Brutto segno, c’è aria di statalizzazione nel mondo

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(Mauro Faverzani) C’è aria di statalizzazione nel mondo. E, quindi, aria di confisca, di “okkupazione”, di nazionalizzazione. Soprattutto nei Paesi retti da un partito unico, ovvio, oppure in quelli al traino delle varie Sinistre, più o meno spinte. Ma non solo. Da qualche tempo se ne ha sentore anche nei “salotti buoni”, quelli di certi lib-lab, pronti a fare i proletari a parole ed i miliardari nei fatti. Certo, sarebbe improprio generalizzare. Ma sarebbe improprio anche sottovalutare alcuni “sintomi”, fin troppo chiari.

Come quelli manifestatisi in Eritrea, Paese retto dal partito unico al potere, il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (che, come quasi sempre avviene, di realmente democratico e giusto ha soltanto il nome), orbitante nell’area del nazionalismo di Sinistra. Qui, complice, come sempre, il silenzio generale, in particolare quello del mondo occidentale, il governo sta procedendo con la forza prima a chiudere, poi a requisire tutte le cliniche e le scuole appartenenti alla Chiesa e ad enti religiosi. Si tratta di un processo iniziato senza ostacoli quattro anni orsono e tuttora drammaticamente in corso.

L’allarmata denuncia è giunta dai Vescovi eritrei, che, in una lettera indirizzata al ministro dell’Istruzione, l’on. Semere Reesom, hanno evidenziato come tali provvedimenti ledano il diritto e la libertà educativa delle famiglie. Ciò nonostante, si dicono pronti a proseguire il confronto lungo le vie del dialogo e della comprensione reciproca. Che, tuttavia, pare merce rara da queste parti…

Fatti che non ci riguardano? Tutt’altro, ci riguardano eccome! Anche perché ne accadono di molto simili anche nella “democraticissima” Europa. Come in Spagna, dove il governo Sánchez II, governo di Sinistra formato dal Partito Socialista Operaio Spagnolo, dal Partito dei Socialisti di Catalogna, da Podemos e da Izquierda Unida, ha fatto qualcosa di simile, anzi di peggio.

La riforma della legge sulla sicurezza nazionale, allo studio dell’esecutivo, infatti, se approvata, dovrebbe consentire alle autorità, in caso di crisi, di requisire temporaneamente qualsivoglia tipo di bene, di occupare provvisoriamente quelli necessari e di interrompere qualunque tipo di attività, a propria insindacabile discrezione. Ai cittadini non resterebbe da fare altro che obbedire agli ordini e senza fiatare. Al massimo, potrebbe spettare loro (ma non è ancora detto, c’è pure chi non è d’accordo…) un risarcimento, nel caso subissero danni economici a seguito della requisizione delle loro proprietà o della sospensione dei loro commerci, subordinati al rilascio di autorizzazioni amministrative. Precettati anche i media, che avranno l’obbligo di «collaborare con le autorità», diffondendo «informazioni di carattere preventivo o operativo».

Uno scenario inquietante, fors’anche comprensibile in caso di guerra. Ma qui lo stato di crisi, cui fa riferimento la normativa in esame, non riguarda soltanto gli eventi bellici, tutt’altro: riguarda anche quelli sanitari, ambientali, economici, finanziari o di altra natura ovvero un amplissimo ventaglio di opzioni, che lascia alle istituzioni enormi margini, per far ricorso in qualsiasi momento a questa legge. Ed è questo l’aspetto che più inquieta. Anche perché si stanno moltiplicando gli attacchi alla proprietà privata, anzi al concetto stesso di proprietà privata.

Il Forum di Davos, ad esempio, quello stesso che ha titolato uno dei suoi studi «Il capitalismo ha bisogno del marxismo per sopravvivere alla quarta rivoluzione industriale?», ha già messo nel proprio programma la soppressione della possibilità d’esser proprietari di una casa con relativa confisca, concetto ripreso sul primo numero di quest’anno anche dal settimanale Economist, espressione dell’alta finanza, quella che conta: in esso, anzi, la proprietà immobiliare è stata definita chiaramente «il più grande errore di politica economica dell’Occidente».

Allora ecco che i tam-tam, che giungono dall’Eritrea e rimbalzano in Spagna, convergono verso uno scenario, che già qualcuno ai piani alti, quelli che contano, ha provveduto ad immaginare, a valutare ed a disegnare. Ve n’è abbastanza, per far suonare più di un campanello d’allarme, perché il timore è che anche in questo, come in molti altri casi, ciò che oggi sembra impossibile, assurdo, non possa domani divenire una tragica realtà. 

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