Tra il 22 e il 23 gennaio le principali agenzie e blog italiani hanno dato la notizia che i partiti di centro-sinistra avrebbero proposto il nome del prof. Andrea Riccardi come candidato alla presidenza della Repubblica. Notizia che ha sorpreso molti, perché il nome di Riccardi non gode di una particolare rinomanza nel mondo universitario e modesta è la sua esperienza politica, che ha svolto come ministro per la Cooperazione internazionale nel Governo Monti, tra il novembre 2011 e l’aprile 2013. Eppure la sua influenza è ben maggiore di quanto si possa immaginare, se si considera che la rivista Time, fin dal 21 aprile 1997, lo ha inserito in testa alle dieci persone che contano di più nella nostra penisola. La sua forza non gli viene dai meriti accademici o politici, ma dalla potente lobby che ha fondato e dirige: la Comunità di Sant’Egidio.
Riccardi, nato a Roma nel 1950, è un figlio del Sessantotto. Aveva diciotto anni quando, alla testa di un gruppo di studenti del liceo Virgilio di Roma, affiliati a Gioventù Studentesca (il movimento da cui nascerà Comunione e Liberazione), si distaccò da don Luigi Giussani per fondare la sua comunità politico-religiosa. In quegli anni il giovane Riccardi si formava su Congar, Chenu, de Lubac, Rahner, come leggiamo nel colloquio con Jean-Dominique Durand e Régis Ladous Sant’Egidio Roma e il mondo (Edizioni San Paolo, Roma 1997). Il suo mentore universitario fu lo storico cattocomunista Pietro Scoppola, che lo avviò a una rapida carriera come professore di Storia contemporanea e Storia del Cristianesimo.
Nel settembre 1973 il gruppo di giovani guidati da Riccardi approdò in piazza Sant’Egidio a Trastevere, occupando un monastero carmelitano abbandonato e dal 1974 diventò la «Comunità di Sant’Egidio», frequentata dal rettore dell’Istituto Biblico, Carlo Maria Martini, futuro cardinale arcivescovo di Milano e protetta dal cardinale vicario di Roma Ugo Poletti. L’assistente spirituale era don Vincenzo Paglia, poi parroco della chiesa di Santa Maria in Trastevere, vescovo di Terni e ora presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
La messa della Comunità di Sant’Egidio veniva celebrata il sabato sera a porte chiuse dentro la basilica di Santa Maria in Trastevere, dove il sacramento della penitenza era sostituito dai mea culpa pubblici. L’omelia la teneva sempre Andrea Riccardi, “abate indiscusso” della comunità, come l’ha definito il vaticanista Sandro Magister, che ne ha ricostruito la figura in numerosi articoli. «Perché due si sposino, o anche solo si fidanzino, ci vuole il placet dei capi, a cominciare da quello supremo, Andrea Riccardi. A Sant’Egidio non solo i matrimoni sono tutti fra membri della comunità, ma devono essere anche fra pari grado. Se un grado alto della gerarchia interna s’innamora di una di borgata, la comunità interviene, tronca e sanziona. Figli? Pochissimi, anzi, nessuno. O astinenza, o contraccettivi: “Di fronte a tanti uomini e bambini abbandonati, non esiste solo la paternità di sangue. I nostri figli sono i poveri”. Ma alla natalità zero si attengono solo i membri di lungo corso. La seconda generazione di Sant’Egidio, specie il ramo di borgata, è più prolifica. Unica disobbedienza consentita, dentro questo piccolo mondo totalitario» (L’Espresso, 9 aprile 1998).
E’ ancora Magister a informarci su quanto accadeva in materia di famiglia e di matrimonio, dietro la luminosa facciata della Comunità di Sant’Egidio. «Nel 2003 venne inoltrata al tribunale diocesano di Roma la richiesta di nullità del proprio matrimonio da un appartenente da 25 anni alla Comunità, sposatosi con una donna anch’essa della Comunità. Alla richiesta di nullità costui allegò un memoriale nel quale documentava non solo come si fosse sposato ‘per costrizione’, ma anche come il suo caso fosse parte di un più generale sistema autoritario che governava la Comunità di Sant’Egidio e che gestiva i fidanzamenti e i matrimoni dei suoi membri di vario grado» (cfr. www.chiesa:> Venticinque anni nella Comunità d Sant’Egidio. Un memoriale)
Giovanni Paolo II, nella sua ricerca di gruppi e movimenti che facessero da contraltare alla sua potente segreteria di Stato, protesse la Comunità di Sant’Egidio, forse ignorando gli stretti legami che essa intratteneva con il futuro cardinale mons. Achille Silvestrini, che della Segreteria di Stato era il “dominus”. Nel 1986, l’anno in cui fu riconosciuta come «associazione pubblica di fedeli», la Comunità di Sant’Egidio organizzò il meeting interreligioso di Assisi con papa Giovanni Paolo II in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d’ogni credo.
Marco Impagliazzo, attuale presidente della Comunità di Sant’Egidio, collega l’evento di Assisi con il documento firmato da papa Francesco ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, insieme all’ imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. «Il documento di Abu Dhabi – afferma Impagliazzo – è forse la conclusione di un percorso accidentato e drammatico che ha messo a dura prova lo spirito d’Assisi a partire dall’11 settembre 2001. C’è senz’altro un filo rosso che lega i due eventi» (Il Fatto quotidiano, 28 febbraio 2021). In visita al Cairo nel 2012, Riccardi tenne il 26 novembre una conferenza all’università di Al-Azhar in cui esaltò la democrazia trionfante in Egitto, affermando che «grazie alla primavera araba, il Mediterraneo è divenuto un mare tutto democratico». L’università musulmana di Al-Azhar, aggiunse, «nei secoli, non solo ha conservato la fede, ma ha anche mantenuto viva la cultura con l’umanesimo».
In questa linea, il 7 ottobre 2021, «le cronache vaticane hanno segnato un picco dei più scenografici, a Roma, sullo sfondo del Colosseo, con un appello collettivo per la pace tra i popoli e le religioni elevato da papa Francesco e dai maggiori leader religiosi mondiali, in prima fila il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, tutti idealmente abbracciati proprio nel giorno anniversario della battaglia di Lepanto. Alla cerimonia clou i discorsi inaugurali sono stati due: di Andrea Riccardi, fondatore e monarca assoluto della comunità di Sant’Egidio, come padrone di casa in quanto promotore effettivo dell’evento, e della cancelliera tedesca Angela Merkel, come ospite di lusso» (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/10/12/conclave-in-vista-operazione-sant%E2 %80%99egidio/).
Poco importa a questo punto che Andrea Riccardi non sia stato eletto presidente della Repubblica. Ciò che conta è che lo schieramento di sinistra si è riconosciuto nel suo nome, anche solo come “candidato di bandiera”. Ciò conferma il ruolo di questo Professore pan-ecumenista dalle smisurate ambizioni. Nel suo ultimo libro La Chiesa brucia (Laterza 2021), Riccardi intravede «un mondo senza la Chiesa», in cui egli sa però come muoversi, mostrandosi sempre più inclusivo nelle relazioni trasversali che tiene a sinistra e a destra, proprio come fa il cardinale Matteo Zuppi, un membro di Sant’Egidio con cui da anni opera in tandem. A entrambi il Mozambico concesse la cittadinanza onoraria per avere contribuito a realizzare il trattato di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992 tra governo e i ribelli marxisti-maoisti. La rivista cattolico-progressista Golias, nel 1996 indicava in Sant’Egidio una lobby che potrebbe essere decisiva nella scelta del prossimo Papa (Sant’Egidio: les souterrains du Vatican”, Golias, n. 50, settembre 1996). Sono passati più di venticinque anni, ed oggi sant’Egidio può contare su di una rete internazionale di contatti di cui nessun altro cardinale è fornito, e soprattutto di un cardinale, come Matteo Zuppi, che alcuni vogliono in pole position nella successione a papa Francesco. Se le porte del Quirinale si sono chiuse per Riccardi, quelle dei Palazzi Apostolici sono ancora aperte per Zuppi e la partita di Sant’Egidio è ancora tutta da giocare.