Allarme nel mondo per il programma nucleare dell’Iran

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Secondo fonti israeliane, nell’impianto di Fordow a sud di Teheran una visita non concertata di due ispettori atomici delle Nazioni Unite avrebbe riscontrato una soglia di purezza dell’uranio dell’83%.  Per il JPCOA essa sarebbe dovuta rimanere di poco superiore al 3%, mentre l’IAEA sostiene in documenti ufficiali che quella del 60% sia già stata oltrepassata.  

Il Generale Mark Milley lo scorso marzo davanti al Senato americano ha detto che «l’Iran potrebbe produrre una quantità sufficiente di materiale fissile per un’arma nucleare in 10-15 giorni, e che servirebbero solo diversi mesi per produrne una effettiva».  

I micro-accordi del Governo degli Stati Uniti come quello sancito dopo l’incontro in Oman sono sgraditi sia a Israele che al Congresso americano, che ormai può opporsi alla firma presidenziale di un nuovo accordo ufficiale con l’Iran.

I colloqui di Biden con Teheran incontrano un crescente scetticismo bipartisan a Capitol Hill. Tra l’altro, il Senatore Lindsey Graham, affiancato dai colleghi Bob Menendez e Richard Blumenthal, sta lavorando ad una legge che richiederebbe al direttore della National Intelligence di notificare al Congresso entro 48 ore se l’Iran producesse o possedesse uranio con una soglia di purezza superiore al 60% (una soglia che, come prima ricordato, l’IAEA reputa già oltrepassata).
Inoltre, la dottrina degli Stati Uniti secondo la quale l’Iran stia infrangendo la risoluzione numero 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU appoggiando la Russia attraverso la fornitura di droni (e non solo), è stata rafforzata dalla recentissima minaccia iraniana di utilizzare il missile balistico Khorramshahr a lungo raggio, con i suoi 2000 km di gittata.  

Una nota Reuters del 19 giugno preannunciava che il raduno parigino del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI, National Council of Resistance of Iran) non si sarebbe tenuto, mentre la manifestazione di Parigi è stata svolta con successo, nelle stesse ore in cui ad Auvers-sur-Oise si teneva un’edizione portentosa del vertice mondiale per un Iran libero (Free Iran World Summit 2023. Onward to a Democratic Republic).  

Al vertice erano presenti Mike Pence, John Bolton, Wesley Clark, Joe Lieberman, Liam Fox, James Jones, John Bercow, e molti altri rappresentanti della politica e delle istituzioni a livello globale, espressione di idee sia conservatrici che progressiste. Mike Pompeo, altro illustre sostenitore del NCRI – intervenuto in video collegamento come l’ex Primo Ministro britannico Liz Truss – ha messo in guardia dal firmare qualsiasi nuovo accordo con Teheran circa il programma nucleare, poiché si tratterebbe di «una calamità per il popolo iraniano e per il mondo».  

L’Iran è rimasto disorientato dalla reazione dei mercati europei, quando prevedeva un sensibile aumento delle richieste di forniture di idrocarburi da parte dell’Europa. Questo non è avvenuto e il regime ha continuato a utilizzare la soglia di purezza dell’uranio come leva per ogni richiesta al rialzo soprattutto verso Parigi ma anche con la Casa Bianca e in un contesto dove l’interoperabilità dual-use tra Iran, Russia e Cina è assodata e rappresenta una minaccia ancora più pericolosa se si guarda alla “redistribuzione” del potere in corso a Mosca.  

Un quadro allarmante che sta spingendo gran parte dei parlamentari americani, democratici e repubblicani, a ricompattarsi velocemente sugli obiettivi di politica estera: posizionamenti politici ben visibili al summit di Auvers-sur-Oise, esemplificati da un discorso bipartisan di Joe Lieberman che, da grande cultore dei presidenti John Adams e George Washington in relazione ai fondamenti religiosi della società americana, in cui ha citato l’esempio di Maryam Rajavi, una donna musulmana che sostiene la laicità delle istituzioni. La Presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, ossia la maggior forza di opposizione al regime dei mullah, è stata quindi la protagonista politica indiscussa di questo evento mondiale. Una donna discendente della dinastia dei Qajar che regnò in Iran sino al 1925 e che simboleggia un ponte significativo verso il passato persiano, obliterando l’esperienza dell’altra dinastia, quella più breve e repressiva dei Pahlavi.  

«Nessun regime oppressivo può durare per sempre», ha detto Mike Pence, che ha parlato in presenza all’incontro dopo che lo scorso anno aveva fatto visita a Rajavi in Albania, presso la sede centrale dell’Organizzazione dei Mojahedin del popolo iraniano (MEK, Mojahedin-e-Khalq).  

Maryam Rajavi, che ha definito «inevitabile» il rovesciamento del brutale regime iraniano, ha sottolineato i rischi collegati alla disinformazione, ai sabotaggi, agli attentati (persino contro i familiari dei politici che sono nel mirino del regime iraniano, a livello globale), puntando il riflettore sulla storia della lotta delle donne iraniane contro la misoginia del regime ed i sacrifici compiuti come PMOI/MEK.  

Se quello di Joe Lieberman è stato un intervento politico, rivolto non solo ma principalmente alla classe dirigente americana, quello di John Bolton è stato più lapidario. Bolton, per sua stessa ammissione, è il nemico numero 1 sulla lista del regime teocratico iraniano.  Al summit di Auvers-sur-Oise egli ha parlato senza mezzi termini delle operazioni di guerra ibrida condotte da Teheran, ad esempio «i tentativi di omicidio di membri attuali e precedenti del governo americano […] i dettagli di quello organizzato contro di me sono sul sito del governo e i tentativi si sono infittiti dal 2015». Sarebbe un grande fallimento aspettarsi qualcosa da una trattativa: «Sbaglierebbe tutto l’Occidente». E col suo dono della sintesi – riferendosi all’Iran – ha aggiunto che «tra un anno saremo lì».  

Il potente supporto angloamericano visto al summit parigino fa pensare che l’influenza del MEK di Maryam Rajavi non possa che aumentare.   Ora questa politica bipartisan, soprattutto al Senato e in funzione anti-iraniana sta dando vita ad un’accelerazione senza precedenti che rafforza anche il movimento di Rajavi e si collega alle pesanti preoccupazioni espresse più volte da Israele.  Il tempo stringe o forse sono i pensieri del Presidente americano, quelli di John Bolton e dei parlamentari del Congresso a farsi più simili di quanto si possa immaginare, e stanno emergendo in luoghi come Auvers-sur-Oise. (Marco Rota e Andrea Bianchi)

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