Il canale diplomatico tra i due Paesi è stato chiuso dopo che l’Algeria ha accusato Rabat di finanziare il MAK, il movimento armato per l’autonomia della Kabilia, una regione nel nord est del suo territorio. Nell’estate del 2021 il MAK ha rivendicato l’uccisione di 60 civili e di 30 membri dell’esercito algerino. L’Algeria poi accusa il Marocco di appoggiare il movimento Rachad che aveva fomentato la Primavera libica. Effettivamente il cessate il fuoco tra Marocco e Polisario durato dal 1991 al 2020 ha avuto una serie di strascichi e complicazioni: nel novembre 2021 è stato fatto esplodere un cargo con tre algerini in transito nel Sahara occidentale.
Oggi il Marocco cerca di preservare la sua identità di Stato atlantico pur avendo goduto fino al 2021 di import di grano russo, mentre è di questi giorni la notizia che il Presidente algerino si recherà in visita da Xi Jinping e solo poche ore prima il ministro dell’energia si era incontrato col presidente del consiglio d’affari algerino-statunitense. In Algeria intanto la Cina è entrata a piè pari quando lo scorso 26 giugno è stato reso noto che tre società dello Stato comunista hanno firmato l’accordo di gara per la miniera di ferro di Gara Djebilet nel sud ovest del Paese.
A ben vedere sono presenti gli epifenomeni epigonici della Guerra fredda, di quel tempo in cui come ha detto lo storico Andrews “il mondo andava come lo faceva andare” (intendendo le reti del KGB e qui nello specifico in Algeria) ma è pur vero che a questi vecchi caratteri nazionali si aggiungono le varianti specifiche. Nel caso magrebino si tratta del cambio di alleanze tunisino (che coinvolge indirettamente gli Stati Uniti) a favore di Algeri in virtù dei trattati energetici e di una questione tecnica di ridefinizione dei confini.
Oggi rileviamo uno spiegamento massiccio di truppe algerine a Hammaguir a soli 110 kilometri da Béchar prossima al confine marocchino. L’escalation è prevista per settembre ed è concepita come controffensiva (retaliation) alle incursioni aeree (e con droni) marocchine nello spazio algerino, oltre alle azioni condotte contro il Polisario nel Sahara occidentale e alle manovre degli Africa Lion (Stati Uniti + Marocco). La mossa algerina richiama quella dello scorso novembre realizzata congiuntamente alla Russia sempre nella stessa area che, e così torniamo agli inizi, e siamo sempre nel quadrante della ‘guerra delle sabbie’. L’abbrivio ha anche ragioni ideali: lo scorso febbraio il Direttore degli archivi reali marocchini Bahija Simou ha esternato che ci sono motivazioni storiche non solo per rivendicare il Sahara occidentale ma anche quello orientale.
Già, ma perché? Perché la frontiera tra i due Paesi è lunga 1559 kilometri. Di fatto si tratta del confine più lungo al mondo e il traffico di migranti avviene senza requie. Ricordiamo che il blocco del ’94 fu dovuto a un attentato di matrice islamica estremista a Marrakech che il re imputò al Servizio algerino. Peraltro questo confine era stato tracciato dalla Francia e precisamente nel 1845, sopravvivendo fino al 1950.
Nel 2018 Mohammed II ha detto precisamente di voler aprire «in tutta chiarezza e responsabilità un dialogo diretto e franco con la sorella Algeria affinché si superino le varie congetture, i vari obiettivi che ostacolano lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi». Tra 5 e 6 dicembre dello stesso anno si sono tenuti a Ginevra i primi incontri tra Marocco e Fronte Polisario insieme ad Algeria e Mauritania.
Oltretutto l’Algeria è il sesto fornitore del Marocco in fatto di idrocarburi. Non è una posizione preminente ma è da valutare il passaggio di gasdotti su suolo marocchino con destinazione europea. È del 2011 il contratto tra la marocchina One e l’algerina Sonatrach che stabiliva la vendita di 640 milioni di metri cubi di gas naturale al Marocco lungo l’arco di sei anni. Questo gas seguiva il percorso della pipeline Gazoduc Maghreb. Oggi sono 4 i gasdotti algerini e l’Algeria pressa la Spagna perché non esporti di nuovo il gas verso il Marocco. La cosa in realtà continua ad avvenire.
C’è un convitato di pietra in questo scenario ed è la Cina, la principale forza ostile al mondo libero. Qual è stata la risposta cinese alla nuova configurazione della macro-regione? È vero che gli Accordi di Abramo hanno riavvicinato sul versante del comparto della sicurezza Israele, Arabia Saudita e Marocco, sganciandoli dalla Cina, mentre la Turchia era risospinta nei suoi confini naturali e non storici, abolendo ogni genere di aspirazione panturanica che costituzionalmente è di disturbo per Pechino. Ma silenziosamente la Cina nel 2019 era già entrata in servizio al porto di Tanger Med II che ha richiesto investimenti per 26 miliardi di dirham (circa 10 bilioni di dollari): la capacità di container supera i 9 milioni ma qui il nodo critico è un altro, la soggiacente stesura del Memorandum di comprensione cinese, analogamente a quanto accaduto in altri Paesi mediterranei come l’Italia.
Tanger Med II se le cose andranno come ipotizzato anni fa sarà accompagnato dalla costruzione di un centro urbano esteso per 4940 acri da parte della compagnia di proprietà dello Stato cinese CCCC (China Communications Construction Co) subentrata all’Haite Group, anch’esso di Pechino. La conclusione dei lavori del centro è stimata per il 2027 e le previsioni auspicano la creazione di 100mila posti di lavoro. Quel che può fare uno Stato moderno come il Marocco è procedere tra le secche dell’alleanza cinese e il fronte orientale che rischia di essere incendiato da terzi e non direttamente dall’Algeria. Avvicinarsi troppo alla Cina vanificherebbe gli sforzi sin qui compiuti da un Paese che tra 2018 e 2021 aveva messo in cantiere un investimento di 28 miliardi di dirham (a 2,6 miliardi di euro) per lo sviluppo delle vie di comunicazione e che con Tangeri I ha smistato 65 milioni di tonnellate di beni nel 2019, passati a 75 l’anno successivo e a 101 nel 2021 pur nella distruption della catena di approvvigionamento logistico dovuta al Covid.