Eutanasia chiama eutanasia, morte chiama morte: in Canada, dove il suicidio assistito è stato legalizzato nel 2016, presto – per la precisione, da marzo dell’anno prossimo – la legge potrebbe essere cambiata, per estendere tale pratica non solo a chi sia malato terminale irreversibile, com’è ora, bensì anche a chi presenti problemi di salute mentale. A volerlo, è il governo, che per questo sta verificando se e come poter garantire a questa nuova tipologia di “pazienti” l’assistenza medica necessaria.
Ma le modifiche prospettate alla normativa vigente rappresenterebbero un salto nel buio, poiché – come riportato dall’agenzia Reuters – aprirebbero ufficialmente l’opzione eutanasica anche a chi, come Lisa Pauli, 47 anni, canadese, sia da sempre affetto da anoressia.
Puntando sui criticabilissimi e, ad un tempo, pericolosissimi criteri dell’autonomia di giudizio e della libertà di scelta personale, anziché sull’aiuto, l’estensione della norma consentirebbe di por dunque fine alla vita di persone vulnerabili e, di per sé, con patologie nient’affatto letali, se opportunamente curate.
Intanto, la preoccupazione nel Paese cresce di fronte al progredire di un’autentica ideologia della morte, sempre più estesa a fasce allargate della popolazione. In un articolo apparso sul Journal of Medical Ethics e ripreso dalla rivista britannica The Spectator, due bioeticisti dell’Università di Toronto, Kayla Wiebe e Amy Mullin, hanno sostenuto che l’eutanasia dei poveri sta divenendo socialmente accettabile. E, quando se ne chieda la ragione, sconcertante è la risposta: «Perché no?». Il che, tradotto, significa: anziché investire denaro pubblico nella riduzione delle cause di miseria e di emarginazione sociale delle classi meno abbienti, lo si investe per eliminarle fisicamente ed azzerarne la presenza. Considerazioni, frutto di una mentalità perversa, eugenetica e diabolica, come ha dichiarato un altro ricercatore canadese, Yuan Yu Zhu, in forze presso l’Harris Manchester College di Oxford: «Questo è più che tragico: è una macchia morale sul nostro Paese, per la quale le generazioni future dovranno fare ammenda».
Ma brutte notizie giungono anche dalle Hawaii, oggi alle prese con i devastanti incendi, che hanno portato ovunque morte e distruzione: due mesi fa il governatore, il democratico Josh Green, peraltro un oncologo in pensione, aveva firmato una legge, che, nei casi di “suicidio assistito”, ha ridotto drasticamente il periodo di attesa prima della prescrizione del farmaco letale da parte del proprio medico, da 20 a soli 5 giorni, come riferito dall’agenzia di stampa bioetica BioEdge. Non solo: nel caso si tratti di un malato terminale, di cui si possa prevedere il decesso entro cinque giorni, il sanitario è autorizzato, volendo, a rinunciare completamente a questo pur minimo periodo, utile per un eventuale ripensamento da parte del proprio paziente.
Le Hawaii cinque anni fa sono state il sesto Stato americano ad approvare la legge sul suicidio assistito. Oggi gli Stati sono undici ed il fenomeno, come quello dell’aborto, sta assumendo dimensioni ben peggiori di quelle pandemiche, senza che nessuno se ne allarmi, senza che nessuno proponga di correre ai ripari. Anzi, sta accadendo l’esatto contrario: l’amministrazione Biden ha proposto di revocare i regolamenti federali, che assicurano una protezione di coscienza a tutti i medici, che non intendano eseguire «aborto, sterilizzazione ed altri servizi sanitari» quali «suicidio assistito, eutanasia o omicidio per pietà», ed a tutte «le organizzazioni di assistenza gestite con obiezioni morali o religiose alla consulenza o al rinvio» di tali pratiche di morte. Fatti che non ci riguardano? Tutt’altro, perché ormai senza confini. Non riguardano, infatti, solo Stati Uniti e Canada, ma anche in Francia il presidente Macron non ha fatto mistero di voler rafforzare nel proprio Paese la legalizzazione dell’eutanasia, cavalcando una corrente di pensiero e politica da tempo all’opera, indisturbata, in tutto il mondo. Con la stessa ipocrisia di fondo già vista in altri campi: ad esempio, tutti oggi riconoscono la piaga sociale della denatalità, dell’”inverno demografico”, ma nessuno ne ha preso davvero atto, eliminandone la causa prima ovvero l’aborto.