Sotto questo forte titolo la giornalista di “Avvenire” Marina Corradi ha presentato nei giorni 2 e 3 ottobre un reportage acuto e particolareggiato sulla crisi della fede in Québec, facendo però considerazioni che possono valere per tutto l’Occidente cristiano e forse anche per tutto quel che resta dell’antica cristianità.
Sotto questo forte titolo la giornalista di “Avvenire” Marina Corradi ha presentato nei giorni 2 e 3 ottobre un reportage acuto e particolareggiato sulla crisi della fede in Québec, facendo però considerazioni che possono valere per tutto l’Occidente cristiano e forse anche per tutto quel che resta dell’antica cristianità.
Il Québec, secondo la redattrice, era «considerato fino a cinquant’anni fa il paese più cattolico del Nord America. Ora le chiese sono vuote, i giovani convivono senza sposarsi, e raramente battezzano i pochi figli che nascono». Nella capitale Montreal, durante i 5 secoli di fede cristiana, furono costruite oltre 300 chiese e conventi, ma da qualche decennio molte vengono vendute per diventare appartamenti o alberghi: la frequenza alla messa in una popolazione ancora ufficialmente cristiana al 90%, si attesta al 5% circa. Come se non bastasse, tale relativismo culturale spaventoso tende a diventare a poco a poco relativismo di Stato o se si vuole dittatura del relativismo: da quest’anno infatti entra in vigore «una legge del Governo provinciale che bandisce (…) l’insegnamento confessionale dalle scuole pubbliche, e costringe anche quelle private a impartire, accanto alla propria dottrina, la nuova dottrina di Stato agli alunni».
Ma cos’è questa Etica di Stato che ricorda lo “Stato etico” degli illuministi e degli idealisti? Marina Corradi la sintetizza così: «brevi nozioni sulle principali confessioni, liceità morale dell’aborto, figure esemplari del ’900 (fra cui lo stesso promotore della legge sull’aborto in Québec)». Diceva qualcuno: togliete il sovrannaturale e resterà tutto ciò che non è naturale…
La giornalista ha poi potuto rivolgere domande sulla triste realtà nordamericana sia al Nunzio che al cardinale Marc Oullet, arcivescovo di Québec e primate del Canada. Il Nunzio le ha dichiarato che «c’è una sorta di rassegnazione a un monopolio dell’informazione e degli intellettuali». «Viviamo – ha continuato – nell’onda di un laicismo radicale, che addossa alla Chiesa ogni responsabilità di ciò che non va, e la addita come ‘il nemico’ del progresso e della laicità».
Il cardinale Oullet, di 64 anni e nativo del Québec, descrive una realtà spirituale davvero desolante ma che deve esserci di monito soprattutto quando sentiamo ripetere anche in ambienti ecclesiali come panacea di tutti i mali le parole vaghe, emotive e orizzontali di solidarietà, pace, tolleranza, laicità: «I giovani non si sposano, le coppie conviventi hanno superato quelle sposate. Si vive alla giornata, il tasso di natalità è bassissimo, quello degli aborti molto alto, e quello dei suicidi giovanili fra i più elevati del Nord America».
Il cardinale Oullet vede in tutto ciò «una crisi profonda, e smarrimento, quasi un modo non conscio ma drammatico di cercare ciò che può rispondere alla domanda del cuore dell’uomo». Ma come è potuta accadere questa totale sovversione dei costumi in un paese in cui secondo il Presule, «fino agli anni Cinquanta in Québec tutto o quasi – dalla scuola agli ospedali – era in mano alla Chiesa?». Spesso certo buonismo ecclesiale evita di dare risposte in proposito o persino di porsi la domanda imbarazzante. Secondo Sua Eminenza, «tutto ciò è crollato a partire dagli anni Sessanta. Molti fattori hanno giocato in questa metamorfosi: l’influenza marxista e poi l’affermarsi dello statalismo, ma anche l’impatto del Concilio Vaticano II sulla Chiesa locale».
Ovviamente, la Chiesa essendo divina, non è il caso di disperare: «Occorre ripartire da Cristo. Tutto questo è successo anche perché noi cristiani abbiamo parlato di molte cose, ma troppo poco di Cristo (…). Mi dicono sui giornali che sono un reazionario. Eppure io voglio solo testimoniare alla mia gente Cristo risorto».