Che succede al Cremlino? Alcuni punti fermi

Che succede al Cremlino? Alcuni punti fermi
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La nebbia che avvolge il Cremlino è diventata più fitta dopo il bizzarro “ammutinamento”, del capobanda Yevgeny Prigozhin. La comunità degli analisti specializzati nell’osservare gli sviluppi interni in Russia non è ancora in grado di spiegare quanto è accaduto, come, ammette uno dei più noti osservatori, Mark Galeotti, della UCL School of Slavonic and East European Studies (“Il Tempo”, 26 giugno 2023). Ma se la celebre definizione di Winston Churchill, che in un discorso alla BBC del 1° Ottobre 1939, definì la Russia: «un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma», sembra mantenere la sua attualità, non bisogna ignorare alcuni punti chiari ed oggettivi, che ci possono aiutare a comprendere gli eventi.

Il primo punto riguarda il modo di governare di Putin. L’antico principio del «divide et impera», che i romani usavano contro i propri nemici esterni, è applicato da Putin per combattere i suoi nemici interni. Il risultato è che oligarchie finanziarie, compagnie di ventura, gruppi mafiosi, servizi segreti ed altri apparati geopolitici e militari detengono ognuno una porzione di potere senza che nessuno sia in grado di imporsi all’altro. Senza dimenticare il ruolo del Patriarcato di Mosca, che costituisce un puntello di Putin finché il dittatore è al potere, ma che è pronto a servire il prossimo padrone del Cremlino, come lascia capire l’archimandrita Tikhon di Pskov, in una sua dichiarazione all’agenzia Novosti del 24 giugno (https://ria.ru/20230624/mitropolit-1880194802.html): «Che cosa è necessario per evitare una divisione che è fatale per il Paese e per le persone in situazioni critiche? Mantenere la fede e le convinzioni, mettere da parte le lotte e le discordie, per quanto importanti possano sembrare alle parti in conflitto, ed essere in unità con coloro che la Provvidenza di Dio ha messo a governare la Russia, indipendentemente da come questa persona viene chiamata nella storia: Granduca, Zar, Imperatore o Presidente del Comitato di Difesa dello Stato e Comandante Supremo delle Forze Armate dell’URSS… Oggi il Presidente Vladimir Putin porta questo fardello, questa croce e questa responsabilità». E domani? 

I mezzi di cui Putin si serve per mantenere questo complesso equilibrio di poteri, sono spregiudicati, ma coerenti con la sua esperienza giovanile, che è quella di un ufficiale del KGB, formato alla più rigorosa ortodossia comunista. Nella concezione del mondo marx-leninista la dialettica non è solo un principio filosofico, ma uno strumento per creare contraddizioni e conflitti nella realtà che ci circonda. L’arte di neutralizzare i propri nemici non affrontandoli direttamente, ma mettendoli l’uno contro l’altro, fu utilizzata da Lenin, da Stalin e da tutti i loro successori. Se i mezzi non cambiano, muta però il modello politico che viene proposto come fine. Per Putin non è più l’internazionale proletaria, ma la ricostituzione dell’Impero sovietico entro e oltre i confini precedenti al 1991, l’anno in cui l’Unione Sovietica si dissolse. Questo mito unificatore è tanto più necessario, quanto più il sistema di potere è frammentato e policentrico. Il mito della “Grande Russia” di Putin è analogo a quello della “Guerra patriottica” di Stalin. In entrambi i casi il richiamo ai valori tradizionali è l’elemento di coagulo per giustificare un appello alle armi, che serve anche a eliminare ogni forma di opposizione interna. Putin in questo senso è costretto a combattere ad oltranza l’Occidente, per evitare la guerra civile. Mentre Putin ritrova in maniera strumentale i simboli della vecchia Russia, l’Occidente abbandona le sue radici per sprofondare nel nichilismo. A meno di non immaginare che la Civiltà cristiana, e con essa la Chiesa cattolica, sia definitivamente tramontata e destinata ad essere sostituita dalla “Terza Roma” moscovita. 

La superiorità tecnologica e militare dell’Occidente sulla Russia è schiacciante, ma Putin conta sulla debolezza culturale e morale del nemico, che contribuisce ad alimentare attraverso una sofisticata campagna di intossicazione psicologica. Le prime vittime di questa guerra “guerra ibrida” sono gli ambienti conservatori e tradizionalisti, che riconoscono in Putin il difensore di quei valori a cui l’Occidente ha voltato le spalle. «Non vogliamo combattere per i disvalori dell’Occidente», ripetono questi ambienti, senza comprendere che l’Occidente merita di essere difeso non in nome dei suoi pseudo-valori liberali, ma a causa dei suoi valori autentici, che sono le sue radici cristiane. John Lamont, uno studioso a cui si deve un’accurata analisi del conflitto russo-ucraino, ha osservato come l’acceso sostegno all’Ucraina da parte dei liberali ha indotto i conservatori a reagire, per reazione dialettica, contro la causa ucraina. Essendo i conservatori impegnati in una “lotta esistenziale” contro i liberali, essi sospettano istintivamente di tutte le cause, giuste o sbagliate, che i loro nemici abbracciano. E’ su questo accecamento dei conservatori che Putin sta facendo leva per vincere mediaticamente, ciò che perde sul campo di battaglia. In realtà sia i “liberali” occidentali che Putin, si sono trovati invischiati in una guerra di cui non avevano previsto le conseguenze. Ha ragione John Lamont, quando osserva che la strategia della maggior parte delle potenze della NATO è di non far vincere né i russi né gli ucraini, al fine di mantenere lo pseudo-ordine geopolitico in Russia e in Occidente. Infatti, osserva Lamont, «le forniture militari fornite all’Ucraina sono sempre state appena sufficienti per permettere agli ucraini di resistere agli attacchi russi, ma non abbastanza per permettere all’esercito ucraino di espellere i russi dal loro Paese. Questa strategia è stata spiegata con il desiderio di evitare un’escalation della guerra, ma il desiderio di preservare la struttura di base dell’ordine globale è probabilmente una motivazione più importante. Ciò smentisce l’affermazione che la guerra in Ucraina sia una “guerra per procura” tra Stati Uniti e Russia (come l’offerta americana di evacuare Zelensky da Kiev subito dopo l’attacco russo; se questa offerta fosse stata accettata, l’Ucraina sarebbe caduta in mano ai russi). Se gli americani fossero interessati a questa guerra per procura, avrebbero dato agli ucraini armi sufficienti per vincere la guerra sei mesi fa» (https://rorate-caeli.blogspot.com/2023/06/russia-and-invasion-of-ukraine-why-are.html#more). 

La fine dell’Occidente è teorizzata da un gruppo di intellettuali che non si rendono conto che ciò che oggi sta crollando è la modernità, nata dalla Rivoluzione francese. Il futuro non appartiene al liberalismo, al socialismo o al nichilismo post-moderno, ma a coloro che in questo orizzonte di tenebre mantengono la loro fedeltà ai princìpi della Civiltà cristiana, che hanno la loro anima nella Chiesa. Questi princìpi possono conoscere momenti storici di eclissi, ma mai di tramonto. 

E’ in questo spirito che l’Ucraina va aiutata a vincere la sua battaglia, che è quella del vero Occidente destinato a risorgere, non di quello falso, condannato a perire.

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