(di Danilo Quinto) Una delle ultime sortite del Governo Monti – quello che ha l’obiettivo di “cambiare il modo di vivere degli italiani”, come ha dichiarato al Time a febbraio – riguarda la Cina. Nel corso del ultimo viaggio nel grande paese asiatico, nella sala dell’Assemblea del Popolo a Pechino, Monti ha affermato: “L’Italia vede nella Cina un’importantissimo partner strategico e intende rafforzare il più possibile la già ottima collaborazione. Quella di oggi è un’occasione preziosa per approfondire la conoscenza delle rispettive posizioni e per sviluppare nuovi modi di collaborazione bilaterali e multilaterali con la grande Repubblica cinese”.
Ha poi aggiunto, nel successivo incontro alla Scuola del Partito Comunista: “Una Cina che scommettesse sul futuro dell’Italia, sarebbe vista meno come una minaccia competitiva e più come una Cina responsabile che vuole scommettere sulla rigenerazione della nostra economia. Con benefici anche sull’immagine di Pechino, visto che l’opinione pubblica italiana vi vedrebbe più vicini”. Non una parola sui diritti umani calpestati dal regime di Pechino.
Per il Governo italiano – che si situa sulla scia di una posizione immorale dell’Occidente nei confronti della Cina – è molto più importante la dimensione degli affari, piuttosto che la denuncia delle attività di un regime che riserva solo orrore per i suoi cittadini, perseguitando i seguaci di ogni religione, soprattutto i cattolici, considerati pericolosi sovversivi al soldo di una potenza straniera (lo Stato della Città del Vaticano), ma anche i monaci buddisti, che hanno subito stermini.
Dal marzo 2011 ad oggi, più di trenta tra monache e monaci tibetani si sono dati fuoco per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale su tali questioni. Poi ci sono i campi di concentramento, più di mille, dove sono rinchiuse, come bestie, milioni di persone (se ne calcolano dai 3 ai 5 milioni): dissidenti e anche i cristiani, che lavorano sedici ore al giorno per produrre beni che invadono i nostri mercati.
Sin dal 2010, la Laogai Research Foundation Italia – che collabora con la sede internazionale di Washington al fine di sensibilizzare i mass media e le autorità politiche occidentali sulla continua violazione dei diritti umani in Cina – ha presentato alla Camera dei Deputati un progetto di legge contro l’importazione e il commercio dei prodotti del lavoro forzato. Sarebbe un’iniziativa di civiltà e di democrazia, quella di diffondere consapevolezza su una pratica inumana, rispetto alla quale, di fatto, concorrono tutti coloro che in Occidente promuovono e acquistano quei prodotti.
Di quest’iniziativa se ne potrebbero fare promotori coloro che all’interno del Parlamento e del Governo italiano si richiamano, nella loro azione politica, ai principi ed ai valori cattolici. Significherebbe andare controcorrente rispetto ad un sentire comune che pur di privilegiare il demone del consumismo, non si pone alcuna domanda rispetto al rapporto tra democrazia, diritto e globalizzazione.
Così come, sarebbe ora di dire qualche parola – un po’ meno timida del consueto – rispetto a quella politica cinese del figlio unico, che ha impedito, si stima, 400 milioni di nascite dal 1979. Il prossimo 13 maggio, si terrà la 2a Marcia per Vita. Sfileranno a Roma, migliaia di persone, anche in nome di Chen Guangcheng, martire per Cristo e per la Vita, cieco, cristiano, avvocato autodidatta, privo della libertà e in pericolo di morte per aver difeso le donne cinesi dagli abusi e le violenze perpetrate dal regime comunista nell’applicazione della politica del figlio unico.
Chissà se qualche membro del Governo italiano o qualche parlamentare cattolico, alzeranno almeno quel giorno la voce per chiedere al regime di Pechino rispetto della vita e più libertà per i suoi sudditi. E’ chiedere troppo? ( di Danilo Quinto)