un dottorato ma soprattutto un’esperienza autorevole. Per questo bisogna diffidare di chi si presenta con qualifiche cui non corrisponde un riconoscimento preciso, quali esperto, tecnico o scienziato: quest’ultimo termine, peraltro, in italiano traduce due accezioni che sarebbe bene tener separate, quelle di ricercatore “researcher” e di “scientist”.

Alla confusione sui titoli corrisponde quella sulle pubblicazioni: produrre propri scritti e opere pur edite significa ignorare o fingere di ignorare che questo tipo di certificazione non avvalora nulla se non rientra in un sistema condiviso e ufficiale. Articoli e saggi sono considerati attestati di competenza solo se vagliati da comitati editoriali e di revisione, se inseriti nelle misurazioni di impact factor, h index, quotation index e sistemi similari. Un metodo peraltro insoddisfacente, che non garantisce in assoluto contro errori e vere e proprie truffe, come ricordano i clamorosi casi di Andrew Wakefield, che pubblicò su Lancet l’articolo su cui si fonda la bufala del nesso tra vaccinazioni pediatriche e insorgenza dell’autismo, o quelli con risultati inventati di Jan Hendrik Schön, ricercatore presso i Bell-Labs statunitensi che giunse alle soglie del Nobel.

Sempre indipendentemente dalla buona o cattiva fede, inoltre, talvolta chi asserisce di aver compiuto scoperte mirabolanti senza produrre prove ricopre effettivamente ruoli accademici e istituzionali, dal rapporto di collaborazione fino alla cattedra universitaria come ordinario. Ed è questa la copertura più insidiosa per chi voglia smascherare un mattoide o un bufalaro, ancor più quando ad essa si unisca la notorietà pubblica. Se un comune cittadino non può fidarsi neppure quando una ricerca è svolta in un ateneo, come può distinguere il vero dal falso o dal verosimile?

Infine, se è sospetto produrre scoperte sensazionali in settori dove il resto della comunità scientifica ancora si affanna a cercare, non lo è meno spacciare quali contributi originali e inediti banali considerazioni di buon senso, magari efficaci sintesi di nozioni scolastiche, senza riferimento alle fonti utilizzate al fine di accentuarne la paternità, ma impedendo così il controllo da parte del lettore. La scienza non è sempre intuitiva, così come raramente può porsi in aperta contraddizione con le posizioni ufficiali; la verità oggettiva non può essere decisa a maggioranza, d’altro canto la prevalenza del consenso nella comunità degli esperti di un tema è un indice attendibile dell’autorevolezza di una teoria. In sostanza, per quanto si possano cercare di stabilire dei criteri distintivi, non è possibile tracciarne di automatici e assoluti. Il progresso della conoscenza è segnato da molti casi di verità negate da autorità politico-istituzionali e religiose, ma non si presta altrettanta memoria alle ancor più clamorose negazioni opposte dagli scienziati stessi ai portatori di novità poi rivelatesi fondamentali, bastino i nomi di Pasteur, Semmelweis, Lister. (Leonardo Rizzo)

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